Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 23/04/2015, a pag. 22, con il titolo "La coalizione contro l'Isis è la vergogna dell'Occidente", la risposta di Domenico Quirico alla lettera di Giovanni Attinà; dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale "L'Occidente che si piange addosso".
Ecco gli articoli:
LA STAMPA - Domenico Quirico: "La coalizione contro l'Isis è la vergogna dell'Occidente"
Domenico Quirico
TV: "L'Isis non è l'islam!"
"Obama cosa pensa che siamo...? Mormoni?!"
Caro Quirico, ormai da mesi è stata annunciata la coalizione di 40 nazioni, poi aumentata, contro l’Isis e il califfato. Fatto sta che non mi pare che la strategia adottata da questa «squadra», senza un esercito terrestre, stia risultando vincente visto che, a rimo cadenzato, il mondo dell’informazione ci propina filmati di carneficine messe in atto dall’Isis. A questo punto sorge il dubbio sulla compattezza di questa coalizione che, evidentemente, alle parole non fa seguire i fatti. Quali possono essere i motivi di questo quasi fallimento, almeno in questa fase?
Giovanni Attinà
La cosiddetta Coalizione è il Baedeker delle vergogne dell’occidente e delle sue macerie eloquenti. I nostri alleati sono impresentabili: regimi pestiferi non diversi nella natura sozza e violenta dal califfato che dovrebbero combattere, finanziatori per vile tornaconto dei catecumeni del terrorismo, emiri gaglioffi e ayatollah assassini, europei in ordine sparso bigi, prudenti e pantofolai, che si preoccupano di esserci ma soprattutto di non correre rischi. Ecco la Coalizione. Che non abbia combinato nulla non dovrebbe stupire. Le guerre, come è noto, non sono né morali né immorali. L’importante è vincerle. Attività che sembra fuori portata per i coalizzati la cui strategia è un alfabeto di misteri.
La propaganda bugiarda non appartiene, purtroppo, solo agli sgherri giulivamente comunicativi del califfo. Da mesi i telegiornali rigurgitano di filmati di scenografici bombardamenti ovviamente chirurgici. Posti comando, convogli di blindati, capi sottocapi e gregari di ogni ordine e grado islamista, depositi di armi, tutto è stato sbriciolato per le edizioni della sera. Non dovrebbe esistere più nulla, visto anche i numeri riferiti dalla solita intelligence, di quei forsennati tra il Tigri l’Eufrate e i monti del Libano. E invece la non metafisica presenza di quelle forze terribili e crudeli continua. Abu Bakr è già morto e risorto almeno quattro volte. Le annibaliche avanzate degli eroici peshmerga curdi e delle legioni sciite a comando persiano sono servite in realtà per qualche conferenza stampa di notabili mediorientali e statunitensi.
Purtroppo sta per arrivare il primo anniversario della proclamazione del califfato di Mossul. Un anno. Un infinito tempo nella Storia: perché quella micidiale e sanguinaria costruzione politica si è conficcata nel territorio e nelle coscienze di coloro che vivono laggiù, sta pericolosamente diventando, ovvia, naturale e permanente nello spazio e nel tempo. Mentre i droni affilano i denti, il califfato con le giaculatorie sorrette dagli sgozzamenti amministra e plasma le coscienze di centinaia di migliaia di sventurati «sudditi». Srotolando tappeti davanti all’Iran e affidandogli la «riconquista» del Nord dell’Iraq abbiamo garantito al califfo l’alleanza eterna delle tribù sunnite che costituiscono la massa delle sue fanterie. Cosa potrebbero fare di diverso? L’arrivo dei «liberatori» iraniani e sciiti significherebbe per loro la necessità di fuggire o di essere ridotti, al meglio, al ruolo di iloti.
La Coalizione lambiccata da Obama per non far nulla pone già le premesse per massacri e caos per i prossimi trent’anni. Proprio ciò che serve al Califfato!
IL FOGLIO: "L'Occidente che si piange addosso"
"La nostra è una religione di pace: uccideremo chiunque affermi il contrario!!"
Matteo Renzi, nel suo buon discorso alle Camere di ieri, ha detto che per bloccare lo schiavismo del XXI secolo, “dall’Europa e dalla comunità internazionale serve una risposta politica, perché non è una reazione emotiva quella che può seguire una strage di queste proporzioni”. E’ vero, l’emotività non aiuta. Così come, a centrare meglio i problemi di questi giorni, non aiutano le riflessioni di molti autorevoli commentatori sulle ragioni profonde della tragedia dei migranti che sarebbero collegate alle responsabilità dell’occidente, e del “naufragio dei suoi valori”. E’ davvero così? A noi questa pare un’analisi che risente di una sorta di imperialismo culturale, come se i “valori dell’occidente”, a cominciare dalla libertà e responsabilità della persona di origine giudeo-cristiana, fossero universalmente accettati. Non è così: ci sono altre civiltà che, pur avendo in qualche modo subìto o accettato gli elementi materiali della civiltà occidentale, la tecnologia, i consumi, il mercato, li innestano in una visione dell’uomo diversa.
Avviene in Cina e in India, così come nei paesi islamici. Questa alterità irriducibile, che è stata illustrata in modo magistrale da Joseph Ratzinger a Ratisbona, non può essere cancellata o trascurata quando si tratta di interagire con quei popoli e quei paesi. L’illusione che il conflitto di fondo sia scomparso è un’eredità fallace del periodo coloniale, quando il dominio militare dell’occidente aveva sopito le tensioni, che si sono ripresentate da quando è cessato l’equilibrio e il duplice controllo bipolare durante la Guerra fredda.
Questo non significa, naturalmente, che non sia necessaria un’azione politica diplomatica e probabilmente militare per stroncare i fenomeni più aberranti, dalla dissoluzione degli stati in contese tribali alla crescente influenza delle centrali terroristiche alla tratta dei migranti. Se però si parte dall’autoflagellazione dell’occidente non si va da nessuna parte. Ci può e ci deve essere un approccio razionale, una realpolitik che faccia affidamento sui rapporti con i regimi più stabili, senza chiedere a nessuno i documenti di affidabilità umanitaria – come peraltro si fa da sempre per esempio con l’Arabia Saudita, che non è certo un esempio di libertà religiosa. Tutto ciò, non può essere contenuto dentro un involucro di retorica sui valori basata sulla fallace convinzione che essi siano effettivamente condivisi, o sull’esportazione della democrazia che poi si traduce nel disastro anarcoide delle primavere arabe, finite quasi ovunque nell’anarchia o nella restaurazione delle dittature militari tradizionali.
Non è un atteggiamento cinico quello che riconosce le differenze e che punta a realizzare i propri obiettivi partendo dall’esigenza di intese e di scontri con altri da noi, che hanno la loro visione e che portano la responsabilità delle conseguenze tremende degli errori e dei crimini commessi spesso in nome di una religione o di una civiltà. Se l’occidente si assume anche le colpe che non ha, rischia di perdere l’autorità che deriva dalla sua forza economica e militare, ma anche dalla sua concezione della vita e della libertà, che deve essere difesa dai suoi nemici, oggi come settant’anni fa.
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