Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 22/04/2015, a pag. 14, con il titolo "I sauditi fermano i raid sui ribelli dello Yemen", la cronaca di Maurizio Molinari; dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale "Se questa è una pace con Teheran"
Ecco gli articoli:
Sunniti e sciiti in Medio Oriente. In Yemen parte della popolazione è sciita e filo-iraniana
LA STAMPA - Maurizio Molinari: "I sauditi fermano i raid sui ribelli dello Yemen"
Maurizio Molinari e il suo recente libro "Il Califfato del terrore"
Il re saudita Salman blocca i raid sullo Yemen, cambia il nome dell’operazione da «Decisive Storm» a «Restore Hope» e impartisce ai 100mila uomini della Guardia Nazionale l’ordine di «partecipare alle missioni» di sicurezza, anti-terrorismo e aiuti alla ricostruzione. L’intento, spiegano i portavoce di Riad, è «far applicare la risoluzione Onu che impone agli houthi di ritirarsi dai territori catturati» a cominciare da Sana’a ed Aden.
Mediazione americana
La svolta del re Salman arriva dopo una telefonata con Obama favorevole a una «soluzione politica» della crisi iniziata con il rovesciamento del presidente Abdel Rabbo Mansour Hadi in febbraio da parte degli houthi e continuata con l’intervento saudita di fine marzo. Teheran aveva intuito che la svolta era imminente, anticipando di alcune ore la fine dei raid, a conferma dell’esistenza anche su questo terreno di un solido canale di comunicazione con Washington. «Restore Hope» inizia su un terreno minato. Ventisei giorni di bombardamenti consentono alla coalizione arabo-sunnita di vantare il «raggiungimento degli obiettivi militari» ma i ribelli continuano a controllare i centri del potere politico e le maggiori basi. Riad spiega la resistenza dei ribelli con il sostegno delle truppe dell’ex presidente Ali Saleh e gli aiuti di Teheran: parla di «consiglieri iraniani» catturati e accusa i pasdaran di aver addestrato i ribelli «perfino a volare con i jet». A ciò si aggiunge che Hassan Nasrallah, capo degli Hezbollah libanesi e alleato di Teheran, da Beirut ha ammonito i sauditi su «incursioni houthi nel vostro territorio».
È uno scenario ad alto rischio che, spiega perché il principe Miteb, comandante della Guardia Nazionale, si dice «onorato» di «difendere il regno». In attesa di capire se le truppe saudite si limiteranno a blindare i confini o varcheranno la frontiera yemenita per missioni di anti-terrorismo, l’approccio saudita è confermato da Abdallah al-Muallami, ambasciatore all’Onu: «Gli houthi devono ritirarsi dai territori occupati».
Rischio di scontri in mare
Il presidente iraniano Rohani da parte sua descrive l’Arabia Saudita così: «Una malata mentale, emotivamente squilibrata dopo i fallimenti in Iraq, Siria e Libano». Il pericolo maggiore viene da un incidente a largo di Aden fra navi iraniane e saudite. Da qui la scelta della Us Navy di posizionarsi nell’area con una mini-flotta.
IL FOGLIO: "Se questa è una pace con Teheran"
Soldati yemeniti combattono contro i terroristi filo-iraniani houti
Messa davanti alla scelta tra il prolungamento di una infruttuosa campagna aerea – che però ha provocato molti morti tra i civili yemeniti – e un intervento di terra che senza dubbio sarebbe stato ostico (per usare un eufemismo), l’Arabia Saudita ha chiuso ieri sera al tramonto l’operazione “Tempesta decisiva” contro i ribelli sciiti Houthi sostenuti dall’Iran. I trenta giorni di bombardamenti non hanno riportato lo Yemen allo status precedente, quello preferito dalla casa Saud, con i ribelli confinati al nord e un presidente amico nella capitale Sana’a. Piuttosto, le cose sono rimaste come prima: gli Houthi spadroneggiano da nord a sud e incalzano da vicino il presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, rifugiato sull’estrema costa sud nella città di Aden.
Non è chiaro perché la Tempesta lascia ora la scena a una nuova operazione, “Restituire la speranza”, che i sauditi dicono molto più focalizzata su una soluzione politica. Forse Riad sentiva che la situazione stava loro sfuggendo di mano, verso una escalation catastrofica? Un’azione di contenimento locale cominciava a trasformarsi in una crisi capace di superare in gravità le altre orribili crisi che in questo momento stanno squassando il medio oriente, perché stava per aprire un conflitto potenziale tra americani e iraniani.
Proprio davanti al golfo di Aden la portaerei americana USS Theodore Roosevelt assieme ad altre navi fronteggia in queste ore senza muoversi una flotta di almeno otto navi da guerra iraniane. Poco lontano, sulla terraferma, ad Aden, si sta combattendo l’ultima battaglia tra i ribelli Houthi e il governo del presidente Hadi, ancora sostenuto dall’ampia coalizione sunnita capeggiata dall’Arabia Saudita, a cui l’America fornisce intelligence e supporto logistico. La portaerei Roosevelt è arrivata ieri davanti ad Aden per monitorare e bloccare il flusso di navi iraniane che si sospetta stia rifornendo di armi e mezzi l’avanzata dei ribelli. E’ un’operazione di sorveglianza, ma come dice un ufficiale militare americano al Wall Street Journal, a seconda di come si muoveranno le navi di Teheran potrebbe esserci uno “showdown”.
Davanti alle coste di Aden, l’America e l’Iran sono a tanto così da uno scontro armato, e questo decisamente non depone a favore di quanti, in primis il presidente americano Barack Obama, si erano convinti che il deal atomico, siglato in forma provvisoria pochi giorni fa a Losanna (a fine giugno è prevista la firma definitiva), avrebbe propiziato lo scongelamento dei rapporti con il blocco di potere guidato dall’Iran. Sembra che gli ottimisti non abbiano fatto i conti con gli ayatollah, che non hanno abbandonato il loro piano di dominio sulla regione, che comprende il sostegno agli Houthi in Yemen, il rinfocolare la guerra siriana con il dittatore Bashar el Assad, e la messa in discussione continua – non solo a parole – del diritto di Israele a esistere.
Per il regime iraniano il deal atomico con l’America non è un fine, ma un semplice mezzo, e cosa succederebbe a questo deal ancora tutto da confermare se dovesse esserci uno scontro in mare tra navi americane e iraniane al largo di Aden? Di solito la firma di un accordo, e di uno storico come quello sul nucleare iraniano, è preceduta quanto meno da un cessate il fuoco. Teheran invece continua la sua politica di aggressione su molti fronti come se niente fosse. E’ questo l’interlocutore con cui l’America e l’occidente vogliono fare la pace dopo oltre quarant’anni?
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