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AA.VV. - Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno - 21/04/2015

AA.VV
Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno
Prefazione di Antonia Arslan
Giuntina

Nel 1939, poco prima dell'invasione della Polonia, Adolf Hitler tenne un discorso al comando delle SS, in cui ordinò come procedere per la "soluzione finale" e lo sterminio degli ebrei attraverso un universo concentrazionario fatto di sangue e orrore. Quando qualcuno dalla platea gli fece notare che sterminare milioni di ebrei non sarebbe passato inosservato, Hitler rispose: "Chi si ricorda oggi dello sterminio degli armeni?". Anche in questo Hitler è stato sconfitto. Non si può cancellare un popolo né la sua memoria. E a mantenere vivo il ricordo del genocidio armeno per primi sono stati proprio quattro ebrei.

"Armeni, fratelli miei, è un ebreo che vi sta parlando...". Nel giorno della Memoria che ricorda l'Olocausto degli ebrei nella Germania nazista della Seconda guerra mondiale e a settanta anni dalla liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, la casa editrice La Giuntina dà alle stampe Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno, un libro toccante e coraggioso a cura di Fulvio Cortese e Francesco Berti, che racconta dello sterminio degli armeni per mano dei Giovani turchi nel 1915.

Toccante perché le voci narranti di Metz Yeghern, il Grande male come lo chiamano gli armeni, sono quelle di quattro ebrei. Coraggioso perché, a distanza di cento anni dal massacro degli armeni, il loro genocidio è ancora negato dai carnefici. Nessuna traccia sui libri di scuola di tanti Paesi europei, nessuna traccia nei libri di scuola della Turchia del presidente Recep Tayyip Erdogan.

E, a quanto sembra, nessuno traccia nemmeno nelle commemorazioni che si terranno il 24 aprile a Berlino, visto che il ministro degli Esteri tedesco, Frank Walter Steinmeir, ha recentemente dichiarato che "Il governo (tedesco) è informato delle iniziative programmate dalle comunità armene per il centenario degli eventi del 1915. Ma al momento non è previsto il patrocinio queste iniziative". Rispondendo nel Bundestag a una serie di domande dei deputati di Die Linke, il capo della Diplomazia tedesca ha detto che non c'è "certezza storica" del genocidio armeno e che, per questo, la questione va risolta tra Turchia e Armenia.

Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno è un volume che gronda sangue e memoria. La prefazione di Antonia Arslan squarcia il velo di racconti serrati e tragici. Le parole di Lewis Einstein, André Mandelstam, Aaron Aaronsohn e Rapahel Lemkin rievocano un genocidio fantasma, che aleggia sull'Europa e la cui testimonianza impone una doverosa riflessione. Il racconto in tempo reale di questi quattro ebrei è ancora più significativo perché Einstein, Mandelstam, Aaronsohn e Lemnkin furono tra le poche voci a cercare di portare all'attenzione del mondo quello che nel 1915 stava succedendo in Turchia. All'epoca i tedeschi erano a conoscenza e non fecero nulla per fermare l'eccidio, rendendosi storicamente complici dei Giovani turchi e del massacro di più di 1 milione e mezzo di armeni.

Sfilano nelle pagine di Pro Armenia le immagini di madri, padri, bambini, anziani, ragazzi e ragazze, un intero popolo sterminato, cacciato dalle proprie case, umiliato, offeso, torturato. I vagoni merce che trasportavano gli armeni a morire nel deserto non erano marchiati dalla svastica del Terzo Reich, ma dalla Mezzaluna dell'impero ottomano, tuttora nella bandiera della Repubblica turca. Immagini di morte e disperazione in bianco e nero, che prendono corpo e vita, che respirano plasticamente attraverso il racconto di chi c'era e ha provato a salvarli.

Quattro uomini giusti, quattro ebrei. Furono tra i pochi a squarciare il velo dell'indifferenza su un genocidio che era il tragico antipasto della mattanza ebraica cui il mondo avrebbe assistito solo un pugno di anni dopo. Le quattro voci dei "fratelli" ebrei degli armeni provarono a lanciare l'allarme, tentarono di fermare l'eccidio in una disperata corsa contro il tempo. Ma la comunità internazionale colpevolmente volse lo sguardo altrove.

Oggi, a cento anni dal genocidio armeno, non è più possibile chiudere gli occhi e - anzi - è un dovere tenerli bene aperti. Perché, se - come dice Elie Wiesel - l'ultimo atto di un genocidio è la sua negazione, la demonizzazione dell'altro, l'antisemitismo e l'armenofobia galoppante, alimentata negli ultimi anni sia dall'Azerbaijan che dalla Turchia, è il segnale che un nuovo genocidio potrebbe ancora compiersi, perché laddove non esiste "memoria", il Grande male può nuovamente affilare i suoi artigli.

Ebrei ed armeni, uniti nella memoria e nella condivisione di un passato di morte e di una ferita lacerante che si riapre ogni volta che la comunità ebraica e quella armena entrano nel mirino di antisemiti e armenofobi. Non è casuale che nel giorno della memoria della Shoah il presidente armeno Serzh Sargsyan abbia indirizzato alla comunità ebraica mondiale un discorso, dicendo che "E’ verità incontestabile che relegare le vittime di genocidi all’oblio e al negazionismo, soprattutto se di Stato, rappresenti un altro passo dello stesso crimine. E si tratta di un doppio crimine perché viene commesso non solo contro delle vittime innocenti ma anche contro il nostro presente ed il nostro futuro".

Ma c'è una speranza. In un'Europa segnata da un antisemitismo crescente, la Fondazione per la Memoria della Shoah e la Fondazione per l'Innovazione politica, hanno diffuso i risultati di una ricerca sulla "Memoria nel Ventesimo secolo". Un'inchiesta condotta su 31.172 giovani tra i 16 e i 29 anni in 24 Paesi del mondo. Il 77% dei giovani intervistati crede che nel 1915 in Turchia andò in scena il genocidio degli armeni. E in Italia i numeri sono addirittura più alti. Nonostante il silenzio dei libri di Storia, l'87% dei ragazzi italiani interpellati non ha dubbi nel dire che quello degli armeni fu un genocidio.

Alla faccia di Hitler e delle sue convinzioni assassine, la Storia ha già parlato. E questo vale per gli ebrei, per gli armeni e per i ruandesi. I tre popoli che nel Ventesimo secolo hanno attraversato l'inferno del genocidio e ne custodiscono la memoria, tramandandola affinché non succeda mai più.

Anna Mazzone - Panorama




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