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La Stampa Rassegna Stampa
21.04.2015 L'ultimo viaggio di Elio Toaff è nella sua Livorno
Commento di Mattia Feltri

Testata: La Stampa
Data: 21 aprile 2015
Pagina: 33
Autore: Mattia Feltri
Titolo: «Il ritorno a casa di Elio Toaff, rabbino partigiano nato tre volte»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 21/04/2015, a pag. 33, con il titolo "Il ritorno a casa di Elio Toaff, rabbino partigiano nato tre volte", il commento di Mattia Feltri.

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Mattia Feltri                     Elio Toaff

Elio Toaff è tornato ieri pomeriggio a Livorno, da dove era partito, diretto verso il disastro del Novecento, 74 anni fa. Un viaggio di poche ore: basta niente per riavvolgere il nastro di tre quarti di secolo. E forse sarebbe sufficiente guardare la gente del ghetto, e non soltanto gli ebrei, che ieri mattina sfilavano davanti al feretro eccezionalmente esposto, per l’eccezionalità del maestro, sotto il colonnato della sinagoga di Roma; e poi pensare che in quel preciso istante papa Francesco aveva davanti a sé in Vaticano la Conferenza dei rabbini europei, e diceva: «Ci preoccupano le tendenze antisemite in Europa. Ogni cristiano non può che essere fermo nel deplorare ogni forma di antisemitismo».

Salvato da un prete
Nel 1938, 77 anni fa, il preside della facoltà di Giurisprudenza a Pisa, Widar Cesarini Sforza, «buttò la toga sulla cattedra e uscì sbattendo la porta: che un ebreo potesse ottenere la laurea era superiore alla sua sopportazione», come ha raccontato molti anni dopo Toaff. Le leggi razziali erano appena entrate in vigore e lui si laureò perché era già iscritto all’università e in ordine con gli esami. Piuttosto fu difficile trovare un relatore della tesi. Non ce n’era uno disposto ad accollarsi un’impresa così sgradita al sentimento del tempo. Un tempo appena inaugurato di abissale follia, e le via d’uscita erano pertugi tracciati da uomini come don Bernardino, prete «dall’aspetto minuto»: Toaff era rabbino di Ancona dal 1941, e poi arrivò l’8 settembre, lo sfacelo della patria, le deportazioni frenetiche e sorde, e fu allora che don Bernardino corse incontro a Toaff, di ritorno dalle preghiere nel tempio, e gli disse: «A casa sua ci sono i tedeschi, venga da me in canonica».

Ecco, ci sono uomini e no. Toaff fuggì in Versilia, vicino a casa, e si arruolò partigiano nella Brigata Garibaldi X bis Gino Lombardi. Fu catturato dai tedeschi a Montramito, Lucca, assieme a compagni che dalle fessure di una stalla vide pendere dagli alberi; e l’indomani mattina lui e il resto dei prigionieri furono obbligati a scavarsi la fossa, e finito quel lavoro Toaff cominciò a pregare e il capitano nazista lo sentì. «Ho moglie e un figlio», disse Toaff. «Anche io», disse il capitano. E poi: «Questo qui fatelo uscire». Spararono agli altri, li coprirono di terra che ancora si lamentavano. Il capitano offrì a Toaff la pistola per il colpo di grazia. «Non ne ebbi il coraggio».

Ieri, sotto il sole dell’una - dopo che i bambini della scuola elementare ebraica Vittorio Polacco avevano salutato il loro vecchio rabbino, i maschietti con la kippah e la felpa dell’Uomo ragno, le bambine sperdute nella solennità istituzionale -, le parole dei presidenti della Repubblica, del Senato e della Camera, e di ogni titolare di carica, avevano sottolineato l’aggettivo così ovvio: «italiano». O meglio, «grande italiano». Un po’ ci si stupisce, poi ci si stupisce dello stupore, si ricorda che ieri l’altro, anno 1982, non ci fu solamente l’attentato alla sinagoga con la morte di Stefano Gaj Taché, di due anni, e pure la sua piccola cassa bianca sostò sotto il colonnato perché, disse Toaff, «così si usa fare per i grandi maestri»; ci fu anche, pochi mesi prima, un corteo sindacale che aveva lasciato una bara di cartone davanti al tempio.
Uomini e no, e chissà quanti di loro sapevano che meno di quarant’anni prima Toaff, vagante nei boschi, era stato tra i primi a entrare a Sant’Anna di Stazzema all’indomani dell’eccidio. C’erano corpi a terra e le case fumavano, e Toaff e un compagno varcarono l’ingresso di una delle prime. «Ho ancora difficoltà a raccontare. C’era una donna, seduta di spalle, di fronte a un tavolo. Per un attimo pensai che fosse viva. Ma, appena avanzai, vidi che aveva il ventre squarciato da un colpo di baionetta e sul tavolo giaceva il frutto del suo grembo. Avevano tirato un colpo d’arma da fuoco in testa a quel povero bimbo non ancora nato».


Elio Toaff con Carlo Azeglio Ciampi


Cento anni meno 10 giorni
Oggi i vaticanisti dicono scherzando che «l’ultimo Papa a entrare in una sinagoga era stato Pietro». Era andata così: Toaff e il cardinale Jorge María Mejía si incontravano riservatamente per organizzare la visita di Giovanni Paolo II. «Ha qualcosa in contrario a entrare?, mi aveva chiesto Mejía davanti alla porta della canonica». Toaff entrò e i due si chiesero se il mondo fosse pronto, 1986 anni dopo la nascita di Cristo. Toaff consultò «uno per uno» i rabbini europei, ed ebbe il loro appoggio. E alla fine l’intera storia di un uomo vissuto cento anni meno dieci giorni e che è stato rabbino capo di Roma per mezzo secolo, dal 1951 al 2001, sembra stare dentro un viaggio di ritorno di poche ore, o forse dentro un viaggio infinito, dai confini astrali: nato il 30 aprile 1915, rinato il 25 aprile del 1945, il giorno della Liberazione per cui aveva combattuto, e nato una terza volta il 13 aprile del 1986, la mattina in cui il primo Papa ha messo piede in una sinagoga e ha chiamato gli ebrei «fratelli maggiori». E dunque morto il 19 aprile del 2015, quando tutto è risolto, tutto è passato, e già assomiglia al domani.

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