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La Stampa Rassegna Stampa
19.04.2015 La Stampa diventa Teheran News con Toscano nella veste di Khamenei
L'iran è la 'colomba', il 'falco' è il Congresso americano

Testata: La Stampa
Data: 19 aprile 2015
Pagina: 1
Autore: Roberto Toscano
Titolo: «I nuovi ostacoli per un accordo con l'Iran»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/04/2015, a pag.1/19, con il titolo " I nuovi ostacoli per un accordo con l'Iran", il commento di Roberto Toscano, preceduto dal nostro commento.

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Roberto Toscano                          Un fotomontaggio istruttivo

Quando vanno in pensione, alcuni ambasciatori si trasformano in storici, confondendo la precedente professione- condotta secondo le istruzioni dei vari governi- con quella del tutto differente di storico. Non è soltanto di caso di Sergio Romano, è successo anche per Roberto Toscano, che forse avrebbe fatto meglio ad offrire i propri servigi direttamente a Confindustria, visto il taglio che hanno le sue "analisi".

Quella di oggi riguarda nuovamente l'Iran, se possibile ancora più spinta nel difendere le ragioni e la propaganda della teocrazia.
1) I 'falchi' sono i critici dell'accordo che porterà l'Iran a dotarsi dell'arma nucleare, se ne deduce quindi che è l'Iran a interpretare la parte della 'colomba'. Una colomba ripiena di dollari che renderanno felici i rappresentati da Confindustria.
2) Le affermazioni di Khamenei, riportate sui media internazionali, non vanno interpretate come un ultimatum/ricatto del dopo Losanna, ma come una frase qualunque. Toscano aririva a mettere persino in dubblo che l'abbia proferita.
3) Tutto l'articolo è permeato da un fastidiose suono di violini inneggianti ai desiderata degli ayatollah iraniani, ignorando che quel regime è il centro del terrorismo che insanguina -per ora- il mondo arabo musulmano, ma che con l'atomica, minaccerà anche i paesi democratici.
4) Tralasciamo l'assenza delle minacce di distruzione di Israele, Toscano le ha sempre ignorate e continua a farlo.

In base a queste considerazioni, chiediamo ai nostri lettori di scrivere a Mario Calbresi, direttore della STAMPA, se non si sente a disagio nel pubblicare analisi più adatte a qualche quotidiano del regime di Teheran.
Ecco la e-mail: direttore@lastampa.it


Mario Calabresi

Ecco l'articolo:

Sono passati solo pochi giorni dall'intesa raggiunta a Losanna sulla questione nucleare iraniana, e già il sollievo espresso da molte parti per un'importante vittoria della diplomazia comincia ad essere intaccato da dubbi, quasi dalla prospettiva di una sorta di «fallimento a orologeria». I falchi, apparentemente sconfitti, tornano a volare sotto forma di gufi che sottolineano, spesso con scoperto compiacimento, le interpretazioni dissonanti che giustificherebbero pesanti dubbi sulla possibilità di un accordo definitivo entro il 30 giugno. L'attenzione si concentra soprattutto sulle dichiarazioni rilasciate la settimana scorsa dal Leader Supremo Khamenei, in particolare sulla sua affermazione secondo cui le sanzioni imposte all'Iran andrebbero eliminate «il giorno della firma dell'accordo definitivo».
Si tratta di un'interpretazione che non risulta dal testo dell'intesa preliminare e contrasta con quanto contenuto nel «fact sheet» americano, una sorta di sommario diffuso subito dopo il raggiungimento dell'intesa a Losanna dove si sostiene che le sanzioni verranno rimosse una volta che sia verificato il rispetto da parte dell'Iran degli impegni assunti nell'accordo definitivo.
Va osservato, per inciso, che il gioco delle interpretazioni unilaterali è iniziato appunto con la diffusione di quel documento americano non concordato, subito deplorata in un tweet di Zarif («l'accordo è quello che è: non c'è bisogno di interpretarlo con un "fact sheet"»).
Per quanto riguarda la sostanza, non vi è dubbio che la pretesa di una rimozione istantanea delle sanzioni al momento della firma di un accordo sia poco realistica, ma nello stesso tempo non sembra accettabile per Teheran uno sfasamento fra applicazione immediata degli impegni iraniani in termini di limitazioni e controlli e un processo di rimozione delle sanzioni diluito lungo un processo poco definito nelle sue scadenze.
Il fatto è che entrambe le parti cercano di presentare il proprio bicchiere come mezzo pieno - e per converso quello dell'altra parte come mezzo vuoto, ma, come ha detto il Segretario all'Energia Moniz, le «narrazioni» delle due parti sui contenuti dell'intesa sono «selettive piuttosto che divergenti».
Tutto a posto, quindi? Tutto riconducibile a uno scoperto tentativo di aumentare in questa fase intermedia il proprio vantaggio negoziale? Se è vero che l'accordo, anche se preliminare, c'è stato, e che sarebbe del tutto prematuro descriverlo come destinato al collasso, non vanno certo sottovalutati i pericoli, pericoli di natura politica piuttosto che di tipo negoziale. Il rischio maggiore proviene soprattutto dalle complesse dinamiche in corso fra Obama e il Congresso.
La recente approvazione da parte della Commissione Esteri del Senato del «Iran Nuclear Agreement Review Act» è il frutto di un compromesso che per Obama era forse inevitabile, ma che potrebbe mettere nelle mani del Congresso un potenzialmente micidiale diritto di veto sull'accordo definitivo. In Iran, l'ayatollah Khamenei ha autorizzato gli abili negoziatori iraniani a portare avanti un negoziato serio e a raggiungere un'intesa preliminare perché isolamento e sanzioni, se protratti, minacciavano anche se non un crollo, certamente un'usura del regime.
Non solo, ma sembra interessante registrare il cenno di Khamenei, ripreso dal ministro degli Esteri Zarif in una sua intervista al Pafs, alla possibilità di estendere «ad altri temi» il metodo di un negoziato con gli americani.
Nello stesso tempo sembra difficile che a Khamenei e ai più conservatori nel vertice del regime sfuggano i rischi connessi alla fine di quell'isolamento, soprattutto in presenza della potente spinta di una società altamente scolarizzata e caratterizzata, soprattutto nella sua vasta classe media, non solo dall'aspirazione a più alti livelli di consumo, ma a forti cambiamenti sotto il profilo del pluralismo politico, dei diritti, e dell'apertura al mondo.
La trionfale accoglienza di Zarif all'aeroporto di Teheran dopo la conclusione dei negoziati di Losanna ha confermato la forza di un sentimento di orgoglio nazionale che il regime della Repubblica Islamica era certamente riuscito a captare negli otto anni della guerra con l'Iraq, ma di cui oggi non può certo ritenere di avere il monopolio. Non deve essere risultato molto tranquillizzante per il regime registrare che Zarif è stato accolto con slogan che, nell'inneggiare alla sua difesa dei diritti dell'Iran in campo nucleare, non menzionavano Khamenei, bensì tracciavano un parallelo fra Zarif e Mossadeq, il primo ministro borghese e nazionalista che, avendo nazionalizzato il petrolio, fu rovesciato nel 1953 da un colpo di stato organizzato da Cia e Mi6.
In una cruciale congiuntura come quella attuale, il nazionalismo iraniano sembra affrancarsi dal regime islamico. Il regime ha bisogno dell'accordo sul nucleare, ma nello stesso tempo ne ha paura. Contraddizioni ed elementi di fragilità, quindi, ma certo ancora non tali dal considerare destinato al collasso il sostanziale anche se preliminare accordo raggiunto a Losanna.

per inviare la propria opinione al direttore della Stampa Mario Calabresi, telefonare: 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


direttore@lastampa.it

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