Riprendiamo da LIBERO di oggi, 19/04/2015, a pag. 1/2, con il titolo " L'Italia coccola l'islam e marchia gli ebrei ", la cronaca di Marco Gorra. Sul medesimo argomento si veda il nostro commento uscito ieri http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=120&id=57918 e che riprendiamo:
Le speranze riposte sul ministro degli esteri Gentiloni sono evidentemente state affrettate. Che abbia firmato l'obbligo per Israele di etichettare i prodotti che vengono da Giudea e Samaria - arrogantemente definite 'nomi biblici' per delegittimarne l'esistenza - rivela quale sarà la poltica estera del nostro governo verso il Medio Oriente. Totale adesione alla narrativa della propaganda araba. Se Giudea e Samaria - terrorori contesi e non occupati- sono 'nomi biblici',che dire allora della validità dei nomi 'west bank', oppure 'cisgiordania', inventati dagli ex stati coloniali europei in epoca recente, per non dire l'altro ieri ?
E' urgente una mobilitazione trasversale per far rinsavire il governo, altrimento tanto valeva votare D'Alema, almeno i giochi sporchi sarebbero stati prevedibili, e persino più facili da combattere.
Il boicottaggio non deve passare !
Germania nazista, UE replica in chiave europea: complimenti !
Ecco l'articolo di Marco Gorra:
Rafforzare Triton e trovare il modo di arginare la marea umana di disperati frammisti a tagliagole dell'Isis? Neanche a parlarne: costa soldi e gli Stati del blocco del Nord non hanno nessuna convenienza. Aiutare i Paesi più esposti a controllare le frontiere per evitare di trasformare il Mediterraneo in una gigantesca porta girevole per chiunque abbia in animo di portare la guerra santa nel Vecchio continente? Anche no, ché di obblighi non ne sussistono ed alla Mitteleuropa va benone che ciascheduno si arrangi coi confini che gli sono toccati in sorte. Soprattutto, per l'Unione europea prima di prendere in considerazione l'ipotesi di lavorare per arginare l'immigrazione clandestina ed il terrorismo a domicilio ci sono cose molto più serie ed urgenti a cui pensare: tipo applicare un po' di sano nazismo di ritorno a quei cattivoni di israeliani. Quella sì che è una priorità, altro che l'Isis. Nello specifico, l'idea è quella di apporre un marchio speciale su tutti i prodotti provenienti dai territori palestinesi occupati. La richiesta è contenuta in una lettera firmata dai ministri degli Esteri di sedici Stati membri (in testa l'Italia con Paolo Gentiloni. Seguono Francia, Gran Bretagna, Spagna, Belgio, Svezia, Malta, Austria, Irlanda, Portogallo, Slovenia, Ungheria, Finlandia, Danimarca, Paesi Bassi e Lussemburgo. La sola Germania tra i grandi Paesi Ue risulta astenuta) ed indirizzata all'Alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini. La missiva è un tripudio del più classico antisemitismo mascherato alla bell'e meglio da questione geopolitica: «La continua espansione degli insediamenti illegali di Israele nei territori palestinesi occupati», c'è scritto, «minaccia la prospettiva di un accordo di pace». Pertanto, si rende necessaria la marchiatura: «I consumatori europei», concludono i sedici, «devono avere fiducia nel sapere le origini dei prodotti che stanno acquistando». Il progresso compiuto rispetto ai gloriosi tempi di un'ottantina di anni fa è d'altronde vistoso: in luogo dell'ormai vieto ed abusato cartello "negozio ebreo" da inchiodare sulla porta della bottega a motivarne la repentina chiusura per ordini superiori, oggi si passa ad una più pratica etichetta ad hoc che - in epoca di tracciabilità diffusa - risulta assai più al passo coi tempi e rispondente alle esigenze della modernità. Il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman, che bolla l'iniziativa dei sedici ministri europei come «ipocrita e cinica», suggerisce agli euro-burocrati di fare il passo in più e di apporre sui boicottandi prodotti israeliani direttamente «la stella gialla, come facevano i nazisti». Che l'Unione europea abbia individuato il nemico nello Stato ebraico, d'altronde, non è esattamente una novità. Fatto muro con poco sforzo e molto successo di fronte alla proposta dei Radicali e dell'Economist di far entrare Israele nell'Unione (mica è la Turchia, dopo tutto), i politici di Bruxelles cercano semmai di allontanare quanto possibile Tel Aviv dall'Unione. Nel gennaio scorso, una cordata trasversale di parlamentari (per l'Ialia c'era il terzetto della lista Tsipras Spinelli-Maltese-Forenza) ha chiesto alla Mogherini di sospendere l'accordo di associazione con Israele tirando in ballo il solito campionario di accuse da centro sociale a base di «violazione dei diritti umani e dei principi democratici». Poche settimane prima, l'emiciclo brussellese si era tolto la soddisfazione di infilare il proverbiale dito nell'occhio ad Israele mediante approvazione di documento in cui si riconosceva lo Stato palestinese (per non farsi mancare nulla, nelle stesse ore la Corte di giustizia europea reclamava a gran voce la cancellazione di Hamas dalla lista nera delle organizzazioni terroristiche). E adesso, la richiesta dell'etichetta, che per diventare realtà ha soltanto bisogno di essere adeguatamente sponsorizzata dalla Mogherini in sede di Commissione. Difficile prevedere come si comporterà Lady Pesc. Un precedente che fa ben sperare c'è ed è quello del 2013, quando analoga pratica era finita sul tavolo dell'allora Alto rappresentante Catherine Ashton. La signora britannica - pare anche per effetto dei consigli del segretario di Stato americano John Kerry - decise di cestinare il tutto. Ora va solo capito se l'ex ministro degli Esteri italiano potrà o vorrà esercitare la stessa fermezza dimostrata da colei che l'ha preceduta.
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