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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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L’Egitto a un pericoloso punto morto 18/04/2015
 L’Egitto a un pericoloso punto morto
Analisi di Zvi Mazel

(Traduzione di Angelo Pezzana)

Il Presidente dell'Egitto el Sissi

Il Presidente Sissi sta combattendo per la sopravvivenza del suo paese e di se stesso, mentre il terrorismo islamico sta ostacolando ogni sforzo che possa migliorare le condizioni di vita della popolazione attraverso una ripresa economica e una stabilità politica. Sissi sa bene di dover ottenere presto dei risultati per impedire che il paese sprofondi nell’anarchia e nel caos.
Malgrado tutti i tentativi dell’esercito di sconfiggere l’insurrezione islamica nel Sinai, una soluzione è ancora lontana. Gli aerei F16 e gli elicotteri Apaches si sono uniti alle forze regolari, le unità di sicurezza hanno ferito e ucciso centinaia di terroristi, distrutto i loro covi e le strutture di addestramento, ma numerosi altri focolai stanno nascendo.
I terroristi del Ansar Beit el Makdes, che hanno dichiarato la loro fedeltà allo Stato Islamico (Daesh), continuano ad attaccare stazioni di polizia e altre forze di sicurezza con raids sempre più audaci, causando perdite di vite umane e forti danni. Il 14 aprile, il comandante della stazione centrale di polizia di Al Arish era stato ferito in un raid, ma gli assalitori erano riusciti a fuggire.

Pur con tutte le buone intenzioni, la situazione ha raggiunto un punto morto, anche se l’esercito ha circoscritto i terroristi nella zona nord della Penisola del Sinai, impedendogli di allargare gli attacchi al sud e il Canale di Suez, dove avrebbero potuto infliggere enormi danni all’economia e alle infrastrutture legate alla sicurezza, minando alla radice la fiducia della gente.
Ci sono pur sempre attacchi sporadici al Cairo e in altre parti del paese. Le bombe esplodono causando vittime, le linee elettriche vengono sabotate. Vi sono coinvolti i gruppi terroristi, da Ansar Beit el Makdes fino ai cosiddetti “ Soldati dell’Egitto” e, in più, la continua presenza del Fratelli Musulmani; molti di loro sono stati arrestati, i leader condannati a morte – anche se nessuna sentenza è ancora stata eseguita – ma continuano le loro dimostrazioni contro il regime anche se in misura minore.

Nello Yemen, le tribù Houthi, sostenute dall’Iran stanno per impadronirsi degli strategici Stretti del Mar Rosso, mettendo a rischio il libero passaggio nel Canale di Suez. Un richiamo, anche se non è necessario, al fatto che il terrorismo islamico non conosce confini. Il presidente egiziano ha cercato invano di convincere gli Usa e la coalizione contro l’Isis da loro guidata di allargare il loro impegno a tutto il Medio Oriente. Omaba si rifiuta di capire che il cosiddetto Stato Islamico ha una dimensione regionale e internazionale. Questo “Stato” procura dalla Libia, e in grandi numeri, terroristi e armi all’ Ansar Beit Al Makdes nella Penisola del Sinai. Non importa quanti terroristi vengano arrestati o uccisi dall’ esercito egiziano, altri ne arrivano dalle zone montagnose e dal deserto, lungo i 1200 chilometri del confine tra i due paesi.

Poi c’è Gaza, dove trovano rifugio i terroristi, nei campi di addestramento, dove vengono anche distribuite armi di nuova fattura. Si sta cercando disperatamente di separare la Penisola dalla Striscia. Il passaggio di confine di Rafah è quasi sempre chiuso, e quando è aperto è sotto la stretta sorveglianza delle autorità egiziane. Più di 2000 tunnel di contrabbando sono stati distrutti ed è stata costruita una zona smilitarizzata di un chilometro; migliaia di famiglie sono state allontanate. Sono state rimborsate, ma lo scontento è forte. Questo esproprio ha generato una generale condanna dalle associazioni per i diritti civili. Malgrado ciò il governo è intenzionato ad allargare questa zona fino a cinque chilometri e a condannare all’ergastolo chiunque scavi tunnel per il contrabbando.

Un tribunale al Cairo ha bloccato le attività di Hamas in Egitto e un altro ha dichiarato Hamas una organizzazione terrorista; eppure il governo centrale ha fatto ricorso contro questa decisione per salvaguardare il dialogo sul tema palestinese iniziato con chi comanda a Gaza. La minaccia Iran-Houthi ha spinto il presidente Sissi a perorare il formarsi di una risposta araba unita, mentre l’Arabia Saudita ha cercato di convincere i vicini stati arabi a formare una coalizione contro i ribelli nello Yemen, che stanno minacciando i suoi confini a sud, mentre stanno per prendere il controllo dello strategico porto di Aden. Eppure, malgrado la creazione di una coalizione araba unita fosse stata decisa nel summit di Sharm el-Sheik lo scorso mese, non sarà facile arrivare a una decisione. Alcuni stati – come Libano e Iraq – hanno messo in guardia che non lasceranno che venga attuato nessun attentato alla loro sovranità; alcuni stati del Golfo e la Giordania sono stati più disponibili a incontri fra i rispettivi stati maggiori più di quanti ne fossero stati previsti. Il problema è che questi stati non vogliono mettere a repentaglio le loro truppre in operazioni di terra in stati confinanti. Gli eserciti sono la tradizionale arma di difesa dei regimi arabi; Una sconfitta fuori dai loro confini causerebbe la loro caduta. Malgrado ciò, dato che l’Occidente è profondamente indifferente a quel che succedee, Sissi e i suoi alleati del Golfo, non hanno altra scelta se non unirsi contro la comune minaccia del terrorismo islamico, sia sunnita che sciita.

Sul fronte interno, il presidente ha lanciato una serie di progetti di grande effetto, un nuovo Canale parallelo al vecchio, da potersi attraversare in entrambi i sensi, raddoppiandone la capacità; sviluppare un zona industriale, commerciale e turistica fra i due canali; creare 3000 chilometri di strade moderne nelle infrastrutture del paese; il progetto forse più ambizioso è la creazione di una nuova capitale amministrativa a est del Cairo, per un costo stimato di 45 miliardi di dollari. Gli stati arabi sono venuti in soccorso raccogliendo miliardi di dollari durante uno speciale summit lo scorso mese; gruppi interenazionali hanno mostrato interesse in alcuni di questi progetti. E’ stata una vittoria significativa per l’assediato presidente. Ma i problemi endemici dell’Egitto, la crescita demografica, un analfabetismo che produce disoccupazione e povertà, insieme a corruzione a livelli altissimi, non rendono facile il compito di Sissi, che sta anche cercando di riformare l’islam, depurandolo dei contenuti più estremisti; ha dato anche istruzioni al ministero dell’educazione di eliminare i contenuti più estremisti come l’arruolamento al jihad e gli attacchi cointro le altre religioni.

La situazione politica è ancora oscura e le elezioni continuano a venire posticipate, con la giustificazione delle ambiguità contenute nella nuova legge elettorale. Il fatto è che il presidente non è stato finora in grado di assicurarsi la vittoria con un margine sufficientemente sicuro, mentre i Fratelli Musulmani, malgrado siano fuorilegge, e altri partiti islamici,possono ancora contare su un elettorato sicuro.

Riuscirà Abdel Fattah al Sissi a vincere tutte le sue battaglie ? Per quanto tempo il popolo egiziano aspetterà che arrivino i tanto necessari risultati economici ? L’Egitto continua ad essere isolato, in attesa che l’Occidente capisca che il Cairo è ancora il suo migliore alleato contro la marea montante del terrorismo che sta ora lambendo le sue coste.

Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. I suoi editoriali escono sul Jerusalem Post. Collabora con Informazione Corretta


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