Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 17/04/2015, a pag. 1-5, con il titolo "I disperati e l'odio islamista", l'analisi di Domenico Quirico.
Domenico Quirico
Dodici cristiani gettati in mare perché cristiani: da una barca disperata che cerca, brancolando nel mare, la comune salvezza, una vita nuova, la possibilità di ricominciare. Una lite, si dice nei primi racconti, per motivi di fede, cristiani contro musulmani, una breve lotta, i corpi che precipitano in mare, un agitarsi tra le onde: più nessun rumore, il motore della vecchia nave continua impassibile a macinare il suo ronzio. La Grande Migrazione del Mediterraneo, e quello che c’è dietro, le guerre i fanatismi la fame il califfato l’Islam degli assassini, sembra senza fine e senza fondo. Come se la città dei viventi venisse continuamente risucchiata in quella dei morti. Neppure la disperazione e il dolore uniscono più, si sfalda nell’abbaiare del fondamentalismo omicida l’unico comunismo che ho sempre visto intorno a me, quello della sofferenza. Il nostro ragionamento sanguina.
Viviamo, da mesi, continuamente immersi nel senso dell’orrore, di qualcosa che contraddice sistematicamente le aspettative di felicità degli uomini. Non c’è alcun modo sembra per compensare la ingiustizia che vi è in questo mondo, in cui persino un Dio è usato come arma per compiere la violenza. La paura ti prende alla gola, non si è capaci di fissare lo sguardo in quello spazio che sgomenta. Dove è dunque dio? Perché non è intervenuto su quella barca spaventosa? Perché non salva l’uomo, quegli uomini dall’abbrunarsi di tutti i loro sogni e dalla sventura che gli sbocciano dalle carni e ricadono su di loro come uno sputo? Sembra che il tempo esiti logorato e ottuso dai nostri cuori.
Nella primavera di quattro anni fa ho fatto anche io il viaggio nel Mediterraneo dei migranti. Un centinaio di giovani musulmani erano con me, sapevano che ero occidentale e cristiano.
Il tempo della traversata si squagliava tiepido e indolore, quel tempo che altrove era così duro; le ore simili a ruote di mulino che giravano adagio, che con lenta perseveranza sminuzzavano il tempo. Abbiamo parlato per quanto si poteva in un mare in burrasca, schiacciati sul ponte: benefico ritmo di parole, le loro voci erano oleose, vibranti di intima sensibilità, piene di una infinita tristezza. Abbiamo scambiato il pane e l’acqua, alcuni di loro mi hanno raccontato i loro sogni, la fidanzata un lavoro l’Europa la paura di scomparire in quella massa liquida immensa e ostile.
Il medesimo brivido proveniente dal medesimo mistero, la paura di morire, ci spingeva, io cristiano e loro musulmani, verso il medesimo infinito, eravamo uniti da tutta la forza dei nostri due dolori. Soffrire insieme, che unione! Quattro anni ed era un altro tempo: in mezzo si è conficcato, come un cuneo atroce, il califfato e la sua efficace propaganda. Si è alzata da Mossul all’Africa sahariana, ovunque le brigate nere del califfato hanno fatto strage e conquista, la martellante bugia della impurità, della divisione dall’altro, l’infedele il senza dio, il crociato, il cristiano. Dietro c’è sempre il fatto per eccellenza, la morte, che attira ognuna di queste vicende a sé, la tende come la pelle di un tamburo che rintrona al minimo tocco di un dito.
Questo è l’avvertimento netto, in pieno petto, che viene da questa tragedia del mare: quel popolo in fuga, i migranti, sta cambiando forse davanti ai nostri occhi, giorno per giorno. Sulle barche forse cominciano a salire i primi uomini che il califfato ha già corrotto, modificato dentro, che vi imbarcano il germe dell’odio verso l’altro, gli altri: noi. Il delitto, l’eliminazione dell’impuro non è più trasgressione ma forma esistenziale, naturale comportamento nei confronti della vita di un altro essere vivente. L’omicidio come visione del mondo.
Da califfato e dalla sua vertigine religiosamente totalitaria, così vicino a noi, escono uomini orribilmente nuovi che non hanno più stupore davanti alla esistenza del mondo e insieme a esso rispetto per la vita la devozione, la felicità, l’amore.
Forse è solo una terribile storia di quindici banali assassini. Eppure mi sembra che in essa tutto sia stato svelato, tutto almeno una volta mostri il suo vero volto. Il musulmano si è trasformato in assassino, la fede in delinquenza, la solidarietà tra i miseri è diventata sterminio. Ogni ideale si fa insanguinato dalla cruda realtà della violenza e dalla distruzione, parte dei fedeli di un credo millenario sembrano corrotti alla necessità di compiere tutto il negativo del mondo.
Sì, da quando il califfato esiste e il suo progetto totalitario avanza è come se camminassimo su una lastra di ghiaccio che copre un specchio d’acqua di profondità ignota. Il ghiaccio non si è ancora spezzato e ci sono persone intorno a noi forse pronte a correre in nostro aiuto. Ma questo non cambia il fatto che il ghiaccio prima o poi si spezzerà. Sono già apparse le prime incrinature, per ora forse solo un innocuo scricchiolio. Forse.
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