Francia: il futuro degli ebrei nel “paese dell’apartheid”
Analisi di Manfred Gerstenfeld
(Traduzione di Angelo Pezzana)
"L'antisemitismo non è mai esistito"
"Non sono antisemita, signor agente, sono semplicemente antisionista!"
Il 20 gennaio scorso è stata la prima volta che il Primo Ministro di una nazione occidentale ha ammesso che nel proprio Paese vige l’apartheid. L’ha dichiarato il Primo Ministro francese Manuel Valls ai giornalisti due settimane dopo la strage di Charlie Hebdo a dell’HyperCasher, specificando che esiste una “apartheid territoriale, sociale e etnica” in Francia. Valls avrebbe potuto aggiungere “religiosa”. Poco prima, il 13 gennaio, era intervenuto nel parlamento francese con un discorso di grande importanza, nel quale dichiarava quel che il governo avrebbe fatto per prevenire altri attacchi jihadisti.
Poteva fermarsi lì. I governi precedenti avevano sempre omesso di occuparsi dei problemi derivanti dal fallimento dell’integrazione di milioni di immigrati musulmani. Usando la parola “apartheid”, Valls ha richiamato il suo governo alla responsabilità che gli deriva da una realtà problematica e estremamente complicata, invece di delegarla a un prossimo governo. L’uso della parola “apartheid”, mai avvenuto prima, impressionò molti, anche se era fuori luogo. Quella parola si applicava al Sud Africa, che è stato dominato dai bianchi fino alla fine del secolo scorso. In più, per quanto riguarda la Francia, la segregazione di alcune parti della popolazione musulmana in Francia, non deriva da misure governative, ma da scelte autonome. I contestatori di Valls si sono basati su argomenti che gli israeliani, falsamente accusati di ricorrere a misure di apartheid, conoscono bene.
Manuel Valls
Nei mesi successive, Valls ha introdotto un piano per affrontare la situazione. L’aspetto più problematico è lo sviluppo di quei quartieri che vengono comunemente chiamati “zone proibite”. L’esperto americano Daniel Pipes le ha definite con più precisione come “settori semi-autonomi”. Pipes scrive che “i governi spesso scelgono di non imporre le loro leggi sulle aree a maggioranza musulmana, concedendo notevoli autonomie, in qualche caso persino dei ‘tribunali’ che applicano la Shari’a.., alcool e carne di maiale sono proibiti in queste aree, sono frequenti poligamia e burka, la polizia evita di entrarci se non con circospezione e in forze, mentre i musulmani rispondono in un modo che sarebbe giudicato illegale nel resto del paese".
Questo abbandono è stato oggetto di una serie della Tv israeliana Canale 10, che nel 2012 ha inviato in Francia il giornalista Zvi Yehezkiely, per raccontare i problemi legati alla presenza musulmana in Europa. Zvi ha rischiato la sua vita, in quanto si era travestito da palestinese per poter meglio raccogliere il materiale dei suoi servizi. Mai c’era stato prima un servizio di una Tv europea che avesse fatto vedere in modo così approfondito la realtà dei ghetti musulmani, il ruolo della Shari’a, l’oppressione religiosa, la violenza, la discriminazione delle donne, l’antisemitismo etc.
L’elemento qualificante di ogni progetto governativo francese dovrebbe porre fine a queste aree semi-autonome. Non è chiaro però come possa accadere perché non ci sono casi precedenti. Cambiare la situazione è ancora più complicato dal fatto che la grande maggioranza degli elettori musulmani francesi votano per il partito di Valls, il partito socialista, che non può permettersi di offenderli. Qualunque iniziativa prenda il governo francese, comporterà almeno più di un decennio per produrre dei risultati. Ci saranno ostacoli prevedibili da una considerevole parte della comunità musulmana. Gli ostruzionismi non saranno limitati al relativamente modesto numero di sostenitori jihadisti a dai più numerosi gruppi di salafiti, ma tutto ciò che risulterà sbagliato verrà sfruttato dall'estrema destra del Fronte Nazionale.
Ma la lotta del governo francese in questa situazione è soltanto una parte del problema. Molto dipende dagli sviluppi interni dentro le comunità musulmane francesi. Si pone la domanda se i leader moderati musulmani possono imporsi a quelli fanatici. E se anche ce la facessero, quanto tempo occorrerebbe per avere risultati tangibili? Gli sviluppi internazionali all’interno del mondo musulmano non sono d’aiuto agli sforzi dei moderati. Il fanatismo musulmano è persino in aumento. E proseguirà, anche se lo “Stato Islamico” in Iraq e in Siria verrà sconfitto dalla coalizione occidentale insieme ad alcuni stati arabi. La sua ideologia sopravviverà in gran parte del mondo musulmano. Il controllo del territorio, come sta avvenendo ora, lo rende più visibile, ma non ne è una premessa indispensabile.
Comunque si svilupperà la situazione, i risultati non saranno positivi per gli ebrei francesi per almeno un decennio. Gli scenari futuri sono pessimi. Nel 2000, gli attacchi antisemiti si moltiplicarono rapidamente con l’inizio della seconda intifada, e sono rimasti numerosi. L’assassinio nel 2004 di Sebastien Sellam e nel 2006 quello di Ilan Halimi, torturato e poi ucciso, furono commessi da musulmani. Nel 2012, a Tolosa, l’assassinio di tre soldati francesi e di quattro ebrei commesso da Mohammed Merah, avevano una dinamica differente, rispetto alla recente strage di Parigi. La prima mirava in modo specifico a dei cittadini francesi, solo dopo a degli ebrei. È probabile che attacchi futuri contro obiettivi francesi si accompagneranno a quelli contro ebrei. La comunità ebraica, pur rappresentando l’1% della popolazione francese, continua a subire attacchi sproporzionati alla sua dimensione.
E’ evidente il degrado della situazione degli ebrei sin dall’inizio di questo secolo. A seguito dei frequenti attacchi antisemiti, molti ebrei hanno tolto i loro figli dalle scuole pubbliche dove venivano molestati a causa dell’essere ebrei, iscrivendoli in scuole ebraiche, che sono quotidianamente sorvegliate da soldati armati per prevenire possibili attentati, a protezione quindi di studenti, insegnanti e genitori. La loro presenza è garanzia di sicurezza, ma ricorda anche tutti i problemi che gli ebrei francesi devono affrontare. Ogni sforzo realizzato del governo francese per porre fine ai problemi derivati da elementi presenti all’interno della comunità musulmana potrà condurre a tensioni ancora maggiori.
Le agitazioni che ne seguiranno colpiranno in maniera sproporzionata gli ebrei. Il rafforzarsi del Fronte Nazionale di estrema destra, con i suoi numerosi antisemiti, peggiorerà l’atmosfera generale. Per quanto concerne Israele, i tentativi della Francia di affrontare i problemi che nascono da una parte dell’immigrazione musulmana, sono sia un pericolo che una opportunità. E’ un pericolo, perché il governo francese può cercare di compensare queste azioni con la ricerca dei voti elettorali aumentando le proprie politiche ostili a Israele. Il voto in favore del riconoscimento dello Stato di Palestina al Consiglio di Sicurezza dell’Onu è un esempio di questa tattica. Nello stesso tempo, Israele ha una lunga esperienza avendo a che fare con la violenza islamica. Se Israele presenterà la propria politica in modi più sofisticati alla comunità internazionale, e in particolare al popolo e al governo francese, si capirà quanto Israele sia d’esempio nella battaglia per la sopravvivenza della democrazia occidentale.
Manfred Gerstenfeld è stato presidente per 12 anni del Consiglio di Amministrazione del Jerusalem Center for Public Affairs. Collabora con Informazione Corretta.