Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 13/04/2015, a pag. 12, con il titolo "Iraq, le mani del Califfo sul petrolio", la cronaca e commento di Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari e il suo recente libro "Il Califfato del terrore"
Il Califfo lancia i miliziani all’assalto della maggiore raffineria dell’Iraq nel tentativo di innescare la paralisi energetica del governo di Baghdad.
L’assalto
Unità dello Stato Islamico (Isis) hanno attaccato l’impianto di Baiji da tre direzioni differenti, mandando avanti altrettanti kamikaze seguiti da unità scelte che hanno tentato di penetrare dentro il recinto. Testimoni locali parlano di combattimenti aspri, con almeno 20 miliziani jihadisti rimasti uccisi. Sull’esito dell’attacco ci sono però versioni contrastanti. I portavoce del governo iracheno assicurano che la «Brigata d’Oro», schierata a difesa dell’impianto, ha «respinto gli aggressori come già avvenuto in passato» mentre Isis ha diffuso sul web un video in cui si vede un convoglio di sue jeep dirigersi verso l’entrata della raffineria e poi alcuni miliziani dentro il recinto. In un successivo comunicato Isis afferma di controllare «gran parte della struttura» che venne realizzata all’epoca di Saddam Hussein con il contributo di alcune aziende europee, italiane incluse.
Snodo strategico
La mossa del Califfo di Isis, Abu Bakr al-Baghdadi, segue di dieci giorni la perdita della città di Tikrit, nell’Anbar, e punta a mettere a segno una contromossa strategica perché la raffineria di Baiji produce 300 mila barili di combustibile al giorno – la metà del fabbisogno nazionale iracheno – e controllarla significa porre un’ipoteca sull’intero sistema energetico.
La prova di forza
Baiji si trova 200 km a Nord di Baghdad, a metà strada con Mosul, ovvero nella zona più investita dal braccio di ferro militare fra Isis e governativi. In coincidenza con l’attacco alla raffineria, Isis ha diffuso alcuni video che descrivono la distruzione dell’antica città assira di Nimrud, avvenuta in marzo. Le immagini mostrano bulldozer e uso di esplosivi per demolire quello che era considerato uno dei più importanti tesori archeologici dell’Iraq, risalente a circa 3300 anni fa. Per Isis invece si tratta di «falsi idoli pagani» distrutti per attestare l’imposizione sul territorio degli «Editti del principe dei credenti», ovvero il Califfo. L’impressione è che al-Baghdadi stia tentando di rinsaldare la credibilità di Isis nell’Anbar nel timore che la perdita di Tikrit possa spingere alcune tribù sunnite a voltargli le spalle, cercando la protezione del governo di Baghdad. Si spiega così anche la diffusione, da parte di Isis, di informazioni dettagliate sui «crimini contro i sunniti» attribuiti a «Hashid Shaabi», le milizie sciite che affiancano i governativi e hanno contribuito al successo a Tikrit.
Le spose nepalesi
Pur incalzato dalla guerra in Iraq, il Califfato continua comunque a destinare risorse al proprio consolidamento interno. La conferma viene da Katmandu, in Nepal, dove la polizia ha smantellato un network di false agenzie turistiche locali che operavano per conto di Isis al fine di far arrivare in Siria ed Iraq giovani donne, destinate ad essere schiave sessuali o mogli dei jihadisti. Convinte con l’inganno a recarsi a Raqqa o Mosul, le nepalesi venivano vendute ai trafficanti di Isis per 7000 dollari l’una.
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