Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 07/04/2015, a pag. 9, con il titolo "Decapitazioni, fame, sete: la lunga agonia di Yarmuk", la cronaca di Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari e il suo recente libro "Il Califfato del terrore"
Una strada di Yarmuk, la città a maggioranza palestinese alle porte di Damasco caduta nelle mani dell'Isis. Qual è la risposta dei cosiddetti pacifisti alle violenze dello Stato Islamico contro questi palestinesi? Il silenzio. Solo se è possibile incolpare Israele, i morti palestinesi contano.
Decapitazioni, esecuzioni, carenza di acqua e cibo, combattimenti intesi a terra e bombardamenti dall’aria: il campo profughi palestinese di Yarmuk, a ridosso di Damasco, somma gli scontri fra fazioni siriane rivali a una condizione umanitaria che un funzionario dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, Chris Gunness, ha descritto come «al di là del disumano».
I miliziani dello Stato Islamico (Isis), entrati mercoledì, sono oramai in possesso del 90 per cento del campo dove vi sono ancora circa 18 mila dei 160 mila residenti originali. Testimonianze locali affermano che almeno 700 jihadisti di Isis hanno preso possesso del quartiere - creato per ospitare i profughi palestinesi del 1948 - con l’intenzione di farne una base da dove attaccare i palazzi del regime di Bashar al Assad nella capitale. Per attestare l’insediamento del Califfato, i jihadisti hanno decapitato due leader di Aknaf Beit al Maqqdis, cellula locale di Hamas, uccidendo altri 10 palestinesi e sequestrandone 90 con l’accusa di «opposizione allo Stato Islamico».
Stretti fra regime e ribelli
La reazione della cellula di Hamas è stata di attaccare in forze Isis - secondo la testimonianza di Ayman Abu Hashem, funzionario palestinese nel campo - dando vita a scontri aspri che continuano in più aree. Dall’inizio della guerra civile siriana, nel 2011, Hamas si è opposta al regime di Assad ma nel campo di Yarmuk ha come priorità la difesa di un territorio che ritiene proprio e ciò ha innescato lo scontro con Isis. I miliziani jihadisti da parte loro considerano i rifugiati palestinesi dei fiancheggiatori di Assad e li trattano da nemici. Proprio il regime d’altra parte, d’intesa con alcuni funzionari dell’Olp a Damasco, ha facilitato la fuga dal campo profughi di circa 400 famiglie - 2000 persone - che sono state ospitate nei rifugi governativi della capitale.
Lo stesso regime non ha però esitato a bombardare dall’aria Yarmuk per tentare di espellere i miliziani di Isis - secondo la testimonianza di Faruk al Rifai, portavoce del Network della società civile palestinese in Siria - lanciando, solo nella giornata di sabato, almeno 16 barili pieni di esplosivo, un tipo di bomba che causa gravi danni soprattutto ai civili.
La battaglia di Yarmuk ha innescato manifestazioni di piazza nella Striscia di Gaza, dove miliziani di Hamas e della Jihad islamica hanno denunciato «chi uccide i nostri fratelli in Siria» con una prima, inedita, sfida pubblica allo Stato Islamico. Al tempo stesso Ali Barakh, portavoce di Hamas in Libano, si scaglia contro il presidente palestinese Abu Mazen: «L’Autorità palestinese non fa abbastanza per aiutare i profughi palestinesi in Siria, smentendo gli sforzi finora condotti dall’Olp dentro il campo».
Reazione in Cisgiordania
A Ramallah, Abu Mazen ha riunito i propri stretti collaboratori per affrontare la «grave emergenza» inviando a Damasco una delegazione per «trovare una rapida soluzione». Sin dall’inizio della guerra civile siriana, Abu Mazen ha tentato di evitare il coinvolgimento dei palestinesi nel conflitto ma quanto sta avvenendo lo rende sempre più difficile. Saeb Erakat, stretto collaboratore di Abu Mazen, parla di «crimini orrendi commessi dallo Stato Islamico contro il nostro popolo».
«La realtà è che la nostra gente viene uccisa da entrambe le parti in lotta - afferma Ahmed Majdalani, alto funzionario dell’Olp - perché Isis vuole Yarmuk per dare l’assalto a Damasco e il regime lo bombarda per impedire che ciò avvenga». Funzionari dell’Onu e della Croce Rossa affermano, da Damasco, che le condizioni umanitarie nel campo «sono divenute insostenibili» perché «mancano acqua, cibo, medicinali» e «dopo due anni di assedio ora c’è anche la guerra nelle strade».
Per inviare la propria opinione alla Stampa, telefonare 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante