Riprendiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 03/04/2015, a pag. 8, con il titolo "Una svolta geopolitica per il Medio Oriente", il commento di Alberto Negri; da REPUBBLICA, a pag. 1-33, con il titolo "La ragione zoppa", il commento di Bernardo Valli; a pag. 6-7, con il titolo "La gioia della Mogherini: 'Sconfitta la diffidenza, da questa intesa parte il cambiamento' ", l'intervista di Andrea Bonanni a Federica Mogherini; dalla STAMPA, a pag. 1-25, con il titolo "La vera posta in palio è più ampia", il commento di Roberto Toscano. Tutti gli articoli sono preceduti dal nostro commento.
Ecco i pezzi:
L'Iran a Losanna: "Questo è il nostro progetto spaziale... lanceremo i nostri missili verso le stelle... di David"
IL SOLE 24 ORE - Alberto Negri: "Una svolta geopolitica per il Medio Oriente"
Nei giorni scorsi abbiamo ripreso e commentato numerose volte gli articoli di Alberto Negri, tutti all'insegna del "business is business", la parola d'ordine con cui Confindustria ha spinto per un accordo con l'Iran.
Oggi Negri si supera con un articolo persino peggiore dei precedenti, una lode continua ai presunti meriti dell'Iran e alle ancora più presunte ingiustizie subite dal regime degli ayatollah.
Soltanto grazie all'Iran, secondo Negri, lo Stato Islamico è stato fermato prima che occupasse l'intero Iraq. Israele e Arabia Saudita, scrive ancora Negri, non hanno invece mosso un dito. Quello che però il giornalista non dice è che l'ingerenza iraniana in Iraq e Siria fa parte del piano imperialista di Teheran, che punta ad accrescere la propria influenza su tutta la regione.
Negri prosegue lodando il "pluralismo" e il "bilanciamento dei poteri" che a suo dire caratterizza l'Iran, nella realtà un regime sanguinario e clericale.
Con questo pezzo Negri è riuscito a superare un'altra firma del Sole da sempre ostile a Israele, Ugo Tramballi. Anche quest'ultimo oggi scrive un pezzo - che non riprendiamo - di lodi sperticate verso Teheran e di critica a quelle nazioni democratiche che possiedono il nucleare, a suo dire i veri elementi di destabilizzazione sarebbero questi secondi.
Ecco l'articolo:
Alberto Negri, Ugo Tramballi
Tra Iran e Stati Uniti è un nuovo inizio? II popolo iraniano lo spera con tutta l'anima e probabilmente fatica a contenere l'entusiasmo per l'intesa di Losanna: troppe le speranze del passato sfiorite e deluse. La geopolitica mediorentale può cambiare radicalmente, a partire dalla battaglia contro il Califfato in Iraq, ma non è facile cancellare l'ostilità reciproca, le minacce, le tensioni continue, le pressioni, a volte strabordanti, esercitate dagli alleati degli americani, come Israele e Arabia Saudita, e allo stesso tempo il ruolo assai controverso dei protetti di Teheran, come il regime di Bashar Assad egli Hezbollah libanesi.
Eppure questo Iran l'estate scorsa è stato anche il primo Paese a entrare in guerra contro lo Stato Islamico e se non fossero intervenute subito le milizie sciite appoggiate da Teheran il Califfato avrebbe divorato, dopo Mosul, anche la capitale. Forse non è del tutto inutile ricordare che finora Israele non ha sparato neppure un colpo contro il Califfato. E i sauditi, pur partecipando alla coalizione e confinando anche loro con l'Isil, non hanno sprecato una cartuccia contro i jihadisti, preferendo bombardare gli Houthi sciiti in Yemen.
Il problema del riavvicinamento tra Usa e Iran è questo: i due hanno un nemico in comune, il Califfato, ma alleati e interessi da proteggere sono diversi. La questione è ideologica e religiosa, con la contrapposizione tra mezzaluna sunnita e mezzaluna sciita. Certo non la democrazia. Il regno saudita, da oltre 60 anni pilastro insieme a Israele delle relazioni americane nella regione, è una monarchia assoluta, l'Iran è una repubblica islamica gestita dagli ayatollah ma dove si svolgono elezioni: non c'è una democrazia all'occidentale ma sicuramente è molto presente il pluralismo e un bilanciamento dei poteri.
America e Iran sono separati da una diversa concezione dei rapporti internazionali e soltanto adesso sono tornati a parlarsi in un negoziato che costituisce un processo per costruire una fiducia reciproca che non c'è mai stata. A cominciare dal giorno fatale in cui Washington e Teheran finirono su fronti contrapposti, anche se le cose avrebbero potuto andare in maniera completamente diversa «Dategli un calcione e mandateli a casa», fu così che reagì l'Imam Khomeini, secondo Ibrahim Yazdi, allora ministro degli Esteri, quando seppe che un gruppo di studenti aveva occupato l'ambasciata Usa. Tutto poteva finire lì ma l'ayatollah che aveva innescato la rivoluzione contro lo Shah vide in tv una folla enorme e si accorse che avrebbe potuto sfruttare questa mobilitazione per rafforzare il suo potere e monopolizzare gli eventi. Era iniziato, il 4 novembre del 1979, il sequestro degli ostaggi americani, che provocò una rottura insanabile.
La crisi, durata 444 giorni prima che 66 ostaggi venissero rilasciati, assunse negli Stati Uniti la dimensione di un dramma nazionale che agevolò la vittoria di Ronald Reagan su Jimmy Carter alle presidenziali del novembre 1980. Il conflitto geopolitico tra la superpotenza e un Paese in via di sviluppo ebbe un un izio emotivo e drammatico ma si trasformó presto in un confronto a tutto campo: il regime di Khomeini, come lo Shah, aveva l'ambizione di fare dell'Iran un leader della regione puntando però sull'Islam politico e l'appoggio delle masse musulmane. Niente di più opposto alla visione dell'America e di Israele.
Poi ci fu nell'80 la guerra Iran-Iraq, l'aiuto americano e delle monarchie del Golfo a Saddam Hussein ma anche il segreto sostegno Usa a Teheran, in una strategia di "doppio contenimento" che non voleva vedere nessuno dei due Paesi uscire vincitore dal conflitto. La strategia del contenimento non è molto cambiata: oggi gli Stati Uniti devono calmare Israele e accontentare gli alleati sunniti, senza che diventino troppo potenti, e allo stesso tempo hanno bisogno dell'Iran sciita per combattere il jihadismo e puntare alla stabilizzazione della Mesopotamia.
La collaborazione non sarà facile e verrà contrassegnata comunque da un'ambiguità di fondo. Ma proprio questi precedenti storici ci dicono che il presidente Barack Obama e quello iraniano Hassan Rohani, sostenuto dall'ombra della Guida Suprema Ali Khamenei, hanno avuto il coraggio di guardare avanti, al futuro.
LA REPUBBLICA - Bernardo Valli: "La ragione zoppa"
Bernardo Valli, da sempre sostenitore dell'appeasement con l'Iran, saluta gli accordi di Losanna come un "successo".
Ecco l'articolo:
Bernardo Valli
È stato deciso un esame d’ammissione, in altri termini è stato raggiunto un accordo politico. Una prova. Ne sono state per ora annunciate sommariamente le regole. L’Iran degli ayatollah, dopo trentacinque anni di guerra fredda con la superpotenza, e in varia misura con l’Europa, dovrà rispettarle per un decennio. Ben inteso sotto lo stretto controllo degli esperti dell’Agenzia atomica dell’Onu, per ritornare a pieno titolo nella società internazionale. La condizione principale, essenziale, è la rinuncia tecnica all’arma nucleare.
Era e resta ovvio, ma la volontà politica e ideologica sarà determinante. La diplomazia ha ottenuto quel che un tempo imponevano le armi. Ha gettato le basi di un’intesa preliminare che altrimenti, un giorno, sarebbe stata forse ottenuta con la forza. I favorevoli a questa soluzione non mancano mai. Ieri sera ha in fondo prevalso la ragione. Forse una ragione zoppa; ma pur sempre la parola rispetto al fucile. È stato conseguito un successo di grande portata non solo per il Medio Oriente in preda al caos e alla violenza, ma per il resto del mondo, poiché riguarda una questione chiave della nostra epoca: ha infatti avuto la meglio il principio della non proliferazione nucleare.
Tanti Paesi in quella regione erano pronti a seguire l’esempio di Teheran. L’Arabia Saudita trattava già col Pakistan, comprensivo e fedele amico musulmano. A Losanna fu preparato il dopo Prima guerra mondiale. Nello stesso luogo, come se fosse predestinato alle pagine di storia, negli ultimi giorni è avvenuto il più rilevante avvenimento diplomatico dell’ultimo quarto di secolo. Purché duri. Non tutto è stato detto dopo 37 ore di negoziati, 12 anni di tentativi falliti, e 35 di sanzioni, rese più severe nell’ultimo decennio. Dopo tanti sospetti, inganni, bugie, minacce non era possibile svelare tutti gli aspetti tecnici da risolvere e da precisare sulla carta entro il 30 giugno. Conta che le due parti a confronto, gli Stati Uniti da un lato (accompagnati da Francia, Gran Bretagna e Germania) e l’Iran dall’altro (spalleggiato da Russia e Cina) siano riusciti a stabilire un’intesa di principio sulle loro esigenze. Un ponte disegnato ma non ancora costruito.
La questione principale per gli occidentali riguardava la limitazione della capacità iraniana di arricchire l’uranio, combustibile nucleare necessario alla costruzione di un’arma atomica. Quindi la drastica riduzione del numero delle centrifughe, della loro potenza, ed altresì quella dell’uranio già arricchito. L’obiettivo era di allungare almeno fino a un anno il break out, il tempo necessario per acquisire abbastanza uranio ed elaborare la bomba. La quale richiede poi un’ulteriore lavorazione.
Gli occidentali avrebbero ottenuto di ridurre a 6mila le 19mila centrifughe iraniane capaci di arricchire l’uranio. E di trasferire in parte il carburante nucleare iraniano in Russia, o di poterlo diluire. In che misura queste misure, alle quali si opponevano tenacemente gli iraniani, saranno attuate lo si vedrà nei prossimi mesi. Gli iraniani chiedevano in cambio la sospensione totale e immediata delle sanzioni che hanno penalizzato severamente la società iraniana. Hassan Rohani è stato eletto presidente nel 2013 anche sulla promessa di porre fine al più presto a quelle sanzioni e di risolvere di conseguenza il problema nucleare.
Dalla prime indicazioni risulta che le sanzioni saranno ridotte via via, tappa per tappa, seguendo i progressi fatti dagli iraniani nel rispettare i termini dell’accordo. Oppure ripristinate in caso di mancanza. I dettagli tecnici sono stati tenuti segreti. Possono infatti avere effetti esplosivi. Dall’una e dall’altra parte esistono forti opposizioni all’intesa politica raggiunta a Losanna. Negli Stati Uniti i repubblicani, maggioritari nei due rami, erano e forse lo sono ancora decisi a sabotare l’accordo e ad appesantire le sanzioni. Loro tenace alleato non è soltanto la destra israeliana, con in testa il primo ministro Benjamin Netanyahu appena rieletto, che vede l’Iran come la principale minaccia per lo Stato ebraico.
I grandi Paesi arabi sunniti, in particolare l’Arabia Saudita, custode dei luoghi santi dell’Islam, osserva con preoccupazione il ruolo sempre più importante dell’Iran sciita. Per questo attacca gli sciiti nello Yemen e prepara una coalizione sunnita con l’Egitto. L’angoscia la possibilità che l’accordo di Losanna renda più stabile la complicità ufficiosa tra gli Stati Uniti, ormai autosufficienti per l’energia, e quindi sempre meno dipendenti dal petrolio arabo, compreso quello saudita, e gli sciiti iraniani e iracheni impegnati contro lo “stato islamico”. Uno dei responsabili militari del nucleare iraniano, il generale Qassim Suleimani, comandante delle forze d’élite delle Guardie della Rivoluzione (iscritto sulle liste dell’Onu per attività terroristiche), è presente sul fronte iracheno di Tikrit, dove le milizie sciite cercano di cacciare dalla città i jihadisti sunniti del califfato. E le milizie del generale Suleimani hanno l’appoggio dell’aviazione americana.
L’accordo di Losanna, nel clima passionale e caotico mediorientale, può essere interpretato come una svolta strategica della superpotenza. Nella stessa Teheran non sono pochi a dubitare dell’opportunità di venire a patti con gli Stati Uniti. Allentate le sanzioni saranno disponibili i miliardi di dollari bloccati nelle banche straniere e provenienti dal petrolio non più limitato nelle vendite. Settantotto milioni di iraniani potranno infine usufruire di quella ricchezza, dopo decenni difficili. Ma per molti è in gioco l’orgoglio del regime e l’ostilità per il “grande Satana”. Gli interlocutori di John Kerry, il segretario di Stato di Barack Obama, erano due iraniani di educazione americana: il gioviale ministro degli Esteri, Muhammad Javad Zarif, e il capo dell’agenzia atomica iraniana, Ali Akbar Salehi. Non deve essere stato sgradevole trattare con loro, ma alle loro spalle c’erano e restano i depositari dell’ideologia del regime, che hanno reso ardue, difficili le trattative di Losanna, come quelle degli anni scorsi. E che restano i guardiani nella stagione tecnica, durante la quale si dovranno stendere sulla carte entro giugno i dettagli dell’accordo quadro, essenzialmente politico, appena raggiunto.
LA REPUBBLICA - Andrea Bonanni: "La gioia della Mogherini: 'Sconfitta la diffidenza, da questa intesa parte il cambiamento' "
Secondo Federica Mogherini, Alto Rappresentante per la politica estera dell'Ue, il risultato più importante dei negoziati di Losanna è stato "un messaggio di speranza e di fiducia che mandiamo al mondo intero": così definisce gli accordi con un Paese teocratico in cui i diritti umani più basilari vengono ogni giorno calpestati e che è la più grande causa dell'instabilità del Medio Oriente negli ultimi decenni.
Se qualcuno pensava che la baronessa Ashton fosse il peggio che ci poteva capitare, ebbene si ricreda, Mogherini non è soltanto ignorante, nel senso etimologico della parola, è una Chamberlain al femminile.
L'intervista di Andrea Bonanni è di quelle che nessuno si augura di dover leggere, tutta in ginocchio, un complimento all'intervistata, dalle poche ore di sonno alle fatiche affrontate, dall'esser donna di fronte a un paese, l'Iran, dove a comandare sono solo gli uomini, insomma, un genio della politica estera. Mancava solo un giudizio su bellezza ed eleganza nel vestire. Bonanni, ma che giornalista sei !
Ecco l'articolo:
Andrea Bonanni, Federica Mogherini
«Il mondo così come l’ho visto qui a Losanna, attraverso gli sforzi e l’abnegazione di tutte le delegazioni, ti fa dire che in fondo c’è ancora speranza». E’ esausta Federica Mogherini mentre si avvia a leggere la dichiarazioni concordata dopo sei giorni di maratona negoziale di cui è stata la regista. Dopo aver passato nottate a contare le centrifughe nucleari iraniane e le tonnellate di materiale fissile, prova a contare le ore di sonno di cui ha potuto godere: «Due ore e mezza, dalle sei e trenta alle nove di stamattina. Ma ho imparato a fare sonnellini brevissimi, di meno di un’ora, durante le pause tecniche del negoziato». Stanca ma contenta, l’Alto rappresentante per la Politica estera della Ue. Sa di aver pilotato la nave dei negoziati, che erano essenzialmente un braccio di ferro tra americani e iraniani, attraverso i molti scogli di chi, a Washington come a Teheran, sperava in un fallimento.
«Il risultato che abbiamo ottenuto è un incoraggiamento forte per chi in Iran aveva investito su questo accordo. Non è un mistero che molti, e non solo in Iran, scommettevano sull’ineluttabilità di un fallimento. La nostra intesa è una sconfitta per i falchi di entrambe le parti». Al di là dei dettagli tecnici complicatissimi, spiega, la vera portata degli accordi di Losanna sta nel messaggio di speranza e di fiducia che mandano al mondo. «Americani e iraniani non si parlavano da trentacinque anni. Se sono riusciti a capirsi, e a superare le diffidenze reciproche, allora questo può accadere anche altrove ».
Il disgelo, insomma, può essere contagioso. Anche perchè questa fiducia è stata costruita con un lavoro paziente e sofferto di tutte le delegazioni: cinesi, russi, europei. Tutti impegnati a chiudere una ferita che ha condizionato pesantemente la storia del Medio Oriente e del mondo islamico. «Tutte le delegazioni hanno svolto un ruolo fondamentale, e questo mi fa dire che forse c’è speranza per questo nostro mondo».
L’accordo delineato a Losanna, spiega, è una tipica « winwin solution », in cui tutti guadagnano qualcosa. E’ un ottimo risultato sul piano della non proliferazione nucleare, perchè la sospensione del processo di arricchimento dell’uranio da parte iraniana era vincolata alla durata dei colloqui: «Se fossero saltati i negoziati, loro avrebbero ripreso domattina». Ma anche per gli iraniani è un risultato importante perchè «riapre il Paese al resto del mondo» sotto il profilo economico, commerciale, turistico. Le nostre economie torneranno a contare sul petrolio iraniano e l’Iran aprirà le porte ad un vento nuovo, che mette fine a decenni di quasi totale isolamento. Senza contare che lo sdoganamento di Teheran nel consesso internazionale permetterà al Paese di giocare un ruolo ancora più importante, e si spera più costruttivo, su tutti gli scacchieri della crisi mediorientale e del conflitto interreligioso che sta dilaniando il mondo islamico. I nodi più difficili da sciogliere riguardavano da una parte le modalità di controllo internazionale sul processo di arricchimento dell’uranio e di sviluppo delle tecnologie nucleari pacifiche, dall’altra il ritiro delle sanzioni economiche imposte nel corso degli anni da Usa, Europa e Nazioni Unite. Due questioni con aspetti tecnici e giuridici estremamente complicati «perchè ogni dettaglio tecnico presentava immediatamente un risvolto politico».
Alla fine si è arrivati ad una intesa complessiva che soddisfa tutti, anche se le “technicalities” saranno messe nero su bianco solo nell’accordo finale di giugno. L’Iran potrà disporre di un apparato nucleare civile «limitato e sottoposto a rigorosi controlli». E le sanzioni saranno levate, o sospese, o non applicate, in funzione del rispetto degli accordi, in tutti i settori con un’eccezione per quanto riguarda la fornitura di armi. Ma c’è anche un altro aspetto che contribuisce alla soddisfazione dell’Alto rappresentante per la Politica estera europea. Ed è il fatto di aver restituito all’Europa un ruolo cruciale sulla scena mondiale e, ancora una volta, con un obiettivo di pace. L’Europa, spiega, ha svolto il compito di facilitatore di un accordo che, senza la nostra mediazione, non sarebbe stato possibile. «L’intera regia dei negoziati, la formula dei colloqui bilaterali e multilaterali, il calendario degli incontri, la scelta dei soggetti da trattare è stata affidata alla Ue».
Un compito non facile, che Federica Mogherini ha portato a termine senza che il suo essere donna, nel negoziato con uno dei regimi più misogini del Pianeta, risultasse di ostacolo. Del resto, spiega, con gli iraniani aveva costruito un buon rapporto personale già quando era ministro degli Esteri italiano. Al loro primo incontro, ricorda, il ministro degli Esteri di Teheran le aveva detto «rappresentiamo due Paesi con un antico passato e una enorme tradizione da difendere». Questa consapevolezza avrebbe potuto costituire un onere in più sulla strada dei negoziati. E’ stata invece una forza che ha aiutato a sbrecciare uno degli ultimi muri del Pianeta.
LA STAMPA - Roberto Toscano: "La vera posta in palio è più ampia"
Secondo Roberto Toscano il "risultato" raggiunto con i negoziati di Losanna non è sufficiente: "c'è ancora molta strada da fare". Quale nuovo cedimento al regime degli ayatollah ha in mente per l'Occidente l'ex ambasciatore che rifila i suoi (s)ragionamenti ai lettori della Stampa ?
Ecco il pezzo:
Roberto Toscano
Non è la prima volta, nella storia dei negoziati internazionali, che una scadenza negoziale viene ignorata per permettere di raggiungere un’intesa anche fuori tempo massimo. Pensiamo in particolare alle volte in cui a Bruxelles si è ricorso all’accorgimento di «fermare gli orologi».
È successo anche a Losanna. Dopo un negoziato a oltranza che ha compreso nottate in bianco, nel tardo pomeriggio di ieri due tweet - del ministro degli Esteri iraniano Zarif e del Presidente Rohani - annunciavano: «Trovata una soluzione».
Poco dopo, l’annuncio ufficiale dell’accordo raggiunto è stato dato con la lettura di un comunicato congiunto da parte dell’Alto Rappresentante Federica Mogherini e del Ministro Zarif. Anche se il comunicato conferma che la stesura dei contenuti dell’intesa dovrà avvenire entro il 30 giugno, risulta evidente che, contrariamente a quanto si era ritenuto da parte di alcuni commentatori, non si è trattato soltanto di un rinvio dei problemi irrisolti, ma di un’effettiva intesa su alcuni punti politicamente qualificanti.
Il breve testo comprende alcune significative concessioni sia da parte iraniana (limitazioni e controlli) sia da parte americana ed europea (rimozione delle sanzioni, anche se si tratterà di un processo graduale).
Resta ancora della strada da fare per dire che possiamo considerare definitivamente risolta una questione che da oltre dieci anni occupa una posizione centrale fra le tematiche internazionali, e non mancheranno certo i tentativi di ostacolare il raggiungimento di questo obiettivo.
Obama è subito intervenuto con una dichiarazione in cui ha tenuto a sottolineare che l’accordo «rende il mondo più sicuro», ma ha anche dimostrato di essere ben consapevole delle difficoltà che rimangono da superare quando ha annunciato che contatterà Netanyahu per «spiegare e difendere l’intesa preliminare (tentative)», e ha rivolto un appello al Congresso perché non cerchi di «uccidere l’accordo». Va ricordato infatti che a Washington John Bolton, che ha scritto un paio di giorni fa che l’unico modo di fermare una bomba iraniana è bombardare l’Iran, è tutt’altro che solo, e dobbiamo anzi aspettarci un inasprirsi dell’attacco a Obama, che ieri un’inserzione nel Washington Post rappresentava come novello Chamberlain. Senza parlare di chi, come Israele e Arabia Saudita, teme che se dovesse essere tolto di mezzo l’handicap della questione nucleare, Teheran potrebbe esercitare un forte ruolo regionale potenzialmente egemonico. Non sarà facile per Obama convincerli, o quanto meno evitare una loro reazione che potrebbe essere problematica. Ma il passo avanti registrato a Losanna è molto significativo, e si proietta nelle sue ripercussioni ben al di là del solo tema nucleare.
E’ proprio per la vasta e sostanziale posta geopolitica in gioco che raggiungere l’intesa-quadro di Losanna è stato così difficile.
Se il risultato è stato raggiunto è probabilmente perché né gli americani né gli iraniani potevano permettersi un fallimento. Obama ha puntato molto su un accordo senza il quale il suo doppio mandato si sarebbe concluso, sotto il profilo della politica estera, con soli fallimenti, mentre Rohani sapeva che un mancato accordo avrebbe segnato la fine del suo disegno centrista/riformista e un nuovo spostamento dell’asse politico interno su posizioni di chiusura conservatrice non solo nella politica estera.
L’Europa ha svolto in questo negoziato, che nelle sue ultime battute ha pure rivelato la sua sostanza bilaterale irano-americana, un ruolo non primario ma importante, così come è stato importante il ruolo della Russia, soprattutto, a quanto si è saputo, sul punto della necessità di una risoluzione del Consiglio di sicurezza sulla rimozione delle sanzioni.
E sempre a proposito di Europa, dobbiamo salutare il fatto che Federica Mogherini, che sulla questione nucleare non aveva potuto assumere il proprio ruolo (rimasto affidato a Lady Ashton), è giustamente ricomparsa nella fase conclusiva per marcare visibilmente, con la lettura del comunicato finale in parallelo con Zarif, il ruolo e l’interesse europeo.
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