Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 31/03/2015, a pag. 15, con il titolo "Israele-Arabia Saudita, quell'asse segreto che unisce i 'nemici' ", il commento di Davide Frattini; dal GIORNALE, a pag. 11, con il titolo "Una Nato dei sunniti contro l'asse Iran-Usa", il commento di Rolla Scolari.
Ecco gli articoli:
"L'islam è l'unica vera religione..."
"Sciita o sunnita?"
"Infedele!!!"
CORRIERE della SERA - Davide Frattini: "Israele-Arabia Saudita, quell'asse segreto che unisce i 'nemici' "
Davide Frattini
In verde scuro i Paesi con una maggiore percentuale di popolazione sciita
«I nemici dei miei nemici sono miei nemici» proclama Benjamin Netanyahu nel discorso davanti ai deputati e ai senatori americani. Parla al Congresso perché Barack Obama intenda: non ha senso — ammonisce il premier israeliano — smerciare la ricercata intesa con l’Iran come una decisione pragmatica motivata dall’avere avversari comuni (i fondamentalisti sunniti). Eppure gli israeliani sembrano applicare la stessa strategia del presidente americano, quella che Netanyahu con abilità retorica ha cercato di ribaltare: i nemici dei miei nemici sono miei amici. Così lo Stato ebraico si ritrova — e coltiva attraverso canali segreti — alleati inaspettati come l’Arabia Saudita e le altre monarchie del Golfo (escluso il Qatar). Tutti insieme convinti che l’accordo con gli ayatollah sul programma nucleare sia «pessimo».
Ahmad Al-Faraj, editorialista del quotidiano saudita Al Jazirah , considera «Obama uno dei peggiori presidenti nella storia americana» — Netanyahu probabilmente è d’accordo, non si è mai potuto permettere di dirlo in pubblico — e ha elogiato l’interventismo e le pressioni del premier israeliano sul Congresso: «Con le sue critiche a una possibile intesa, perseguita dagli Stati Uniti a scapito degli alleati storici nella regione, difende anche i nostri interessi. Gli sono grato». L’assenza di relazioni diplomatiche non ha impedito al ministro Ali al-Naimi di ipotizzare la vendita di petrolio a Israele: «Abbiamo sempre cercato buoni rapporti con tutti — ha spiegato dopo una riunione dell’Opec a Vienna — e lo Stato ebraico non è un’eccezione». O non ha impedito al principe Turki al-Faisal di scrivere un editoriale per Haaretz . Il capo dei servizi segreti fino al 2001 ha scelto il quotidiano pubblicato a Tel Aviv per rilanciare quella che viene chiamata «l’iniziativa saudita»: le nazioni arabe sarebbero disposte a stabilire normali legami con Israele in cambio del ritiro dai territori per permettere la nascita di uno Stato Palestinese.
È quello che suggeriscono analisti israeliani come Alon Ben-David, proprio nei giorni dei negoziati a Losanna. «I Paesi che capiscono quello che sta succedendo in Medio Oriente — commenta sul giornale Maariv — si sono riuniti a Sharm el Sheikh. Anche Israele avrebbe dovuto partecipare». Perché, sostiene, gli interessi dello Stato ebraico sono identici a quelli delle nazioni sunnite che hanno partecipato al vertice in Egitto. «Questi possibili alleati chiedono però una fermata a Ramallah prima di arrivare a Sharm, uno stop per far ripartire il processo di pace. È l’opportunità che dobbiamo cogliere per non restare ai margini di un processo che sta ridisegnando il Medio Oriente».
Sul Mar Rosso è stato deliberato di creare una forza militare panaraba e di continuare le operazioni in Yemen fino al ritiro dei ribelli. Sono le risposte a quello che viene percepito come un pericoloso espansionismo persiano e sciita. La pensa così anche Netanyahu e lo ha dichiarato sempre nel discorso al Congresso: «L’Iran domina già quattro capitali: Bagdad, Sana’a, Damasco, Beirut. Se non verrà tenuto sotto controllo, ingurgiterà altre nazioni».
Non è la prima volta che israeliani e sauditi si trovano d’accordo su quale debba essere l’esito di una guerra civile in Yemen. Quando nel 1962 un gruppo di ufficiali rovescia la teocrazia al potere e riceve il sostegno del leader egiziano Gamal Abdel Nasser, Riad (preoccupata dai disordini al suo confine sud) e Londra (i britannici non vogliono perdere il protettorato di Aden) chiedono aiuto — mai riconosciuto ufficialmente — all’aviazione di Tsahal. Perché sanno che il pilota Aryeh Oz è specializzato nelle operazioni di rifornimento in zone impervie come le montagne desertiche dello Yemen. È a lui e al suo Squadrone 120 che lo Stato Maggiore a Tel Aviv dà l’ordine di consegnare armi e materiali per le milizie rimaste fedeli al re. Il coinvolgimento deve restare segreto, così uno dei lanci dal cielo viene annunciato ai capi tribali dal monarca deposto, che è anche leader religioso, come un dono divino.
«Se gli israeliani e i sauditi hanno messo da parte i loro dissensi allora — ragiona Asher Orkaby, docente ad Harvard, sulla rivista Foreign Affairs — possono farlo anche oggi». Gli obiettivi in Yemen restano comuni anche dopo 53 anni: questa volta va arrestata l’avanzata di Teheran. «È nel nostro interesse che i ribelli Houti, sostenuti dall’Iran, vengano sconfitti — commenta Efraim Inbar dell’università Bar-Ilan al quotidiano Jerusalem Post —. Dobbiamo anche augurarci la caduta di Bashar Assad in Siria per impedire la creazione di un corridoio sciita attraverso il Medio Oriente».
IL GIORNALE - Rolla Scolari: "Una Nato dei sunniti contro l'asse Iran-Usa"
Rolla Scolari
Si negozia tra le montagne della Svizzera per trovare un accordo sul nucleare iraniano. Si combatte in Yemen, dove i ribelli Houthi appoggiati da Teheran sono alle porte della città di Aden. Sono due fronti di un'unica battaglia che sta aprendo nuovi scenari in medio oriente. I Paesi arabi e sunniti che in queste ore sostengono l'Arabia Saudita nella sua campagna in Yemen temono le trattative di Losanna tra Stati Uniti, comunità internazionale e un Iran sciita che in questi mesi si muove con successo in Irak - dove le sue milizie combattono a fianco dell'esercito di Bagdad nell'arginare lo Stato islamico -, in Yemen, dove i ribelli vicini alla Repubblica islamica avanzano da mesi, e ora anche al tavolo delle trattative nucleari che dovrebbe chiudersi questa notte, tra i disaccordi.
Così, domenica al summit della Lega araba di Sharm El Sheikh, i leader riuniti hanno deciso di mettere in pratica un'idea che da decenni ciclicamente riemerge nella regione. Qualcuno ha già parlato di Nato araba o sunnita: una forza militare congiunta che, nelle intenzioni dei rais, servirebbe a controbilanciare l'estremismo islamico e soprattutto quello che reputano un pericoloso espansionismo dell'Iran ora che siede al tavolo del negoziato con gli Usa. Il New York Times vede nella mossa un tentativo dei regimi arabi sunniti di costruire una propria indipendenza dall'alleato americano che tratta con gli sciiti di Teheran. Non è un caso che l'Arabia Saudita abbia deciso d'intervenire in Yemen proprio durante i colloqui di Losanna, e non è un caso che le monarchie sunnite di Giordania e Marocco, l'Egitto di Abdel Fattah Al Sisi e tutti i potentati del Golfo abbiano subito seguito Riad. Già decenni fa, quando dal Cairo a Damasco i leader e gli intellettuali sognavano una nazione panaraba, si era tentata la creazione di una forza unificata, la cui idea si è infranta nelle disfatte militari contro Israele.
L'anno scorso, la questione era stata risollevata dalle nazioni del Golfo. Ci vorrà del tempo per vedere in azione una Nato araba e per mettere d'accordo nazioni spesso in conflitto diplomatico tra loro. Secondo fonti mlitari egiziane, il progetto ruoterebbe attorno alla disponibilità di 40mila truppe cui, su base volontaria e a seconda dei casi, i diversi Paesi potranno aggiungere i loro contingenti. Il comando, non è chiaro se sarà unificato, forse al Cairo o a Riad.
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