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Simon Levi Sullam - I carnefici italiani - 30/03/2015

Simon Levi Sullam
I carnefici italiani
Feltrinelli

Perché raramente si ricorda che almeno metà degli arresti di ebrei fu condotta da italiani, senza ordini o diretta partecipazione dei tedeschi? Perché ancora oggi si sostiene che l'Italia e il fascismo siano rimasti "al di fuori del cono d'ombra dell'Olocausto"? Sono alcune delle (pesanti) questioni che pone Simon Levis Sullam, professore di Storia Contemporanea presso l'Università Ca' Foscari di Venezia, nel suo libro "I carnefici italiani", edito da Feltrinelli. Oggi, passati 70 anni da quando nella primavera del 1954 furono abbattuti i cancelli dei campi di concentramento tedeschi, questo lavoro riporta l'attenzione su una questione cruciale: non furono solo i feroci nazisti gli autori del genocidio. Anche gli italiani, sotto la propaganda del fascismo, agirono in prima persona nell'attività persecutoria, prima, e di persecuzione, poi. Furono oltre 8 mila gli ebrei italiani che persero la vita così, per lo più finendo i loro giorni nel campo di sterminio di Auschwitz. Ecco che cosa non dobbiamo dimenticare.

Il prologo si apre con la sera di sabato 5 dicembre 1943, alcune ore prima della retata che a Venezia avrebbe condotto all’arresto di oltre 160 tra uomini, donne e bambini. Il pianista Arturo Benedetti Michelangeli teneva un concerto al Teatro La Fenice. Tanta ordinaria quotidianità e poi una terribile caccia all'uomo. Come si spiega questa vicinanza di vissuti? L'Italia era in guerra da circa tre anni, quindi la società italiana era per cosi dire abituata a convivere con la violenza e la guerra - bombardamenti, morti, feriti, deprivazioni -. La logica genocida, inoltre, colpiva un gruppo specifico e l'assuefazione alla violenza e al razzismo antisemita poteva produrre una relativa indifferenza verso le vicende che riguardavano gli ebrei, come arresti, depredazioni, deportazioni.

Chi erano gli italiani di fine anni Trenta e inizio Quaranta e che cosa si pensava e diceva degli ebrei? Almeno a partire dal 1938 gli italiani, per volontà del fascismo, erano divenuti razzisti e antisemiti. Il discorso razzista derivava anche dalle imprese coloniali del fascismo e dalla recente proclamazione di un impero italiano in Etiopia. La propaganda nelle scuole, sui giornali, su riviste specializzate come la "Difesa della Razza" martellava i temi della cospirazione ebraica, dell'ebreo deicida e delle sue diverse e mutevoli sembianze di milionario e di rivoluzionario comunista.

Erano queste le radici in cui affondava il crescente sentimento antisemita? In Italia l'antiebraismo si nutriva anche di un pregiudizio antigiudaico di matrice cattolica, di secolare tradizione.

Spesso, ancora oggi, si tende a minimizzare il ruolo dell'Italia e degli italiani nella persecuzione ed emarginazione degli ebrei in epoca fascista. È un tentativo di "lavarsi la coscienza"? Il mito del bravo italiano si forma già nel corso della seconda guerra mondiale e poi nel dopoguerra, si radica nella memorialistica della diplomazia e dell'esercito italiano, rafforzato da colpi di spugna sui crimini fascisti, come l'amnistia Togliatti. Il tentativo è quello di riabilitare l'intera società italiana, di discolparla e di presentarne un immagine mite, benevola ed equilibrata, magari da contrapporre alla "ferocia" nazista.

Quali sono, invece, le precise responsabilità dei politici italiani, della stampa e dei cittadini di quegli anni? Il regime fascista introdusse nel 1938 una legislazione antisemita e razzista e proclamò la superiorità della "razza" ariana. Quel che accadde fu l'esclusione degli ebrei dalle scuole e dalle università, la forte riduzione delle loro attività economiche, arrivando a proibire la circolazione di libri di autori ebrei. Cinque anni più tardi si avviò, con al Repubblica sociale italiana, la persecuzione delle vite degli ebrei: arrestati, depredati, deportati, ripeto.

A quando ammonta il numero delle vittime? Morirono oltre 8 mila ebrei italiani, per lo più nel campo di sterminio di Auschwitz.

I responsabili, sottolinea, non sono solo coloro che compirono materialmente gli arresti, per non parlare delle uccisioni, ma anche chi compilò le liste delle vittime, chi sequestrò e confiscò beni ebraici, chi fece la spia. Qual era il sentimento diffuso che spingeva questi individui ad agire spesso contro vicini di casa, conoscenti, a volte anche amici? È necessario mettere a fuoco un reticolo di responsabilità o corresponsabilità che include diversi livelli di partecipazione e consapevolezza: chi compì gli arresti o chi si limitò a stilare una lista non ha lo stesso grado di coinvolgimento. Certamente tutti erano consapevoli di partecipare a un'azione persecutoria, inoltre nella vicinanza - con conoscenti, talora con amici - potevano scattare meccanismi di rivalsa personale, vecchi risentimenti, oppure incideva l'invidia di ricchezze vere o presunte, e il desiderio di arricchimento.

Nel libro sottolinea anche la gravità di atti che, solitamente isolati, sono stati a lungo sottovalutati. Parla di tutti quei burocrati "in grado di distruggere tutto un popolo restando seduti alle loro scrivania". Studiosi come Zygmunt Bauman hanno spiegato che lo sterminio è stato possibile attraverso meccanismi di burocratizzazione e moltiplicazione di funzioni diverse nella macchina dello sterminio. Milioni di persone furono coinvolte, la maggior parte a grande distanza dall'atto di distruzione finale: ad esempio conduttori di treno, segretarie, semplici funzionari. Ma non va dimenticato che nel corso dell'Olocausto migliaia di uomini comuni furono anche parte attiva e diretta nei massacri di massa nell'Europa Orientale.

Ultimamente si parla e si è parlato tanto (e soltanto) dei giusti e salvatori. Come mai i carnefici italiani sono passati in secondo piano? Proprio per consolidare e diffondere l'immagine del bravo italiano negli ultimi anni è prevalsa la celebrazione dei giusti e dei salvatori. Il loro contributo fu essenziale ed ammirevole e la ricerca di modelli positivi ed etici è comprensibile. Ma in questo modo è sceso il silenzio su migliaia di donne e uomini coinvolti negli arresti e nelle deportazioni.

Quale può essere il rischio di un simile atteggiamento? Così si corre il pericolo di non fronteggiare e non interrogarsi sulle radici del male, se non addirittura arrivare a dimenticarle.

Qual è un concetto, un pensiero che vorrebbe giungesse ai lettori che prenderanno in mano questo libro? Mi piacerebbe che gli italiani iniziassero a fare veramente i conti con l'esperienza e le responsabilità del fascismo. Che non si limitano all'antisemitismo del 1938 e alle persecuzioni degli ebrei. Il fascismo fu liberticida e violento fin dal 1922 ed ebbe il consenso della maggior parte degli italiani. Vorrei inoltre che l'Italia riconoscesse a chiare lettere il suo ruolo nelle vicende dell'Olocausto con la partecipazione di centinaia, forse migliaia, di italiani nel ruolo di carnefici.

La giornata della Memoria - a 70 anni dalla tragedia - che tipo di riflessione dovrebbe portare? Credo andrebbe sottolineato il suo significato universalistico. La Shoah colpì un gruppo specifico: gli ebrei, come anche disabili, omosessuali, rom; ma la violenza che essa generò e le responsabilità che ne derivano riguardano tutti. Siamo stati tutti - in un certo senso - carnefici, vittime e spettatori. Oggi – e non soltanto oggi - dobbiamo ricordarcene e impegnarci perché fenomeni analoghi non possano ripetersi. Lontano e vicino a noi, quotidianamente.

Marzia Nicolini, Io Donna - Corriere della Sera




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