Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 26/03/2015, a pag. 49, con il titolo "Il caso Palatucci", l'intervento di Natalia Indrimi, Centro Primo Levi - New York.


Giovanni Palatucci Natalia Indrimi
Desidero rettificare quanto erroneamente affermato da Matteo Napolitano nell’articolo su Giovanni Palatucci ( Corriere , 24 marzo). Il Centro Primo Levi di New York non ha mai definito Palatucci un collaborazionista ma ha piuttosto messo in luce con approfondite ricerche il suo ruolo di impiegato della persecuzione. Dallo spoglio di centinaia di documenti risulta che Palatucci in qualità di funzionario di polizia ha coadiuvato la persecuzione antiebraica dall’applicazione delle Leggi Razziali alle pratiche di rintraccio e identificazione degli ebrei nel periodo della Repubblica Sociale. Risulta altresì che le azioni di salvataggio di massa attribuitegli non sono mai avvenute e nell’unica documentata non ebbe ruolo alcuno. Che sulla soglia della disfatta dell’Asse, Palatucci, come d’altronde i suoi superiori, abbia cercato contatti con gli alleati o abbia espresso simpatia per gli ebrei è un dato biografico da tenere in considerazione ma che non cambia il suo operato. La necessità di travisare i risultati della ricerca e spostare la questione sul piano del giudizio personale, è indice del problema più vasto posto dal mito di Palatucci e dalla sua caduta. Se fosse stato un collaborazionista animato dall’odio per gli ebrei, il suo posto nella pubblica morale sarebbe ovvio e non porrebbe alcun problema. Il problema è posto dal fatto che è stato invece una “brava persona”, un giovane cortese i cui valori molti sono pronti a condividere, che ha fatto bene il suo dovere al servizio della patria monarchico-fascista e fascista repubblicana incluso quello di perseguitare cittadini e stranieri di origine ebraica.
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