Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/03/2015, a pag. 6, con il titolo "Isis, una cellula anche in Italia, tre arrestati per arruolamento", la cronaca di Fabio Poletti; a pag. 7, con il titolo "Giovani, invisibili e sempre connessi: la guerra santa degli jihadisti torinesi", la cronaca di Gianni Giacomino, Massimo Numa.
Ecco gli articoli:
Fabio Poletti: "Isis, una cellula anche in Italia, tre arrestati per arruolamento"
Anas El Abboudi
«Anas l’italiano» se lo erano lasciati scappare. Ma la sua rete, la rete dei reclutatori per il jihad, la procura di Brescia è sicura di averla smantellata con questi tre arresti, una sorveglianza speciale con obbligo di dimora e un altro ordine di custodia destinato a finire nel buco nero della guerra santa. Perchè è chissà dove in Siria Anas El Abboubi, «Anas l’italiano» o «Anas al Italy», marocchino poi naturalizzato, 22 anni di Vobarno vicino a Brescia, uno dei 53 foreign fighter del Viminale arruolatosi nelle truppe dell’Isis o dei qaedisti di Jabhat Al Nusra. Di lui si sono perse le tracce nel settembre del 2013. Nell’ultimo video su Facebook imbraccia kalashnikov e scandisce: «Il mio datore di lavoro è il jihad».
Già in carcere
Anas al Italy» lo avevano arrestato nel giugno del 2013 con l’accusa di addestramento con finalità di terrorismo. Quindici giorni era rimasto in carcere. Troppo labili e poco circostanziate le accuse: «Non è in procinto di compiere attentati o gesti di violenza». Abbastanza per permettergli di uscire dal carcere di Canton Mombello, salutare il padre operaio e in cassintegrazione e la madre casalinga rimasti a Vobarno. Senza nemmeno un saluto ai suoi compagni di scuola dell’istituto professionale di Brescia dove aveva preso il diploma mentre già faceva l’operaio, poco prima di imbracciare il kalashnikov.
Senza lasciare tracce se non quelle informatiche che la Digos di Brescia ha seguito per anni. «Anas al Italy» non solo veicolava sermoni e proclami jihadisti, metteva in rete documenti su armi e sulle tecniche di combattimento, ma intratteneva rapporti con il network di sospetti terroristi arrestati per la prima volta con l’accusa di arruolamento, il reato inserito dal governo a fine gennaio nel pacchetto antiterrorismo varato dopo la strage parigina al settimanale Charlie Hebdo.
In manette tra l’Albania e la provincia di Torino sono finiti Alban ed Elvis Elezi, zio e nipote accusati di arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale e Elmad Halili, 20 anni, italiano ma di origine marocchina, che deve rispondere del solo reato di apologia. Oltre agli arresti a Ciriè, a Lanzo e in Albania e il quarto ordine di custodia contro «Anas al Italy» i magistrati hanno firmato un provvedimento di sorveglianza speciale con obbligo di dimora per un ventenne italo tunisino residente a Como che dopo qualche titubanza iniziale si era convinto ad aderire al Califfato di Abu Bakr Al Baghdadi ed era pronto anche lui a partire pere il jihad. Elmad Halili che ha solo vent’anni è considerato uno dei personaggi più importanti del marketing dell’Isis. È lui, secondo gli investigatori, l’estensore del documento di 64 pagine «Stato islamico, una realtà che ti vorrebbe comunicare» finito in rete e considerato uno dei più potenti strumenti di propaganda per arruolare i foreign fighter per la Siria. Un progetto di vita definitivo, come «Anas al Italy» aveva detto al padre in una telefonata intercettata: «Sai dove sono o no? Mica stiamo scherzando qui... Anche quello, lo chiami modo di vita che un essere umano potrebbe vivere? Vivi con loro come un cane, maledetti...»
Il materiale
Nel corso delle perquisizioni avvenute in Lombardia, Piemonte ma pure in Toscana - a Massa Carrara e nel pistoiese - gli investigatori hanno scoperto molto materiale di propaganda destinato al web tra cui i filmati di alcuni bambini in addestramento militare e giovani jihadisti che stracciano il proprio passaporto. «Materiale destinato agli italiani di seconda generazione che al compimento del diciottesimo anno sarebbero stati pronti ad arruolarsi». Una rete ramificata in mezza Italia i cui contorni sono ancora tutti da definire ammette il questore di Brescia Carmine Esposito: «Diverse decine di persone sono passate negli anni attraverso la filiera messa in piedi dalla cellula che ritengo che non fosse l’unica operante nel nostro Paese».
Gianni Giacomino, Massimo Numa: "Giovani, invisibili e sempre connessi: la guerra santa degli jihadisti torinesi"
La pagina facebook di un fan dello Stato Islamico
Invisibili. Giovanissimi (presunti) jihadisti che non hanno barbe incolte; che non indossano i vestiti della tradizione; che non frequentano moschee; che non pregano in pubblico; che non lasciano mai trapelare posizioni fondamentaliste pur professandosi islamici; che intessano normali rapporti sociali con i coetanei, i professori, l’ambiente sociale dove vivono le loro famiglie. Viene in mente il decalogo qaedista per i piloti del settembre 2001: tagliare la barba, vestire all’occidentale, comprare alcol negli aeroporti, irrorarsi di profumo, ostentare libri e riviste sexy, proibite dall’Islam. Per passare inosservati tra la folla, per non destare l’attenzione di nessuno.
Sempre on line
I genitori li vedono trascorrere ore sulla tastiera del pc e fare zapping sulla tv, per collegarsi alle tv di area ma non hanno sospetti e oggi piangono e si disperano guardando il video del Viminale dove i figli compaiono in manette. Stupiti e sconvolti. Su Elvis Elezi, 20 anni, studente dell’istituto professionale D’Oria di Ciriè, indirizzo tecnologico, grava l’accusa dei pm di Brescia di essere uno dei reclutatori dei combattenti Isis. Il padre Itayed, saldatore: «Figlio unico, il migliore del mondo. Io avrei voluto tornare da tempo in Albania sono rimasto qui per lui, per dargli un futuro, per farlo studiare. Se fosse davvero un terrorista lo ammazzo io con le mie mani!». Disperato: «Me l’hanno rovinato, gli resterà per sempre una macchia nella sua vita, non riusciamo a capire, a capirlo». La moglie Liliana, in lacrime, mostra i generi alimentari avuti gratis dalla parrocchia: «Noi siamo grati all’Italia, siamo qui da dieci anni, la gente di qui ci stima e ci rispetta. Mio marito ora lavora saltuariamente, non c’è lavoro e siamo in difficoltà; ma ad Elvis non abbiamo mai fatto mancare niente». Era in contatto con lo zio Alban, anche lui arrestato? «Non parliamo da anni con lui, abbiamo litigato - dice Itayed - non capisco che tipo di legame abbiano. La polizia è venuta qui alle 6 di mattina, incapucciati, armati, spalancano la porta, mi urlano “dov’è tuo figlio?”. “Mio figlio è lì, sta dormendo, che ha fatto?». Lo portano via». A scuola non andava troppo bene, niente di grave però, dicono i professori.
Studente distratto
Spiega la preside Maria Costantino: «Ho parlato con lui spesso, in questi anni, proprio perchè i suoi genitori non erano molto presenti, qui a scuola. Mai sollevato sospetti sulle sue idee. E’ uno studente un po’ distratto, non troppo brillante. Anzi, quando i fondamentalisti hanno distrutto le statue a Mosul, lui s’è indignato, ha criticato pubblicamente l’Isis. Anche la sua insegnante di italiano è caduta dalle nuvole, non ha mai rilevato nessuna anomalia nel comportamento di questo ragazzo, neppure quando in aula è stato affrontato il tema della strage di Charlie Hebdo e dei morti torinesi a Tunisi; non è un leader, aveva pochi amici, «ma tutti gli vogliono bene», commenta.
Apprendista operaio
Più complesso il ritratto di El Madi Halili: «Mio fratello non è un terrorista - dice la sorellina, Mariam - non è un fondamentalista, fa l’operaio-apprendista in una fabbrica di materiale plastico a Villanova Canavese, lavora tutto il giorno e sta con noi in famiglia». Unico flashback di segno islamico: «Gioca a calcio con mio figlio nella Lanzese - racconta un commerciante - quando c’era il Ramadan, nonostante fatica e sudore - rifiutava persino un bocchiere d’acqua, ero rimasto colpito». Madi El Halili viene descritto come un ragazzo introverso, poco incline a dare confidenza, anche ai compagni di lavoro, che viveva come isolato, nella casa di vico delle Coste, 17, nel centro storico di Lanzo. Un vecchio fabbricato, un lungo ballatoio e poi la porta dell’alloggio. Il padre, falegname, una vita di duro lavoro, e il fratello stanno cercando un avvocato, ieri sono andati in questura per avere informazioni: «Non avremmo mai pensato che potesse finire in un guaio del genere, se ha fatto qualcosa è perchè qualcuno lo ha messo in mezzo, lo hanno coinvolto suo malgrado». L’accusa è di svere scaricato e diffuso documenti Isis, traducendo le 64 pagine di un documento di propaganda destinato dai terroristi ai seguaci in Occidente. In contatto con Elvis Elezi e gli altri indagati. Sul tavolo della piccola scrivania nella casa di Elvis, protetta da una videocamera che sorveglia l’ingresso, sono rimasti i cavi staccati del computer, la Digos ha sequestrato computer e telefoni.
Non siamo praticanti
La madre: «E’ un bravo ragazzo, credetemi. Non abbiamo più notizie da ore, chissà come sta. Quando lo libereranno?». Conoscena El Madi? «Non lo so, non ci ha nai detto niente. Siamo islamici, ma nessuno di noi è praticante, in casa nostra non si è mai parlato di terrorismo». Fuori, in un armadio, ci sono scarpe da ginnastica, magliette con loghi di multinazionali dello sport, i libri di scuola nella parte inferiore, vissuti, sottolineati, consumati e impilati con cura. Divisi per materia. Incerto il profilo degli altri due indagati torinesi. Giovanissimi anche loro. Un ragazzo e una ragazza di origine marocchina. Anche loro piegati per ore sui computer, immersi nel mare magnum dei siti integralisti. E altri genitori increduli.
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