Che cosa ci insegna l'idiozia della gauche caviar di Tel Aviv
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A destra: veduta aerea di Tel Aviv
Cari amici,
voglio partire oggi da un episodio piuttosto vergognoso. E' un piccolo aneddoto, che non va sopravvalutato, riguarda probabilmente solo un gruppo limitato di persone, così bizzarro da sembrare una satira, ma dà da pensare. Eccolo qui: dopo la sconfitta della sinistra alle elezioni della settimana scorsa, in Israele qualcuno da quelle parti ha lanciato un movimento chiamato “lo latet” che in ebraico vuol dire “non dare”, “non donare”, facendo il verso a un'importante organizzazione di beneficenza che si chiama appunto “latet”, cioè “donare”. Ne è venuta fuori anche una pagina facebook, che trovate qui (https://www.facebook.com/pages/LO-LATET-%D7%9C%D7%90-%D7%9C%D7%AA%D7%AA/1564067420542286).
Gli articoli che hanno informato sulla sua esistenza dicono che ha raggiunto circa 3000 likes (ma adesso sono di meno) e riportano qualche frase dai post del sito. Per esempio "Dato che si avvicina la festa di Pesach - si legge in un post - vorrei ricordare che ci sono centinaia di persone che non hanno modo di celebrare. E 'importante non dare loro un solo shekel... Dopo tutto, hanno eletto un governo che cambierà la loro situazione, quindi perché interferire e rovinare le cose? Buone vacanze!" "D'ora in poi, voglio la pace della mente", ha scritto un altro utente. "D'ora in poi, è ognuno per sé. Non parlatemi di salari minimi e di persone il cui stipendio non permette loro di finire il mese. Non voglio sentir parlare di bambini affamati o ragazze madri in difficoltà, dipendenti licenziati, o pensioni erose. Non fatemi prediche sulla scelta del popolo e il governo della maggioranza, ho capito cosa sia la democrazia, ma da ora in poi, lasciate che ogni persona prendersi cura di se stesso" (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/192998#.VREprfmG9Qc).
E ancora: "I residenti di Ashdod, Ashkelon, Beersheba e il resto della 'periferia sud' - quelli che soffrono maggiormente del governo di Bibi, che ha portato i razzi Qassam, le guerre, la disoccupazione e un senso di privazione - gli hanno detto di sì. Ancora una volta. Il quaranta per cento e più hanno messo 'Mahal' (le lettere del Likud) nelle urne. La solidarietà è finita, o come ha detto un politico [Bennett, ma riferendosi alle pressioni degli Stati Uniti]: 'Noi non chiederemo più scusa' " (http://www.jpost.com/Israel-Elections/Group-of-disheartened-voters-call-to-punish-periphery-for-election-results-394770).
Lo ripeto, è una cosa così assurda che ho pensato a una satira (in Israele ce n'è molta, anche piuttosto estrema come questa: http://player.vimeo.com/video/106171741), ma poi ho visto che “lo latet” è preso sul serio da giornali e siti e che c'è stato anche un comunicato molto addolorato dell'organizzazione di beneficenza, che ha sottolineato il suo carattere apolitico. E per questo ve lo ripropongo qui. Ma anche per un'altra ragione. Al di là del suo estremismo cinico e volgare, “Lo latet” fotografa una tendenza israeliana e non solo, un paradosso che è evidente, ma che di solito non si considera. Il paradosso è questo. La sinistra si è sempre definita per essere la parte politica delle “masse popolari”, dei poveri, dei lavoratori manuali, contro le élites socioeconomiche, i ricchi. Questo radicamento sociale, che ancora è presente nella propaganda e nell'immaginario, non è spesso più tale nella realtà. E' facile verificarlo considerando la distribuzione geografica del voto. In Israele la roccaforte laburista è stata Tel Aviv e in particolare la sua zona Nord, che è la più ricca del paese, mentre il Likud ha vinto soprattutto nella larga periferia meridionale della metropoli, che è operaia, a Gerusalemme, che è nettamente più povera e nelle zone socialmente meno privilegiate. Qualcosa del genere del resto succede anche nella geografia americana, europea e italiana del voto. Le classi popolari sono quelle più preoccupate dell'immigrazione clandestina, quelle più attaccate all'identità nazionale, quelle meno sensibili all'ideologia terzomondista diffusa dai vertici politici e dai grandi giornali. Insomma, il voto di sinistra non è più un voto di classe, un voto che punta alle condizioni per l'elevazione sociale, ma un voto ideologico. E' qui che si apre la possibilità di un fascismo di sinistra, come si vede in 'Lo latet' e anche in altri episodi che vi ho già raccontato l'altro ieri (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=5761).
Ma c'è qualcosa di più grave ancora in questa storia. Mentre in Israele, negli Stati Uniti e in qualche raro paese europeo come l'Olanda, questa domanda politica che proviene da una parte consistente della popolazione, quella tradizionalmente popolare e di sinistra, ma oggi preoccupata per l'aggressività islamica e i rischi dell'immigrazione è raccolta da forze democratiche di destra, come il Likud, il partito repubblicano, il Pvv di Wilders, o come è accaduto da noi con Forza Italia, che peraltro sono oggetto dell'odio furibondo della sinistra, altrove questo non avviene, perché non vi sono soggetti democratici di destra sufficientemente organizzati. Ma se non c'è una destra democratica, o come capita quella che c'è è egemonizzata dalla sinistra fino a sposarne temi e fobie, perdendo contatto con la propria ragion d'essere, questa domanda politica non sparisce, finisce piuttosto in forze antisistema di protesta, qualche volta all'estrema sinistra (come in Grecia, ma in parte anche nel movimento di Grillo) o più spesso di estrema destra, con forti rischi di derive nazifasciste, come in Grecia, in Ungheria, in Austria. In molti casi, come in Francia e in Gran Bretagna, c'è una destra vincente molto ambigua, che è difficile classificare. Il rischio terribile è che con l'accentuarsi prevedibile dell'offensiva islamista e dell'immigrazione che rischia di portarcela in casa, mentre la sinistra mette la testa sotto la sabbia o cerca di approfittare della situazione, prevalgano queste spinte estremiste. Ci troveremmo allora a dover scegliere fra islamisti e neofascisti: una prospettiva terribile.
Ugo Volli