Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 25/03/2015, a pag. 45, con il titolo "Le due guerra civili del mondo musulmano", la risposta di Sergio Romano alla lettera di Silvio Benvenuto.
Quali sono i brandelli di laicità a cui i Paesi islamici non possono rinunciare? Ci piacerebbe che Sergio Romano rispondesse a questa domanda, anziché suggerire che questi brandelli ci siano e sostenere tale illazione con prove ed esempi.
Il paragone tra l'odierno conflitto tra sciiti e sunniti nel mondo islamico e la Guerra delle Due Rose è poi incredibile. In questo secondo caso, infatti, si tratta di un conflitto dinastico, mentre la guerra civile tra sciiti e sunniti è in primo luogo ideologica, pur se nasce (anche) da questioni irrisolte di successione religiosa.
Ecco lettera e risposta:
Sergio Romano
Chiedo un suo parere, dopo la strage in Yemen, circa la tesi, esposta nel libro Non c’è altro Dio all’infuori di Dio, dallo studioso americano di origine siriana, Reza Aslan, secondo cui «Oltre il terrorismo, oltre la paura, oltre le prime pagine dei giornali e lo “scontro di civiltà”, c’è una cosa che non viene mai abbastanza sottolineata: ciò che oggi sta avvenendo nell’Islam è un conflitto interno fra musulmani, non una guerra fra Islam e Occidente. L’Occidente è la vittima di una rivalità che infuria nell’Islam su chi scrive il prossimo capitolo della sua storia».
Silvio Benvenuto
silviobenvenuto@alice.it
Caro Benvenuto,
Reza Aslan è nato a Teheran nel 1972, ma ha lasciato il suo Paese con la famiglia dopo la rivoluzione degli ayatollah, nel 1979, e vive da allora negli Stati Uniti dove ha fatto una brillante carriera accademica. Ma è anche una personalità controversa a cui viene rimproverato, dopo un paio di passaggi da una fede all’altra, un certo eclettismo religioso.
Ha indubbiamente ragione, tuttavia, quando sostiene che il mondo musulmano è sconvolto da un conflitto interno che a me sembra una doppia guerra civile. La prima è quella che oppone l’Islam radicale e salafita di alcune frange religiose a quello istituzionale di alcuni Stati sunniti. Il primo sostiene una interpretazione letterale della legge coranica e concepisce l’esistenza come una continua Jihad contro nemici interni ed esterni per il trionfo della fede. Il secondo cerca di conciliare i precetti religiosi con quel tanto di laicità a cui nessuno Stato moderno (neppure l’Arabia Saudita) può interamente rinunciare.
La seconda guerra civile è quella che oppone sunniti e sciiti. All’origine del conflitto vi è una interminabile disputa politico-teologica sulla discendenza del profeta, una sorta di «guerra delle due rose» fra le casate di York e Lancaster. Il fenomeno è antico, ma è divenuto molto più grave da quando gli sciiti, negli anni Settanta, hanno registrato alcuni successi. In Siria, nel 1970, un generale dell’aeronautica, Hafez Al Assad, s’impadronì del potere e creò un regime dinastico sostenuto dagli alauiti, una minoranza che appartiene alla famiglia sciita. Cinque anni dopo, quando scoppiò la guerra civile libanese, constatammo che fra sunniti e cristiani maroniti vi era ormai un terzo incomodo, la minoranza sciita, cresciuta demograficamente e decisa a rivendicare un ruolo maggiore nella vita politica del Paese.
La fondazione di Hezbollah, nel 1982, darà agli sciiti libanesi un braccio militare. Un altro avvenimento, nel frattempo, aveva reso la Shia ancora più potente. In Iran, un Paese prevalentemente sciita, la rivoluzione del 1979 contro il regime laico di Reza Pahlavi aveva partorito una repubblica islamica governata dalle élite religiose e presieduta da un Grande Ayatollah.
Da quel momento tutti gli sciiti del Medio Oriente seppero che esisteva ormai un grande Stato di cui avrebbero potuto invocare la protezione. La scena si spostò in Iraq dove la maggioranza sciita era soggetta al potere tirannico di un leader sunnita, Saddam Hussein. Quando gli dichiararono guerra, nella primavera del 2003, gli Stati Uniti non capirono che la loro vittoria sarebbe stata una vittoria sciita e che di questa nuova situazione avrebbe tratto vantaggio soprattutto l’Iran.
Un caso particolarmente interessante è quello del Bahrein, un piccolo regno del Golfo Persico dove vivono un milione e 300.000 persone di cui il 70% è sunnita. Qui la rivolta araba del 2011 è divenuta rapidamente una insurrezione sciita contro il sovrano sunnita e le sue tribù. Dopo parecchie manifestazioni popolari, la rivolta è stata schiacciata dall’intervento di una forza militare dell’Arabia Saudita e di altri Stati sunniti della regione: un altro episodio nella storia di una guerra civile a cui le democrazie occidentali hanno prestato una scarsa attenzione.
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