Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 24/03/2015, a pag. 14, con il titolo "L'Europa sbaglia, non possiamo dialogare con milizie e terroristi", l'intervista di Andrea Carugati al generale Khalifa Haftar, capo delle forze armate del governo di Tobruk.
Khalifa Haftar
Arrivare a tu per tu con il generale Khalifa Haftar, il capo delle forze armate del governo di Tobruk che sta guidando l’offensiva contro il blocco islamico di Tripoli, non è un affare semplice. Prima un vecchio elicottero militare, con un viaggio di un paio d’ore, ci porta da Al Baida a Tobruk. Poi, su una vecchia Mercedes, arriviamo negli uffici dello stato maggiore dell’esercito. Da lì, con un’altra automobile, veniamo condotti in un anonimo edificio protetto da decine di guardie armate e camionette con le mitragliatrici.
La prudenza per Haftar è giustificata. Di recente hanno provato a ucciderlo con un telefono pieno di esplosivo. Haftar è fresco della nomina a capo delle forze armate del governo della Libia, costretto all’esilio da Tripoli , appunto a Tobruk, dopo l’avanzata delle milizie islamiche che si sono impossessate della capitale. Il generale ha una lunga esperienza di conflitti e cambi di casacca: nel 1969 ha partecipato al colpo di stato che portò al potere Gheddafi, ma alla fine degli Anni 80 si è ribellato al raiss ed è stato costretto all’esilio negli Stati Uniti.
Haftar è tornato il Libia nel marzo del 2011, dove ha collaborato alla caduta del regime, per poi rientrare nella sua casa in Virginia. Ma la scorsa estate, dopo un’offensiva degli estremisti che ha visto il massacro di molti ex ufficiali e di personalità di spicco della società civile a Bengasi, Haftar ha deciso di ritornare in Libia, raggruppare le milizie a lui fedeli e lanciare un’operazione militare chiamata Dignità, con l’obbiettivo di liberare la Libia dagli islamisti.
Generale, com’è la situazione?
«Stiamo combattendo per ristabilire in Libia la democrazia, la giustizia, la pace e la sicurezza. Purtroppo i nostri avversari sono aiutati da molti paesi e noi siamo solo poche migliaia e abbiamo risorse molto limitate. Abbiamo quasi liberato Derna, ma gli estremisti si stanno concentrando sui pozzi di petrolio nel Sud, che attaccano e bruciano in continuazione».
Crede nel successo delle trattative avviate in questi giorni?
«Sono dell’idea che le Nazioni Unite e la comunità internazionale debbano smettere di esercitare questa pressione per farci sedere allo stesso tavolo con i terroristi e i leader delle milizie che hanno commesso atrocità e sovvertito il risultato delle elezioni con la violenza. Siamo disposti a sederci al tavolo con gli esponenti moderati, ma sempre sotto l’ombrello del governo e del Parlamento legittimo, che è quello di Tobruk».
Ma il governo di Tripoli gode dell’appoggio di diversi Paesi...
«Hanno un sistema di propaganda molto efficiente».
È vero che in questi giorni è stata firmata una legge che permetterà agli esiliati dopo la caduta di Gheddafi di tornare in Libia?
«Non sbaglia. Bisogna mettere una pietra sul passato e permettere loro di rientrare in Libia e aiutarci a sconfiggere gli estremisti: chi però in passato si è macchiato di delitti e atrocità non potrà rientrare».
È una guerra civile quella in corso nel suo Paese?
«È un conflitto voluto da altre potenze. Qatar, Turchia e Sudan stanno aiutando gli islamici, con armi e finanziamenti. Ma siamo sicuri che siano pilotati da altri Stati che inviano navi ricolme di armi e intendono mettere le mani sulla Libia e sulle sue risorse. Al contrario noi siamo stati abbandonati dalla comunità internazionale. Forse non è stato compreso che questa guerra la stiamo combattendo anche per l’Europa e che siamo l’ultima barriera contro gli estremisti».
Da chi si sente abbandonato? Da quali Paesi?
«Lo sappiamo ma non mi interessa dirlo. Certamente al momento giusto sapremo come ripagarli. Una volta riconquistata la Libia, perché la riconquisteremo, andremo a vedere chi ci ha aiutato e chi invece ha favorito i terroristi e vedremo con chi condividere le nostre ricchezze».
E l’Italia come si posiziona?
«Con l’Italia abbiamo un rapporto di amicizia, i nostri popoli sono amici e vorremmo continuare nella politica di cooperazione e di condivisione delle nostre risorse. Se dovesse prevalere l’Isis il prossimo bersaglio degli estremisti sarebbe proprio l’Italia. Per questo vorremmo maggiore attenzione alla situazione e maggiore solerzia nell’invio di aiuti».
Se potesse mandare un messaggio al primo ministro italiano, Matteo Renzi, quale sarebbe?
«Al premier Renzi chiedo che contribuisca a rimuovere l’embargo sulle armi e di aiutarci a combattere per la democrazia e per una Libia libera dagli estremisti e pur sapendo che non può aiutarci da solo gli chiedo di convincere la comunità internazionale a fare questo passo decisivo per il bene della Libia, ma anche dell’Italia: se dovessero vincere i terroristi dell’Isis sarebbe a rischio anche la vostra sicurezza. Stiamo combattendo questa guerra anche per voi».
In Italia c’è molta preoccupazione per l’immigrazione clandestina; solo nel 2014 oltre centocinquantamila migranti sono arrivati in Italia passando dalla Libia.
«Il traffico di esseri umani è in mano agli estremisti nel Nord-Ovest del paese. Vorremmo che venissero rispettati e rinvigoriti i vecchi accordi ora in disuso, ma perché accada serve l’intervento rapido della comunità internazionale a sostegno del governo legittimo di Tobruk».
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