Riprendiamo da STAMPA e FOGLIO due articoli sulla strage in Yemen. Maurizio Molinari sulla Stampa a pag.9, l'editoriale del Foglio a pag.3
La Stampa-Maurizio Molinari: "La zampata dell'Isis anche in Yemen, massacro nelle moschee degli sciiti"
Maurizio Molinari
Con almeno tre kamikaze contro due moschee houthi di Sana’a il Califfo apre in Yemen un nuovo fronte di guerra contro gli sciiti. Gli attacchi sono multipli e sanguinari: all’ora della preghiera del venerdì, quando le moschee di Badr e Hashoush sono affollate di fedeli houthi, i kamikaze entrano, si mischiano alla folla e si fanno esplodere. Quando i sopravvissuti fuggono in cerca di salvezza verso le uscite vengono investiti da altre esplosioni. È la tecnica dei «sandwich esplosivi» che trasforma i due luoghi di preghiera in vasche di sangue: il bilancio ancora parziale è di 142 vittime e 370 feriti. La rivendicazione arriva pochiminuti dopo dalle cellule yemenite dello Stato islamico.
La rivendicazione
Si tratta di una formazione jihadista nata solamente in novembre, che finora non aveva mai compiuto alcuna azione. È il suo debutto e la rivendicazione recita: «Questa operazione è stata eseguita dallo Stato islamico in Yemen ed è solo la cima dell’iceberg, i politeisti houthi devono sapere che i soldati del Califfato non avranno riposo e non si fermeranno fino a quando non li avranno sterminati». La carneficina si profila dunque come l’inizio di una campagna nello Yemen sunnita per «sterminare i politeisti» ovvero i ribelli di etnia houthi che risiedono nelle regioni settentrionali del Paese, sono considerati una setta Zaydi fuoriuscita dallo sciismo e dunque vengono tacciati di «eresia».
Roccaforte di Al Qaeda
Lo Yemen è la roccaforte di «Al Qaeda nella Penisola Arabica », emanazione diretta della centrale pakistana di Al Qaeda guidata da Ayman al- Zawahiri, e il successo ottenuto dagli houthi nell’impossessarsi del potere a Sana’a, esautorando presidente e governo, aveva fatto temere agli StatiUniti che proprio gli eredi di Osama bin Laden lanciassero una violenta campagna di attacchi. È invece lo Stato islamico di Abu Bakr al- Baghdadi a prendere l’offensiva, in maniera analoga a quanto fatto in Iraq e Siria - ovvero compiendo stragi di sciiti e sette affini - e si propone di fare lo stesso in altri Paesi, come il Libano, dove le cellule di Isis si stanno infiltrando nella popolazione sunnita.
Il fronte Pakistan
L’altro fronte anti-sciita è in Pakistan, dove a fine dicembre un gruppo di militanti jihadisti sunniti - ceceni, arabi e afghani - affiliati al gruppo «Tehrik-i-Taliban» ha attaccato una scuola di Peshawarmassacrando 145 persone inclusi 123 bambini figli di militari, in gran parte sciiti. Se Iraq, Siria e Libano fanno parte dell’area di operazioni dove lo Stato islamico dispone di più risorse, l’estensione della guerra agli sciiti in Yemen e Pakistan lascia intendere che l’ideologia del Califfo - che ne predica l’eliminazione fisica - è riuscita a produrre cellule in aree operative dove è la vecchiaAlQa- Il timore di «Human RightsWatch » è che simili violenze sciite finiscano per rafforzare il legame fra sunniti e Isis, esprimendo una tesi convergente con quanto affermato in una recente intervista dall’ex capo della Cia David Petraeus sul fatto che «il nostro più pericoloso nemico inMedio Oriente non è l’Isisma la strategia iraniana di avanzare attraverso rivolte sciite». eda a disporre di radici più profonde. Ciò che colpisce è come la strategia di Al-Baghdadi si accompagni a periodici appelli alla conquista delle città di Najaf e Kerbala - luoghi santi degli sciiti in Iraq - lasciando supporre che lo Stato islamico stia pianificando una propria offensiva di estate nel Sud del Paese, dove la popolazione sciita è più numerosa.
La partita contro l’Iran
L’intento di al-Baghdadi sembra essere di spingere i sunniti a una rivolta armata ovunque le minoranze sciite riescono ad affermarsi grazie al sostegno dellaRepubblica islamica dell’Iran. In Yemen infatti il deposto governo sunnita ha più volte accusato gli houthi di essere stati «addestrati e armati» dalla stessa forza Al Qods dei Guardiani dellaRivoluzione presente nell’Anbar iracheno per sostenere l’offensiva di truppe governative e curde contro Isis a Tikrit e Mosul. Proprio nell’Anbar lemilizie sciite - secondo un rapporto di «HumanRightsWatch » - si sarebbero rese colpevoli di «gravi violenze sui civili in piccoli e grandi centri sunniti» portando in particolare alla «distruzione della città di Amerli.
Il timore di «Human RightsWatch » è che simili violenze sciite finiscano per rafforzare il legame fra sunniti e Isis, esprimendo una tesi convergente con quanto affermato in una recente intervista dall’ex capo della Cia David Petraeus sul fatto che «il nostro più pericoloso nemico inMedio Oriente non è l’Isisma la strategia iraniana di avanzare attraverso rivolte sciite».
Il Foglio-Editoriale: "Sarebbe questo il modello Yemen ? "
Speranza ? piuttosto fallimento
Ricordate l’anno scorso quando il presidente Obama disse che non sarebbe intervenuto contro lo Stato islamico in Iraq se non ci fossero state certe condizioni? Per ben due volte, a luglio e a settembre, il presidente citò “il modello Yemen”, quello che per lui rappresenta un buon esempio di come far andare le cose: un governo amico da appoggiare con benevolenza distaccata, finanziamenti antiterrorismo a pioggia e qualche colpo di ramazza con i droni qui e là, per tenere i gruppi estremisti a bada. Ieri lo Stato islamico ha annunciato il via alle sue operazioni nello Yemen tre giorni dopo il suo primo attacco in Tunisia (costato la vita a quattro italiani) massacrando i fedeli in due moschee nella capitale Sana’a. Quattro terroristi si sono fatti saltare in aria in mezzo alla folla della preghiera del venerdì, in due luoghi di culto frequentati anche dagli sciiti Houthi, i ribelli del nord che dall’anno scorso controllano la capitale. Centoquaranta morti, così tanti feriti che li portano con gli aerei agli ospedali della Giordania, mille chilometri più a nord. Una strage talmente odiosa che persino al Qaida nello Yemen, quella che mette le bombe sugli aerei americani o almeno ci prova, ha scritto un comunicato ufficiale per prendere le distanze e ricordare che il gruppo segue le indicazioni di Ayman al Zawahiri, il capo egiziano successore di Osama bin Laden e nascosto da qualche parte in Pakistan: non si fanno attentati nelle aree miste, dove gli sciiti (i nemici) possono essere mescolati con i sunniti. Lo Stato islamico è considerato smodato nella sua ossessione abominevole di uccidere anche dagli autori dell’11 settembre. Da quando il presidente lo ha citato come modello, metà dello Yemen è caduta nelle mani dei ribelli filoiraniani (è un altro capolavoro strategico del generale Qassem Suleimani); al Qaida sta prendendo basi militari nel sud e nell’est; un ostaggio americano è stato ucciso; il presidente è fuggito sulla costa, ad Aden per preparare una guerra civile contro il nord; e da ieri lo Stato islamico ha fatto la sua apparizione con una ferocia tale da immaginare che questo non è che il primo capitolo di una campagna senza fine. Lo Stato islamico ha massacrato gli Houthi ieri a Sana’a perché vuole innescare una guerra civile, vuole scatenare la loro rappresaglia sui sunniti, alla quale fare seguire una nuova strage. Ci sta riuscendo. Poi ci si chiede come ha fatto Benjamin Netanyahu a rimontare i sondaggi alle elezioni israeliane parlando di sicurezza e trascurando l’economia. Obama prometteva il ritiro dall’Afghanistan e ora invece si prepara a tenere almeno diecimila soldati a combattere i talebani almeno per un altro anno – e le due basi più grandi, Kandahar e Jalalabad, non chiuderanno. Aveva celebrato il ritiro dall’Iraq e invece ora è impegnato in operazioni quotidiane in Iraq e anche in Siria – soltanto con gli aerei, per ora, ma non è lo scenario di pace che aveva previsto. La sua linea sul medio oriente sta andando in pezzi. Se non incassa un accordo blindato con l’Iran sul nucleare, cosa resterà dei suoi otto anni?
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