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La Repubblica Rassegna Stampa
20.03.2015 Chiedere al capo di un partito islamista cosa pensa del terrorismo: l'ultimo scivolone di Repubblica
Rachid Ennahda, leader di Ennahda, intervistato da Giampaolo Cadalanu

Testata: La Repubblica
Data: 20 marzo 2015
Pagina: 13
Autore: Giampaolo Cadalanu
Titolo: «Ghannouchi: 'La nostra libertà è più forte della barbarie'»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 20/03/2015, a pag. 13, con il titolo "Ghannouchi: 'La nostra libertà è più forte della barbarie' ", l'intervista di Giampaolo Cadalanu a Rachid Ghannouchi, leader del partito islamista Ennahda.

Ghannouchi eleva un peana a favore della libertà e contro la barbarie del terrorismo. Ma chi è Ghannouchi? E' il leader del partito islamista Ennahda, affiliato alla Fratellanza Musulmana. Il suo partito, ridimensionato alle ultime elezioni in Tunisia, adotta posizioni radicali ed è l'equivalente tunisino dei Fratelli Musulmani di Morsi. Fa parte, inoltre, della galassia della Fratellanza Musulmana, che ha in Turchia e Qatar i principali sponsor ed è radicata ovunque nei Paesi arabi ed è l'organizzazione di riferimento per i musulmani in molti Paesi occidentali, Italia inclusa. Anche Hamas, l'organizzazione terroristica che opprime Gaza e si propone di sterminare tutti gli ebrei, fa parte della Fratellanza Musulmana.
Siamo sicuri che uno dei suoi leader sia la persona migliore da intervistare sulla minaccia del terrorismo?
Chiediamolo a Repubblica e al suo direttore, Ezio Mauro

e.mauro@repubblica.it .

Ecco l'articolo:


Giampaolo Cadalanu, Rachid Ghannouchi

In queste ore il sorriso di Rachid Ghannouchi è un po’ appannato. Il leader del partito islamico è convinto che la Tunisia stia reagendo bene, ma sa anche che Ennahda rischia di pagare caro l’assalto dei jihadisti in termini elettorali.


Il simbolo di Ennahda

Presidente, chi è che odia la Tunisia tanto da organizzare un attacco come quello del Bardo? «Sono i nemici della Primavera araba, la Tunisia è l’ultima fiamma ancora accesa delle rivoluzioni arabe».

Ma sono forze interne o vengono dall’estero? «Forze interne quelle che hanno eseguito, esterne quelle che hanno pianificato. Lo scopo era colpire assieme le istituzioni e la civiltà tunisine. Lo indica il luogo scelto, che riunisce la Camera dei deputati e un museo».

Come sta reagendo secondo lei la Tunisia? «Abbiamo tremila anni di storia, nemmeno un crimine come questo potrà avere effetti negativi seri. Batteremo il terrorismo, la civiltà vince sulla barbarie. E la resistenza tunisina ha radici solide: abbiamo cominciato noi la Primavera araba, abbiamo ottenuto una Costituzione che il 94 per cento dei cittadini approva. I jihadisti sono un elemento assolutamente marginale. E a spingere la gente c’è la certezza di aver imboccato la strada giusta, dopo la Rivoluzione».

Ma come mai un paese di tradizioni laiche ha al suo interno una presenza così robusta di integralisti, tanto che tremila hanno raggiunto la Siria e altri novemila sono stati bloccati prima di arruolarsi nello Stato Islamico? «La presenza massiccia di aspiranti jihadisti è un’eredità del vecchio regime: gli estremisti c’erano ai tempi di Ben Ali, adesso trovano ancora più spazio».

C’è chi accusa i governi di Ennahda per aver lasciato proliferare tendenze estreme. Che ne pensa? «È solo propaganda. Ma di un episodio come questo, un crimine mai visto in Tunisia, nessuno si può approfittare per proprio interesse. Già ai tempi della dittatura nelle carceri c’erano tremila persone accusate di terrorismo. Con la rivoluzione, la società civile ne ha imposto la liberazione, ma ora sono fuori tutti, buoni e cattivi. È stato il governo di Ennahda a vietare il raduno di Ansar al Sharia a Kairouan, nel 2012, e a mettere poi fuori legge l’organizzazione. È vero che Ennahda in un primo periodo aveva contatti con gli imam radicali, ma quando questi hanno cominciato a predicare l’uso delle armi gli abbiamo dichiarato guerra. Infine, non scordiamo che questa gente ha basi e campi di addestramento in Libia: attaccano e poi scappano».

Chi è più colpito politicamente da questi attacchi? «Tutta la Tunisia è colpita da atti come questi. E quando una barca è danneggiata, tutti quelli che sono a bordo rischiano di annegare. Spero che a questo punto tutti i tunisini si prendano per mano per aiutarsi».

Ma com’è che un giovane può fare scelte nichiliste come quella di arruolarsi fra i fanatici? «Si può fare un parallelo con le Brigate Rosse in Italia o la Raf in Germania, per non parlare dei movimenti rivoluzionari in America Latina. Negli anni ‘70 questi gruppi avevano tanti sostenitori. Poi qualcuno ha gettato le armi e abbracciato la democrazia, e magari oggi siede in Parlamento. Succederà anche in Tunisia, alla fine vincerà la democrazia».

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rubrica.lettere@repubblica.it

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