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La Stampa Rassegna Stampa
17.03.2015 Oggi Israele alle urne: questa è la democrazia
Tre servizi di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 17 marzo 2015
Pagina: 13
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Netanyahu rincorre e alza il tiro: 'Con me mai uno Stato palestinese' - Herzog scommette sulla strategia del disgelo - Arabi-israeliani pronti a guidare l'opposizione»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 17/03/2015, a pag. 13, tre servizi di Maurizio Molinari sulle elezioni in Israele.

Eccoli:


Maurizio Molinari e il suo recente libro "Il Califfato del terrore"

"Netanyahu rincorre e alza il tiro: 'Con me mai uno Stato palestinese' "


Benjamin Netanyahu

Nel supermercato «Rami Levy» di Beit Hadfus Street i prezzi sono più bassi per andare incontro alla clientela. Margalit, cassiera 36enne, è abituata a fronteggiare le lamentele di «chi vuole spendere ancora meno». Sono famiglie religiose, impiegati a termine, pensionati. È il volto di una Israele diversa dalla «Start Up Nation» di Tel Aviv. Qui il boom dell’hi-tech si affaccia con un megastore per cellulari con l’aria condizionata che non funziona e il wi-fi è incostante. La piazza che deve il nome alle prime tipografie di Gerusalemme è divenuta lo specchio dell’impoverimento del ceto medio che Avi, venditore di falafel, riassume così: «Molti miei amici fanno le guardie nei megastore, li pagano poco e ogni 11 mesi li licenziano per non dargli i contributi, nessuno ha soldi per potersi sposare».

Il malcontento
È qui l’origine dell’indebolimento politico di Netanyahu perché il ceto medio urbano è un tradizionale bacino di voti del Likud che ora cerca nuovi leader per risollevarsi. A ridosso della centrale Ben Yehuda Street, il piccolo ristorante «Pinati» è un tempio del humus dove gli operai si ritrovano a pranzo. Davanti a pochi tavoli di legno, fra piattini di salse piccanti, gli avventori parlano del premier usando il passato. «Ha fatto molto per Israele ma ora pensa solo a sé e a quella moglie invadente». «Sull’Iran ha ragione Netanyahu ma perché non si occupa anche dell’ospedale dove mia madre è ricoverata da un mese?». «Bibi è diventato incapace di decidere». Per il titolare di «Pinati», elettore Likud, «Bibi deve essere messo in quarantena, a farlo devono essere Moshe Kachlun, Neftali Bennet e Yair Lapid». Sono i leader dei tre partiti che, sondaggi alla mano, raccolgono gli elettori in fuga non tanto dal Likud quanto da Netanyahu. Kachlun, di origine libica, è un ex ministro di Bibi che ha fondato «Kulanu» per andare incontro al ceto medio. «Voterò per lui perché passa il tempo ad ascoltare famiglie e categorie con pochi soldi - dice Yosef, da Pinati - mentre Netanyahu spende i nostri soldi per comprarsi vestiti eleganti e liquori». Come dire, Bibi si è allontanato dal popolo, dalla sua base. A Beit El, insediamento ebraico alle porte di Ramallah, il sindaco Shai Alon sostiene Bennett, leader di «Casa Ebraica», perché rimprovera al premier «di parlare tanto e agire poco» come «quest’estate a Gaza quando ha interrotto una guerra che stavamo vincendo».

La guerra con Hamas
È l’altro fronte dello scontento verso Bibi. Nell’insediamento di Ely, dove ha sede una delle scuole religiose per i futuri soldati, l’approccio è più marcato: «È stato Bennett a spingere l’esercito a entrare a Gaza per smantellare i tunnel di Hamas - dicono alcuni ex militari - Netanyahu esitava, e poi ci ha fatto uscire quando avevamo capito come stanare Hamas». Ad Alon Shvut invece lo scontento ha il volto di Meyer Sterman, appena sposato ma senza una casa dove andare con la moglie, «perché qui a Gush Etzion non si costruisce più da quando Netanyahu ha accettato i diktat di Obama» sulla Cisgiordania. Ed anche loro voteranno Bennett. Che si tratti di ceto medio impoverito o di giovani nazionalisti le ragioni per voltare le spalle a Bibi abbondano. È nel tentativo di frenare questa fuga che il premier sfrutta le ultime ore di campagna puntando su messaggi estremi: «Come me non vi sarà uno Stato palestinese», «costruiremo migliaia di case in Giudea e Samaria», «mai più liberazioni di terroristi». Saranno le urne a svelare se Bibi è riuscito nell’impresa di tappare la falla nella diga del Likud.

La rivale Tzipi Livni
Intanto sul fronte opposto Livni rinuncia alla rotazione con Herzog nella possibile guida del governo, per concentrare tutta l’attenzione sul laburista a cui i sondaggi danno una capacità di attrazione crescente fra gli incerti.

"Herzog scommette sulla strategia del disgelo"


Ytzhak Herzog

Idee «creative e innovative» per sbloccare il negoziato con i palestinesi, scongiurare in ogni maniera l’Iran potenza nucleare, recuperare il rapporto con la Casa Bianca di Barack Obama e riforme interne per andare incontro ai ceti più deboli risollevando il ceto medio: sono alcuni dei tasselli che il leader laburista Isaac Herzog vuole trasformare in programma di governo se guiderà la nuova coalizione. Nelle ultime settimane Herzog è stato protagonista di più incontri informali, con esponenti israeliani e stranieri, che ha sfruttato per presentare le proprie idee portanti. Grazie a quanto ha detto è possibile ricostruire cosa ha in mente. In politica estera la maggiore differenza con Benjamin Netanyahu sta nella volontà di «assumere iniziative per sbloccare il negoziato con i palestinesi». Herzog non spiega cosa ha in mente ma insiste sul termine «creatività» per tentare di sciogliere i nodi esistenti e ben noti: dagli insediamento ebraici in Cisgiordania al diritto al ritorno dei profughi palestinesi del 1948.

Le strategie
A suggerire una strada da percorrere è Yaakov Perry, l’ex capo dello «Shin Beth» ora nel partito «Yesh Atid» di Yair Lapid, favorevole ad un’iniziativa di pace «da cogestire con i paesi sunniti, Egitto, Giordania, Arabia Saudita ed Emirati» tentando di ottimizzare le attuali convergenze contro Iran e Isis. Ciò non toglie che su alcuni temi del negoziato con i palestinesi - come il futuro di Gerusalemme - Herzog non sembra incline a compromessi, ma ciò su cui punta è «cambiare l’atmosfera e la dinamica dei rapporti» con Abu Mazen sicuro di trovare in questa maniera attenzione tanto a Bruxelles quanto a Washington. È una posizione che lo avvicina al presidente Rivlin, un cui consigliere ci dice: «Il maggior errore di Netanyahu è parlare sempre in negativo, bisogna cambiare il lessico diplomatico adottando approcci e termini positivi».

Le politiche per i poveri
Sull’Iran invece le distanze fra Herzog e Netanyahu si riducono: per entrambi il nucleare di Teheran è una «minaccia esistenziale» anche se il laburista si distingue per esprimere maggiore fiducia nel negoziato intrapreso da Obama, a cui il premier invece si oppone a spada tratta. Per il pubblico israeliano in questo momento pesano però più i temi economici e sociali. Per questo Herzog cavalca il «piano per il ceto medio» realizzato da Manuel Trajtenberg - candidato ministro delle Finanze - che prevede misure su edilizia, educazione, sanità, costo della vita, povertà, occupazione, sostegno agli anziani e lotta alle diseguaglianze stanziando per finanziarle il 40 per cento del Pil. «La classe media in questi anni è stata sotto attacco, bisogna ridarle orizzonte e speranza» promette Herzog con un «Programma di riforme sociali» che si propone di andare incontro «alle giovani coppie che non riescono ad acquistare una casa offrendogli appartamenti costruiti dallo Stato» come anche di porre fine alla «vergogna nazionale» degli «anziani che frugano nella spazzatura per trovare il cibo».

"Arabi-israeliani pronti a guidare l'opposizione"


Un arabo israeliano al voto: tutti i cittadini hanno diritto di voto in Israele. Nei Paesi arabi, invece, gli ebrei sono stati cacciati ormai da decenni e l'esistenza di Israele non è riconosciuta

Rischiavano di scomparire ma si avviano a diventare la terza forza politica di Israele: il protagonista più inatteso della campagna elettorale sono i tre partiti arabi, che si presentano per la prima volta in un’unica lista guidata da Ayman Odeh. L’unione è avvenuta controvoglia: l’ex comunista «Hadash», il nazionalista «Balad» e il nuovo «Ra’am-Ta’al» - coalizione di islamici e laici - sono diversi in tutto, guidati da acerrimi avversari e hanno ingoiato il rospo del patto solo perché intimoriti dal rischio della scomparsa. Nel marzo 2014 infatti la Knesset alzò il quorum per entrare in Parlamento - dal 2 al 3,35 per cento - e nessuno di loro da solo era in grado di raggiungerlo. Ecco perché Aida Tuma, Masud Ghanayem, Ayman Odeh, Ahmad Tibi e Jamal Zahalka hanno messo da parte rivalità, politiche e personali, optando per la «Lista comune». Da quel momento i sondaggi gli danno 12-13 seggi ovvero il partito più forte alle spalle di centrosinistra e Likud. Il motivo è il messaggio dell’«unione»: mai i partiti arabi lo avevano fatto proprio ed ora gli arabi-israeliani, ovvero il 20 per cento della popolazione, dimostrano di apprezzarlo. E non è tutto: se Herzog e Netanyahu facessero un governo di unità nazionale Odeh guiderebbe l’opposizione alla Knesset.

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