Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 16/03/2015, a pag. 1-4, tre servizi di Maurizio Molinari sulle elezioni in Israele.
Ytzhak Herzog, Benjamin Netanyahu
"In Israele è sfida all'ultimo voto, Netanyahu costretto a inseguire"
Maurizio Molinari e il suo recente libro "Il Califfato del terrore"
«Niente concessioni né ritiri»: Benjamin Netanyahu prova a scongiurare la sconfitta nelle elezioni di domani con un comizio a Tel Aviv che lo vede rivolgersi all’elettorato del Likud con accenti nazionalisti. L’opposizione a concessioni territoriali ai palestinesi diventa netta, gridata. Il motivo della scelta del premier è che l’indebolimento del Likud nei sondaggi si deve allo scontento dei suoi votanti tradizionali sui temi dell’economia. È il sotto-proletariato urbano che si allontana da lui, lamentando affitti troppo cari e stipendi troppo bassi. Sono elettori che tendono a disertare i seggi, consentendo al centrosinistra «Campo Sionista» di Isaac Herzog e Tzipi Livni di puntare al successo.
Voti da recuperare
Per recuperarli, davanti ad una folla di almeno 30 mila sostenitori, Netanyahu dice di essere l’«unica garanzia» per evitare l’atomica dell’Iran e promette «niente concessioni territoriali» ai palestinesi e «basta liberazioni di terroristi». Ma c’è dell’altro perché, per la prima volta, compie un passo anche sul fronte dell’economia: «Se sarò rieletto nel nuovo governo Moshe Kahlun sarà ministro delle Finanze». Si tratta del leader del nuovo partito «Kulanu», che viene dal Likud. Kahlun è noto per aver firmato la liberalizzazione dei cellulari e, nelle ultime settimane, si è dimostrato abile nel corteggiare i voti a destra. Ad esempio sul fronte dei tassisti - tradizionali elettori del Likud - che ha incontrato in una raffica di riunioni di città e quartiere, promettendo soluzioni al caro-benzina, trovando ascolto e riscuotendo i favori. Netanyahu è convinto che assicurando le Finanze a Kahlun molti voti del Likud torneranno a casa e la vittoria del centrosinistra diventerà più ardua.
Stessa platea
Sul fronte opposto, Herzog si rivolge anch’esso all’elettorato della destra, confermando che è questo il terreno su cui si gioca l’esito delle elezioni per assegnare i 120 seggi della Knesset. Per arginare il ritorno di Netanyahu, Herzog va all’attacco sulla sicurezza, giocando la carta di Gerusalemme: «Nessuno meglio di me riuscirà a garantire la sicurezza della nostra capitale» promette durante una visita al Muro del Pianto per attestare l’indivisibilità della città. La sfida fra «Bibi» e «Bougie» è oramai un duello. Colpisce il silenzio di Livni, n. 2 del centrosinistra. Se dalle urne non uscirà un chiaro vincitore, potrebbe essere lei a trattare.
"Il sogno di Herzog è realizzare la 'speranza' di Ben Gurion"
Ytzhak Herzog
Erede di una famiglia protagonista della formazione d’Israele, educato nella scuola ebraica più esigente di New York, ufficiale nell’unità più segreta di Tzhaal e leader politico quasi per caso, sottovalutato da avversari che riesce a sorprendere: Isaac Herzog può riportare i laburisti a guidare il governo dopo 15 anni perché incarna un’idea di sionismo basato sulla democrazia auspicata da David Ben Gurion, capace di includere tutti, arabi compresi.
Come i Kennedy
Se gli Herzog vengono considerati i «Kennedy d’Israele» è per un albero genealogico che assomiglia a quello dello Stato: il nonno Isaac Halevi fu rabbino capo ashkenazita nella Palestina mandataria e quindi d’Israele, il padre Chaim fu capo dello Stato per dieci anni, governatore di Gerusalemme dopo la riunificazione, ambasciatore all’Onu e capo dell’intelligence militare, per zio ha avuto il ministro degli Esteri Abba Eban, fra i fratelli ha l’ex generale Michael consigliere sul negoziato con i palestinesi di quattro premier e la madre Aura, francofona d’origine egiziana, ha fondato il Concorso biblico nazionale e il Consiglio di «Beautiful Israel» per promuovere il legame delle nuove generazioni tanto con il Vecchio Testamento che con la natura. Aggiungendo il lontano cugino Sidney Hillman, consigliere di Franklin D. Roosevelt, e la moglie Bessie, che affiancò Eleanore Roosevelt, si arriva a comprendere perché gli analisti adoperano l’espressione «sangue blu» per descrivere il mondo da cui proviene Isaac, nato nel 1960. Non a caso quando Shimon Peres ha chiesto agli elettori di votarlo, ha esordito così: «Conosco la sua famiglia da anni».
Alle radici laburiste, Herzog somma esperienze che ne descrivono il carattere. Quando il padre è ambasciatore all’Onu, a New York, studia nella scuola «Ramaz» dell’Upper East Side, una roccaforte «modern orthodox» fra le più esigenti e difficili di Manhattan.
Nei corpi di élite
Al momento di vestire la divisa enra nell’«Unità 8200» - l’intelligence elettronica - di cui allora nessuno conosceva l’esistenza e ne diventa ufficiale. Studia l’arabo e secondo alcuni «lo padroneggia». Avvocato nello studio di Tel Aviv che fu del padre, entra in politica con i laburisti nel 1999, quando il premier Ehud Barak, ultimo premier laburista, lo vuole come consigliere. Diventerà deputato e poi ministro ma sempre accompagnato da scarsa considerazione, degli alleati come degli avversari, per un’espressione mite ed una voce che lo fanno sembrare una «bambolina» ovvero proprio ciò che suggerisce il soprannome «Bougie», inventato dalla mamma quando era piccolo sommando il termine francese per bambola - «poupee» - con quello ebraico «buba». Ma lui è tutt’altro che docile. Nel 2013 sfida nella corsa alla leadership del partito Shelly Yachimovich, eroina delle proteste contro il carovita. Nessuno crede che possa farcela ma lui alle primarie prevale 58 a 41 per cento, diventa il volto del Labour e comincia a rigenerarlo. Dice di «voler andare al governo» ma nessuno gli crede. C’è chi chiede a Yachimovich di tornare ma «Bougie» tiene duro perché ha in mente un «sogno». «I miei modelli sono Obama e de Blasio - afferma - voglio realizzare i sogni di Israele» ovvero, «più solidarietà e speranza». La «solidarietà» è per chi soffre puntando a ridurre le differenze sociali ricchi-poveri ereditate da Netayahu. La «speranza» ha invece a che vedere con i palestinesi di Abu Mazen, a cui manda a dire «a Ramallah c’è un interlocutore nella pace», suggerendo «creatività per superare lo stallo». Ma ciò a cui più tiene è la «coesione interna» - da cui il termine «Campo sionista» per il patto elettorale con Tzipi Livni - per tornare alle origini di un sionismo inteso come «società democratica» ovvero «inclusiva di tutti». Anche degli arabi. Da qui l’ipotesi, ventilata da Herzog, di nominare un «ministro arabo nel mio governo». Per far capire che il progetto di Ben Gurion può riprendere la sua strada.
"Se le donne ortodosse sfidano i maschi"
Donne religiose a Gerusalemme
Ruth, Noa e Keren: la rivoluzione politica è donna nel mondo degli ultraortodossi. Gli «Haredim» compongono circa il 18% della popolazione israeliana e votano in gran parte per i partiti religiosi. Ma sono forze di matrice ashkenazita o sefardita - originarie dell’Europa dell’Est o del mondo arabo - composte solo da uomini. «Tutti uomini sono i leader e solo uomini sono gli eletti e i candidati» afferma Ruth Colian, 33 anni, che dopo essere stata respinta un’ultima volta nella richiesta di correre per il Parlamento ha scelto la sfida frontale fondando «B’Zhutan» (Per diritto delle donne) ovvero «le donne ultraortodosse vogliono il cambiamento». È un partito che chiede alle donne «haredi» di non votare più per i partiti religiosi «maschilisti» e si propone di avere un impatto che va ben oltre la Knesset, puntando a diventare un movimento per «rafforzare i diritti delle donne fra gli ortodossi» come dicono Noa e Keren portando sul terreno della politica l’emancipazione femminile nel mondo ebraico che Barba Streisand interpretò in «Yentl».
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