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La Stampa Rassegna Stampa
15.03.2015 Testimonianze dall'inferno siriano
Raccolte da Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 15 marzo 2015
Pagina: 14
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Siria, la delusione di Ahmed 'schiacciati tra Assad e l'Isis'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 15/03/2015, a pag.14, con il titolo "Siria, la delusione di Ahmed 'schiacciati tra Assad e l'Isis' ", l'articolo di Francesca Paci. Testimonianze dall'inferno siriano. Interessante il giudizio che tutti i dissidenti danno dell'Iran.
Quale morale trarre dalla lettura di queste testimonianze ? La solita. se non c'è da attaccare Israele, l'interesse degli odiatori anti-semiti e supposti difensori dei "poveri palestinesi", se ne fregano di quanto accade in Siria e negli altri paesi musulmani. Forse Paci poteva riocrdarlo agli speranzosi siriani che ha incontrato.

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Francesca Paci

Il 15 marzo 2011 stavo preparando un esame, ero laureato in letteratura inglese e frequentavo il master in linguistica a Homs. Non andai in piazza contro il regime perché lo credevo inutile, eravamo abituati a obbedire e convinti che nulla sarebbe cambiato. Invece quel giorno alcuni coraggiosi manifestarono a Damasco, sembrava incredibile che avvenisse in Siria... così il venerdì, tre giorni dopo, partecipai al mio primo corteo, eravamo terrorizzati. Aprii una pagina Facebook: la Siria non cambiò, la mia routine sì». Ahmed aveva 24 anni allora e viveva come oggi a Talbisah, nord di Homs. Pare un secolo fa, dice Ahmed, stessa voce solo meno argentina: «Tutti pensano che la speranza abbia distrutto la Siria. Prima speravamo che Assad avesse pietà. Poi abbiamo sperato che il mondo ci aiutasse. Quando quelli di Nusra hanno preso a colpire gli uffici governativi abbiamo sperato che ci vendicassero e invece ecco lo Stato Islamico. Chi avrebbe detto che la speranza fosse così pericolosa. Oggi speriamo senza convinzione che il mondo non riabiliti Assad ma io mi sveglio per mia figlia». Eppure, ride, è vivo: «Pur assediata da Nusra e dallo Stato Islamico Talbisah è in mano al Libero Esercito Siriano e io vivo dando lezioni private. Un kg di pane costa 50 centesimi, 10 volte più del 2011, ma 8 mesi fa ho avuto una bimba, le insegnerò a perdonare anziché vendicarsi. Io però rifarei tutto, non abbiamo più paura, neppure dell’Iran».
«Sognavamo Tahrir»
Taha era un geografo 24enne della provincia di Hama che, figlio di un dissidente, aveva già conosciuto il carcere: «Ero stato arrestato a 14 anni, ero un attivista. Avevo contatti con i ragazzi egiziani e tunisini perché partecipavo a campi di nazionalisti arabi in Egitto e Algeria: quando scoppiarono le rivolte a Tunisi e al Cairo sentimmo che toccava a noi e il 15 marzo andai a Damasco per manifestare». Il 30 marzo 2011, primo discorso del presidente siriano alla nazione in subbuglio, Taha guardava la tv: «Speravo in un’apertura e Assad mi fulminò, era una dichiarazione di guerra. Ho deciso di partire per Parigi un anno fa, quando i terroristi dello Stato Islamico hanno preso Aleppo, penso che li abbia creati l’Iran nel silenzio del mondo. Non volevo un intervento occidentale ma volevo armi per i nostri soldati: oggi vorrei solo che accoglieste i profughi. Quanto a me studierò scienze politiche in Francia e poi tornerò in Siria».
«Oggi aiuto i profughi»
Rifaia ha 26 anni e prova a rimettere insieme i cocci del suo paese aiutando i profughi: «Sono di Qusair, ero ricercatore all’università di Homs. Non andai in piazza subito, vedevo il massacro di civili a Daraa dove in una settimana erano state uccise 250 persone... Venerdì 25 però ci facemmo coraggio e uscimmo, eravamo poche decine, terrorizzati. Con il passare dei giorni la paura è finita ma poi è finita anche la speranza». Un anno fa ha lasciato il paese: «Per il momento posso essere più utile qui a Gaziantep, in Turchia. Rifarei tutto ma meno ingenuamente. Non eravamo preparati».
A Daraa, al confine con la Giordania, nella città in cui è iniziata la rivolta siriana il 32enne Ziad che gestiva un ristorante sulla via principale non risponde più al telefono. Allora offriva tè e chiedeva visibilità: «Ditelo fuori cosa succede qui, il mondo deve vederci».

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