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La Stampa Rassegna Stampa
15.03.2015 Libano sotto attacco da parte dello Stato Islamico
Reportage di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 15 marzo 2015
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Nei villaggi del Libano dove si aspetta l'Isis»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 15/03/2015, a pag.1/2/3, il reportage dal Libano di Maurizio Molinari dal titolo " Nei villaggi del Libano dove si aspetta l'Isis"
Ne dedichiamo la lettura a quanti continuano a ritenere che la polveriera mediorientale sia tale a causa del conflitto israelo-palestinese. Soltanto le menti intossicate dal virus dell'odio verso Israele possono non avere ancora capito quanto ormai risulta chiaro a ogni persona per bene: violenze, guerre civili, massacri, sono purtroppo il segno distintivo degli stati islamici e di tutti quei movimenti che si richiamano all'islam nel nome di una 'rivoluzione' che dovrebbe concludersi con il dominio del Califfato.


Maurizio Molinari

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Una striscia di terra di 140 km sulla cima delle montagne libanesi che a Nord della Valle della Bekaa segnano il confine con la Siria: è qui che lo Stato Islamico (Isis) si è insediato, appropriandosi di un angolo remoto del Paese dei Cedri dove accumula miliziani, risorse e ostaggi in vista della battaglia di primavera con le truppe del governo sostenute dagli Hezbollah. È un’area strategica perché consente ai jihadisti di Isis e Jabat al-Nusra, alleati fra loro, di minacciare sette piccoli centri urbani a valle: Masna, Britel, Yunin, Nahle, Arsal, Ras Baalbeck e Al Qaa. Fra i pochi che conoscono a menadito gli imprecisi confini dell’enclave del Califfato in Libano c’è Talal Iskandar, capo dell’unità della Croce Rossa Internazionale che opera a Ras Baalbeck soccorrendo i feriti in battaglia fra Isis e libanesi. «Abbiamo iniziato ad operare qui alla fine del 2012, la fase più cruenta è scattata nell’autunno scorso, abbiamo ricevuto finora circa 3000 combattenti feriti delle opposte parti - spiega Iskandar - e il ritmo continua a 60-70 la settimana, non passa giorno senza scontri lungo il fronte fra truppe e Isis». Il fronte Per arrivare all’area di combattimento bisogna lasciarsi alle spalle il piccolo appartamento della Cri a Ras Baalbeck, fare 800 metri, arrivare ad una stazione di benzina e girare a sinistra. Dopo 8 km si arriva alle due «zone sicure» dove la Cri raccoglie i feriti, libanesi e dell’Isis, e quindi al centro della cittadina sunnita che formalmente è ancora in mano ai governativi, pur esprimendo sostegno per l’Isis con scritte e bandiere. È quando si lascia il centro di Arsal in direzione delle montagne che si supera la frontiera invisibile con il Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi. «Sul lato di Isis vi sono piccoli villaggi isolati, accampamenti di profughi, un tribunale che amministra la giustizia sulla base della Sharia (la legge islamica, ndr) ed altri uffici dell’Isis» racconta Iskandar, citando le testimonianze raccolte da feriti e malati che ogni giorno gli chiedono di andarli a soccorrere nella zona militare chiusa dai soldati. Isis ha più volte fatto sapere di voler dichiarare la nascita di un «Emirato» nell’Arsal per sfidare Beirut. L’opinione dei comandi Hezbollah di Baalbeck è che «i terroristi mischiano le carte per prepararsi alla battaglia del disgelo». Ovvero, quando la neve che copre picchi e pendici si sarà dissolta arriverà il momento della resa dei conti. Isis si prepara facendo salire, dal lato siriano, grappoli di miliziani, accumulando scorte di viveri e munizioni per sostenere lo scontro, mentre gli Hezbollah, che considerano la Valle della Bekaa la loro culla, si preparano sul fronte opposto ad una «operazione pulizia» - come la chiama un ufficiale di 45 anni che chiede l’anonimato - per «annientare il nemico». Fra le carte che i jihadisti hanno ci sono i quasi 30 soldati libanesi ostaggio da agosto, quattro dei quali sono stati già decapitati. La promessa Uno di loro era Mohammed Hamie, 25 anni, figlio di Maruf, 47enne veterano sciita della guerra civile, che dalla sua casa di Baalbeck si auspica «una sanguinosa vendetta contro Isis». «Gli assassini di mio figlio sono dei barbari e il Libano deve reagire come ha fatto la Giordania dopo il pilota arso vivo - aggiunge il padre, seduto accanto agli altri tre figli e a un kalashnikov - colpendo Isis con potenza, impiccando i terroristi che abbiamo in carcere e usando i jet per distruggerli ad Arsal». Maruf è pronto a fare la sua parte: «So chi ha ucciso mio figlio, è stato l’Emiro di Isis nell’Arsal - assicura - si tratta di Mustafa Hujairi, detto Abu Taqie, ed è un morto che cammina, è lui ad aver ordinato la decapitazione e sarà lui che ucciderò, dopo avergli però ucciso il figlio per fargli provare, da vivo, ciò che ho provato io». È un desiderio di vendicarsi, combattere, che a pochi chilometri di distanza si ritrova a Britel dove Adel Islaim, 28 anni, meno di due mesi fa ha imbracciato il kalashnikov per difendere il villaggio dall’attacco di Isis. «Erano circa le 13, ho ricevuto un messaggio su Whatsapp sull’arrivo di Isis, ho preso il fucile e sono sceso in strada - ricorda - eravamo quattromila, tutti gli uomini del villaggio e gli siamo andati incontro». I miliziani del Califfato dalle vette colpivano con i mortai, sono scesi a valle e hanno ucciso otto Hezbollah prima di essere ricacciati indietro. Fra gli Hezbollah accorsi a dar manforte ai residenti c’era Mohammed al-Masri, 27 anni, di professione poliziotto. Sale sul tetto di una casa per mostrarci da dove è arrivato l’attacco: «Ci siamo difesi con kalashnikov, G3 e lanciarazzi Rpg ma sappiamo che tenteranno di tornare». La difesa Nel Nord della Bekaa è Hezbollah che coordina la difesa del fronte sulle montagne, davanti alle bandiere nere del Califfo, mentre a valle l’unica strada maestra che porta a Beirut è sorvegliata da soldati, polizia e intelligence libanesi. I posti di blocco sono decine. Nel villaggio cristiano di Ksara gli abitanti si sentono assediati: «Sono gli Hezbollah a proteggerci perché Isis vuole ucciderci tutti» dice Munir Dika, medico. Gli attentati I militari cercano ovunque giovani, auto affittate o siriani barbuti. Danno la caccia alle autobombe che Isis, già in sei occasioni, è riuscito a far scendere da Arsal e arrivare nella capitale, facendole esplodere a Dahieh, il quartiere-roccaforte degli sciiti. Basta entrarvi, da uno dei due accessi rimasti aperti, per accorgersi che Hezbollah lo ha trasformato in un bunker dove vivono almeno 500 mila anime. Il perimetro esterno è segnato da cavalli di frisia di metallo pesante, gli accessi chiusi sono bloccati da massi di cemento e dentro Dahieh le strade commerciali hanno alle estremità delle grandi sbarre di ferro che possono essere chiuse in ogni momento per bloccare la corsa di un’auto-bomba. L’ospedale «Al Rasul Al Azzam», dove Hezbollah ricovera i combattenti feriti in Libano, è circondato da torrette e filo spinato. Gli infiltrati Pattuglie notturne sciite sorvegliano il perimetro esterno dei vicini campi palestinesi di Sabra e Chatila per evitare che fuoriescano sunniti jihadisti. C’è il sospetto che gruppi islamici abbiano nei campi delle cellule alleate di Isis. I miliziani sciiti in pantofole e kalashnikov davanti alla casa dello sceicco Hassan Nasrallah, al centro-reclute, al punto di partenza dei pullman per il fronte in Siria e alle sedi di Hezbollah completano un quadro da assedio permanente, adornato su pareti, lampioni e finestre dai poster delle foto dei caduti «eroi», dai «martiri» morti in Siria fino a Imad e Jihad Mughniyeh, padre e figlio protagonisti della guerra senza quartiere contro Israele, eliminati entrambi dallo Stato Ebraico, e raffigurati assieme, mentre camminano verso il paradiso. «Ma il conflitto contro Isis è diverso da quelli che finora abbiamo combattuto» osserva Hamza Akl Hamieh, l’ex collaboratore dell’ayatollah iraniano Khomeini nell’esilio di Parigi divenuto capo militare di Amal in Libano e meglio noto in Europa per aver messo a segno una raffica di dirottamenti aerei dal 1979 al 1982. «Dobbiamo difendere il Libano da una tribù di assassini che si richiama ai sanguinari califfi Abbasidi, sarà dura ma perderanno». Sul molo costellato di yacht del porto Zaitunay Bay, in un elegante ristorante davanti a cernia al sale e triglie fritte, è uno degli imprenditori diventati ricchi grazie a Hezbollah a leggere nel duello con Isis «un momento di svolta per il Medio Oriente» perché «sono i nostri miliziani sciiti, libanesi, iracheni, afghani a dominare sui campi di battaglia, da Aleppo a Mosul, e ciò significa che la storia corre verso l’Iran a scapito del blocco di Paesi sunniti, a cominciare dall’Arabia Saudita, che finanzia il Califfo sperando di fermarci, e dalla Turchia che vuole ricostruire l’Impero Ottomano». Da qui i preparativi in corso per riconquistare il lembo di territorio nelle mani di Isis sui monti della Bekaa: il tam tam di Dahieh suggerisce che sarebbero centinaia i soldati Hezbollah già addestrati per lanciare l’assalto, tanto dal lato libanese che siriano del confine, e l’ordine che hanno avuto è di «non prendere prigionieri». Fra i veterani della battaglia di Qusayr c’è chi si aspetta scontri aspri: «Quelli di Isis sono avversari disumani, vanno incontro alle pallottole senza mostrare alcun timore».

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