venerdi 22 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
10.03.2015 Sergio Romano sbanda sulla Crisi di Suez
Gli consigliamo di cambiare mestiere

Testata: Corriere della Sera
Data: 10 marzo 2015
Pagina: 49
Autore: Sergio Romano
Titolo: «L'intreccio fra due crisi: Budapest e Suez nel 1956»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/03/2015, a pag. 49, la risposta di Sergio Romano alla lettera di Mattia Testa.

Nella ricostruzione dei fatti dell'estate-autunno 1956, Sergio Romano commette alcuni errori evidenti. Innanzitutto, parla della guerra tra Israele ed Egitto come di una deliberata azione offensiva israeliana, accennando senza approfondire a "incidenti di frontiera delle settimane precedenti", quando invece avrebbe dovuto parlare di continue e mortali infiltrazioni terroristiche dall'Egitto in Israele. Un Egitto, lo ricordiamo noi perché Romano non lo fa, che formalmente era ancora in stato di guerra contro Israele dal 1948, e di fatto proseguiva una guerra "a bassa intensità".
Inoltre secondo Romano l'avvicinamento strategico tra Israele e Stati Uniti (ricordiamo la profonda ostilità dell'amministrazione Eisenhower verso lo Stato ebraico tra 1953 e 1960, una avversione condivisa in blocco dal partito repubblicano) sarebbe avvenuto immediatamente dopo il 1956, quando invece si tratta di un processo che si è sviluppato dopo la Guerra dei Sei Giorni (giugno 1967).
Siamo sicuri che Sergio Romano sia uno storico? A leggere il pezzo di oggi non si direbbe...

Ecco la lettera e la risposta di Romano:


Sergio Romano


Carri armati egiziani fuori uso durante la Crisi di Suez (1956)

Nella crisi di Suez, quale ruolo ha svolto l’Unione Sovietica, proprio in quei giorni interessata sul fronte interno a reprimere la rivolta ungherese? La minaccia di un suo intervento a fianco degli Usa contro inglesi, francesi e israeliani aveva un fondamento reale, o era strumentale per apparire, senza aver fatto nulla, come protettrice della causa araba?

Mattia Testa
dom.testa12@libero.it

Caro Testa,
Il miglior modo per comprendere l’intreccio fra le due crisi — Budapest e Suez — è quello di tenere di fronte agli occhi un calendario del 1956. In ambedue le vicende vi è un importante antefatto. In Polonia, fra la primavera e l’estate, gli esponenti riformatori del partito, incoraggiati dal discorso anti-staliniano di Krusciov al XX congresso del Pcus, riuscirono a prevalere sulla vecchia guardia e a rinnovare l’ufficio politico del Comitato centrale fra il 19 e il 23 ottobre. Suscitarono preoccupazioni a Mosca, ma riuscirono a convincere la casa madre che non avrebbero messo in discussione i loro rapporti con l’Unione Sovietica e, in particolare, il Patto di Varsavia.

In Egitto, nel frattempo, il presidente egiziano Gamal Abd el-Nasser, irritato dal rifiuto americano di contribuire al finanziamento della diga di Assuan, aveva annunciato la nazionalizzazione della Società anglo-francese del Canale di Suez. Era il 26 luglio. Gli inglesi e i francesi presero subito in considerazione la possibilità di un intervento militare, ma l’occasione venne alla fine di ottobre quando, nella notte fra il 29 e il 30, gli israeliani, dopo i numerosi incidenti di frontiera delle settimane precedenti, invasero il Sinai. Sappiamo ora che quella iniziativa era stata minuziosamente concordata con Francia e Inghilterra. Gli israeliani avrebbero attaccato l’Egitto. Londra e Parigi avrebbero inviato un ultimatum a entrambi i combattenti per chiedere la immediata sospensione delle ostilità. Israele avrebbe accettato l’ultimatum, ma l’Egitto lo avrebbe verosimilmente respinto. Gran Bretagna e Francia avrebbero avuto la scusa per intervenire e Israele avrebbe continuato la guerra al loro fianco. L’ultimatum porta la data del 30 ottobre.

Torniamo a Budapest, dove le manifestazioni popolari delle settimane precedenti, provocate dalle vicende polacche, erano divenute insurrezione e avevano raggiunto i loro primi obiettivi nella notte fra e il 23 e il 24 ottobre. Vi fu un primo, breve intervento delle truppe sovietiche, ma non impedì al governo Nagy di annunciare al Paese, il 31 ottobre, che l’Ungheria sarebbe uscita dal Patto di Varsavia (l’alleanza militare del blocco sovietico) e avrebbe proclamato la sua neutralità. Erano decisioni che i sovietici non erano disposti ad accettare. All’alba del 4 novembre, i carri armati dell’esercito sovietico tornarono a Budapest e conquistarono la città a colpi di cannone.

Due giorni prima, a New York, l’Assemblea generale aveva approvato una risoluzione americana che chiedeva la cessazione delle ostilità nel Sinai e intorno al Canale di Suez. Il terzetto continuò a combattere, ma i sovietici, ormai nuovamente padroni di Budapest, lanciarono a loro volta un ultimatum, il 5 novembre, con cui chiedevano a Francia, Gran Bretagna e Israele l’interruzione delle ostilità, e minacciavano l’uso di missili di nuova fabbricazione.

In una fase immediatamente precedente il capo del governo sovietico Nikolaj Bulganin aveva proposto al presidente americano la creazione di una forza congiunta. Ma le campane a morto per l’operazione militare anglo-francese suonarono il 7 novembre quando il presidente Eisenhower disse al premier britannico Anthony Eden che era ora di smetterla. Ecco un breve bilancio, caro Testa. In due frenetiche settimane, dal 23 ottobre al 7 novembre, l’Unione Sovietica riconquistò il controllo dell’Ungheria e divenne una potenza medio-orientale; la Gran Bretagna e la Francia perdettero il Canale di Suez e buona parte della loro influenza nell’Africa del nord e nel Levante; gli Stati Uniti sostituirono la Gran Bretagna in Medio Oriente; Israele dimostrò di essere una potenza militare ed è stata da allora, per molti anni, il maggiore partner degli Stati Uniti nella regione.

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, telefonare 02/62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT