Le giovani reclute dello Stato Islamico: non chiamateli idealisti
Commento di Dario Sanchez
"La crisi dell'adolescenza, ieri e oggi"
Leggendo i quotidiani online europei mi sono reso conto che sono davvero molti i lettori ad essere sorpresi dalla giovanissima età dei musulmani nati e cresciuti in Europa che decidono di partire alla volta della Siria per unirsi volontariamente alle milizie dello Stato Islamico: nel particolare, molta attenzione è stata data dai media al caso di tre ragazze minorenni - due quindicenni e una sedicenne - che a un prestigioso liceo privato e a una vita agiata a Londra hanno preferito la jihad islamica e la fuga verso l’inferno siriano.
Non sembra far notizia l’orrore delle azioni che questi ragazzi e questa ragazze hanno scelto volontariamente di compiere nel nome di una ideologia malata ai danni di una popolazione civile già stremata da anni di guerra, ma unicamente la giovane età. Quasi come se fosse una scusante. Quasi come se non avessero scelto volontariamente di diventare complici di una spietata banda di fanatici e assassini. L’opinione pubblica occidentale si crogiola nella menzogna e nell’illusione che questi ragazzi siano anch’essi delle vittime dell'IS, cuori puri e “idealisti” che si sono lasciati corrompere, incantare e manipolare dai seducenti sermoni del Califfo. E finisce, l’Occidente, per fare l’unica cosa che non dovrebbe fare: li rimprovera, appunto, di idealismo. Come se credere in qualcosa che vada al di là del proprio naso e lottare affinché si realizzi sia di per se qualcosa di sbagliato. Come se ipotizzare una diversa organizzazione della società da quella che in Europa in molti spacciano come perfetta ed insostituibile sia di per sé eresia.
Sono molti i ragazzi europei ebrei che decidono di mettere radici in Israele, paese di idealisti per eccellenza, dove la parola “impossibile” è bandita per principio e tutto sembra possibile: dalla rivoluzione dell’hi-tech alla fioritura del deserto. Molti di questi lo fanno consapevoli che il servizio militare nel momento in cui avranno la cittadinanza non sarà un'opzione, ma un dovere necessario per difendere i diritti le libertà che la democrazia israeliana garantisce a tutti i suoi cittadini, senza discriminazioni.
Essere idealisti quando si è giovani dunque non è solo qualcosa di normale, ma anche di altamente augurabile. Ciò che distingue i giovani neo-israeliani dai ragazzi e dalle ragazze che hanno scelto il sentiero della jihad non è il grado di idealismo, ma quello in cui credono e per cui combattono. Non rimproverate dunque i ragazzi islamofascisti perché sono idealisti: combatteteli piuttosto per via degli ideali che servono. E non stupitevi più che già a 15 anni abbiano le idee chiare in testa su che genere di società vogliono costruire e su quello che sono disposti a fare per edificarla.
Ciò su cui bisognerebbe riflettere, e che testimonia a mio avviso la profonda crisi morale ed identitaria che attraversa tutto l’Occidente, è capire come sia possibile che - mentre già in migliaia sono morti e in migliaia continuano ad essere disposti a imbracciare fucile e machete e a macchiarsi di crimini orrendi pur di veder realizzato un regime teocratico e reazionario - nessuno sembra sia più disposto a combattere per la difesa degli ideali illuministi e per le libertà democratiche. Ciò che fa paura, più che la volontà dei giovani jihadisti nati in Europa di voler a modo loro - con il terrorismo e con l’imposizione della legge coranica - incidere sulla Storia, è l'impressione che la maggioranza dei miei coetanei europei opponga loro l’incosistenza del niente.
Il jihadismo trionfa e fa proseliti in Europa perché sono troppo pochi quelli che lo contrastano sul suo terreno. Non ha senso parlare di resa delle armi, dato che non vi è mai stata guerra, ma solo rassegnazione. Anche perché, nel migliore dei casi, la cronaca e i fatti ci insegnano che chi si oppone alla resa incondizionata di fronte all'invadente violenza islamofascista il più delle volte è considerato "malato di idealismo", spesso è accusato di islamofobia e talvolta muore di islamofascismo. E’ anche per questo che in questi giorni, qui in Israele, ogni qual volta che guardiamo all’Europa ci sentiamo sempre più soli.
Dario Sanchez