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La Stampa Rassegna Stampa
04.03.2015 Iran: non un'isola felice, ma un sanguinario regime teocratico
Ma per Antonella Rampino è una 'società sempre più laica'

Testata: La Stampa
Data: 04 marzo 2015
Pagina: 15
Autore: Antonella Rampino
Titolo: «Ma le sanzioni e l'isolamento non fermano lo slancio di Teheran»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 04/03/2015, a pag. 15, con il titolo "Ma le sanzioni e l'isolamento non fermano lo slancio di Teheran", l'analisi di Antonella Rampino.

L'articolo di Antonella Rampino dipinge un quadro che non corrisponde alla realtà. L'Iran, infatti, non è certo una società "sempre più laica". Se inoltre l'economia iraniana è in espansione, questo è un motivo in più per mantenere le sanzioni e imporne di nuove fino a quando il regime degli ayatollah non rinunci alla bomba nucleare. L'atomica in mano iraniana, infatti, sarebbe uno strumento che il regime teocratico di Teheran potrebbe usare per perseguire i propri scopi di egemonia nel mondo islamico, ulteriore appoggio al terrorismo e ostilità manifesta verso Israele.
La caduta delle sanzioni e di conseguenza la ripresa dei commerci con l'Iran è quanto sta dietro alla profusione di articoli  che escono con frequenza sui nostri giornali. Pecunia non olet, abbiamo scritto, anche se gronda sangue, dittatura o democrazia poco importa.

Ecco l'articolo:


Antonella Rampino


I dissidenti iraniani all'estero chiedono i diritti umani per l'Iran, ma il loro appello è inascoltato

Dalle strade di Teheran sono scomparse le gigantografie dell’ayatollah Khomeini, che occhieggiava come un seducente Sean Connery islamico a sostegno della Guida Suprema o del presidente di turno: tutto ridotto in formato foto di famiglia, anche lo stesso Khamenei, anche negli uffici pubblici.
È presto per concludere che il potere abbia deciso di assecondare la crescente richiesta di laicizzazione dello Stato che, almeno a Teheran, viene dalla società civile, ma la cosa resta sorprendente. Ed è un segnale, Teheran ribolle di aspettative. Una megalopoli da 15 milioni di abitanti, riluttante al conservatorismo, e ovunque si vada, dalle sfilate di moda ai congressi internazionali di laparoscopia, dalle sciate sullo Shamshak alle amichevoli di football con la squadra di Dubai, il mood è lo stesso che nel palazzo del potere supremo, a Esfandiari: quando tolgono le sanzioni? Dopo quasi vent’anni, l’embargo è l’hijab della nazione, quello che le donne, appena possono - basta sbirciare una festa di matrimonio in un grande albergo - si appuntano come poco più che un ferma-coda.

A un passo dalla svolta
In realtà a Montreux, al negoziato sul nucleare iraniano, si gioca una partita determinante per il futuro non solo di Teheran. I tecnocrati moderati che guidano l’Iran, per la prima volta con l’assenso dei falchi conservatori, mirano a liberare il Paese dall’isolamento politico e dal blocco allo sviluppo economico.

L’amministrazione di Obama, il «commander in chief» riluttante, potrebbe chiudere il suo secondo e definitivo mandato con un risultato storico, capace di ridefinire tutto il profilo geopolitico del Medio Oriente, rimettendo in campo la potenza sciita nel momento in cui è in atto una sfida mortale all’interno del mondo sunnita e wahabita, di cui Al Qaeda e il Califfato sono il risultato estremo. Ma la sfida è di portata storica anzitutto per gli iraniani, alleati oggi dell’Occidente nella lotta contro l’Isis, al fianco degli ex storici nemici di Baghdad, e capaci anche di offrire una limitazione del ruolo di Hezbollah in Siria e Libano. Il Paese, basta fare un giro tra i bazar, non reggerebbe a un mancato accordo, alla rinuncia al futuro: quella iraniana è una popolazione giovane, il 60 per cento non ha nemmeno trent’anni, molto meno religiosa di quel che comunemente in Occidente si crede, e con ragazze e donne che assumono un ruolo sempre più cruciale nella società. Un fatto inevitabile, iscritto nella forza delle cose, come preconizzò 15 anni fa Khatami all’allora presidente del Consiglio Giuliano Amato, perché quasi il 70% dei laureati, in particolare in economia e ingegneria, è di sesso femminile.

L’Iran resta un Paese di grandi contraddizioni, si può finire in prigione se si va ad assistere a una partita di pallavolo, ma si può tranquillamente suonare cool jazz con l’hijab che scivola su una spalla nel primo concerto di un americano, Bob Belden, dalla rivoluzione del 1979, come ha documentato l’altro giorno l’inviato del «Sole 24 Ore» Alberto Negri.

Volano gli investimenti
Ma di cosa parliamo, quando parliamo di sanzioni? Se quelle contro l’Iraq riuscirono ad atrofizzare definitivamente un’economia asfittica, uccidendo il ceto medio e rimpinguando di traffici il regime di Saddam, nel caso di un grande Paese come l’Iran hanno portata ben diversa. Teheran ha già ottenuto di poter sbloccare i propri mezzi finanziari per 4,3 miliardi annui, ma per tenere in vita la propria economia ha smosso le Fondazioni, le vere leve di quella che è e resta un’economia di Stato. E per produrre crescita - nel 2014 è stata al 4%, come Rohani ha potuto comunicare alla nazione lo scorso 10 febbraio - ha usato il volano degli investimenti pubblici e dell’edilizia. È appena stato fastosamente inaugurato l’avveniristico ponte Tabiat, un «ponte della natura» su tre livelli riservato a soli pedoni che possono passeggiare su due dei grandi sette parchi della città, l’Atash e il Taleghani. E il Maijlis, il parlamento iraniano, domenica scorsa ha varato un piano proposto da Rohani che finanzia, anche attraverso l’emissione di bond, il completamento di circa 2900 opere edilizie e di servizi (trasporti, energia, edifici pubblici) da 5 miliardi e mezzo di dollari.

A secco sono invece rimasti i Paesi sanzionatori: uno studio della Sace stima che l’Italia, secondo partner dell’Iran dopo la Germania, dal 2006 ad oggi ha perso una quarantina di miliardi di euro in export, circa la metà solo nell’ultimo biennio. Analoghe proiezioni stimano per gli Stati Uniti, dal 1996 a oggi, i mancati affari in un range tra i 135 e i 175 miliardi di dollari. Dal punto di vista squisitamente economico, chi sanzioniamo, quale modernità blocchiamo, quando comminiamo un embargo ai nemici di ieri che nella ruota della Storia sono gli inevitabili candidati a diventare gli amici di domani?

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