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La Stampa Rassegna Stampa
02.03.2015 Il Mediterraneo torna al centro della storia tra terrorismo islamico, guerre e ondate di profughi
Analisi di Domenico Quirico

Testata: La Stampa
Data: 02 marzo 2015
Pagina: 1
Autore: Domenico Quirico
Titolo: «Così il Mediterraneo torna al centro della Storia»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 02/03/2015, a pag. 1-9, con il titolo "Così il Mediterraneo torna al centro della Storia", l'analisi di Domenico Quirico.


Domenico Quirico

Dopo lunghe ma fragili peregrinazioni la Storia torna, con dramma e dolore, laddove è nata, al Mediterraneo: la grande cerniera di cui l’avventura umana ha fatto il suo ambito prediletto, Nord contro Sud, Est contro Ovest, Oriente contro Occidente, l’Islam all’assalto della cristianità.

Se tutte le battaglie del passato e del presente si riunissero, insieme e contemporaneamente, un’immensa trincea si dipanerebbe da Corfù ad Azio, da Djerba a Lepanto, da Malta ad Antiochia. Qui i popoli sono passati, di continuo, tra gli stessi regimi come l’uomo attraverso le stesse passioni.

Si torna, nell’inizio incandescente del terzo millennio, alla epica geografia di Braudel, alle sue civiltà e ai suoi imperi. Tutte le sinuosità si ordinano, formano correnti di cui la più vasta si delinea, il Mediterraneo e le sue terre. Una sorta di segno fatale: l’attualità non ha molto senso in questo mare dove tutto ha carattere di eternità. Dove tornare alle Crociate, vecchio nome per lo scontro di civiltà che si evoca e si respinge, costituisce in fondo un’antichità assai modesta. Dalle Crociate a oggi, in quel nostro Oriente di nuovo così immediato e brutalmente vicino, vi è la conquista turca e un breve colonialismo cosiddetto insaziabile; ovvero il tempo di un istante per terre che hanno visto mille conquistatori. Il tempo lento e lungo dell’Islam, appunto.


La bandiera dello Stato Islamico


La nascita del Califfato
Non conosco niente di più commovente della Siria anzi di Sham, dove per una mistica musulmana tornerà, un giorno, il Madhi, l’annunciatore del Giudizio. Lì ho visto rinascere il Califfato: la Storia parla come alle piramidi. Antiche fortezze bizantine ridotte a mura nere di fuliggine, gli angoli consunti dal vento e colonne romane spezzate stanno accanto a minareti bianchi. E la piana di Ninive, in quello che fu e non sarà mai più l’Iraq inventato dagli inglesi: sono ora i bordi del Califfato dove i piedi di San Tommaso si coprirono di polvere e da cui i cristiani fuggono per il Mondo. Il Tigri verso la grande diga che i curdi hanno riconquistato ha, incredibilmente, solo uno sciabordio di fiumiciattolo tra una immobilità verdastra e un ristagno azzurro come se non accadesse mai niente. Qui correva la frontiera tra Siria e Iraq, voluta, disegnata dall’Occidente. Era, prima, terra unica per lingua, cultura, politica. Mercanti, ulema, pellegrini, sciiti e sunniti, settari fanatici e nomadi, tutti potevano andare e venire nel vasto spazio arabo della Mezzaluna fertile.

Il Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi, il fantasma, non nega affatto la storia del vicino oriente, vi si avviluppa, anzi, e vi ritorna in permanenza. Il 29 giugno alzando lo stendardo nero su un posto di transito lungo la vecchia linea degli accordi tra Francia e Inghilterra del 1916 appena frantumato da un bulldozer, un comandante daesh ha gridato: «Non è la prima frontiera che distruggiamo e non sarà l’ultima, se Dio vuole». Lo spazio degli Abbassidi dominatori del Mediterraneo, di un grande Mediterraneo che andava da Toledo a Samarcanda, si riunifica come in un sogno. O in un incubo.

La sfida tra l’Occidente guidato da élites sonnambule e il nuovo Stato totalitario che ha le bandiere del Califfato di Mosul, si ricolloca nel mare interno che una storia e una politica miope voleva marginale rispetto al grande spazio degli oceani. Il sogno arabo che semina la morte, l’aspirazione a una potenza smisurata dopo le umiliazioni subite, per cui atti criminali diventano espiazioni: nel momento in cui si grida il nome di dio, e si uccide purtroppo per dio, c’era un solo scenario possibile, lo spazio fisico geografico storico dove le fedi hanno contaminato l’anima dell’uomo. Il declino dell’America come onnipotenza non a caso si consuma lontano dalle rive degli oceani che aveva eletto a proscenio della Storia.

Il califfato brutalmente la ricapitola, la Storia: di fronte al nostro ordine occidentale con la aureola impallidita di tutte le sue certezze, trovare le risposte ultime, redimere con un infinito progresso, percepire, prima o poi, tutti, il dividendo della ricchezza, si è levata quasi per inevitabile reazione, la negazione islamista. Con la generazione più intimamente negativa di tutti i principi che abbiamo mai veduto, immersa in uno stato di insurrezione, di denegazione capitale. Una parola la riassume tutta: si tratta di dire no, in nome di un dio, a tutto.

L’impero Ottomano
Il Califfato ricostruito da Daesh è la rivincita delle popolazioni arabe sunnite sconfitte da cinque secoli. Non a caso questa sanguinosa rivincita che ha per loro il valore di un dono divino, copia l’età degli Abbassidi. A partire dal tredicesimo secolo altri comandarono l’Islam: selgiuchidi e mongoli ilkani, mamelucchi e turchi. Gli Ottomani: califfi per vanteria e vantaggio dinastico, così oppressivi verso gli arabi e opportunisti nella fede. In questo spazio la terra è la stessa. Oggi come allora. Il clima di Cadice è come quello di Beirut, la Provenza assomiglia alla Calcidia, la vegetazione di Gerusalemme è quella della Sicilia. Certo diversi sono i gesti degli uomini: il passato, accanito fabbricante di particolarismi, ha accentuato tutto questo seminando i suoi straordinari colori.

Terre di migranti
Tra queste coste si migra: di nuovo. Dalla Sicilia ai litorali dell’Africa corre la catena delle isole che collegano deboli profondità marine: Djerba, Pantelleria, Lampedusa, Gozo, Zembra. L’acqua è così chiara che sembra di poter vedere il fondo. Ho attraversato quel mare su una piccola barca con i migranti musulmani: la rotta è antica come il mondo. Popoli interi hanno ripreso, braccati dalla disperazione e dalla speranza, ad attraversare il Mare. Un mondo si svuota, l’altro di fronte si riempie: il ritmo di sempre.

Il Mediterraneo è molto più grande delle sue coste. Attira tutto ciò che sta intorno, lo aggrega a questo gigantesco continente unitario che lega Europa, Asia e Africa. Un pianeta di per sé, dove tutto ha circolato precocemente e in questa saldatura gli uomini trovano lo scenario della loro storia unitaria anche guerreggiando. Qui si sono compiuti e si compiranno gli scambi decisivi. Ora si è chiuso, le due sponde non comunicano come ai tempi di Maometto e Carlomagno. Non è la prima volta, succederà ancora.

La grande cassa di risonanza mediterranea. Flussi e riflussi sotto il segno del movimento: il Mediterraneo e le sue rive inquiete danno e ricevono e i doni possono essere, di volta in volta, calamità o benefici. Perché il Mare non finisce dove scompare l’ulivo. La Crimea non è forse, anche oggi, spazio del Mediterraneo? E il deserto che invade fisicamente il mare interno? I venti che arrivano dal Sahara, salendo verso Nord, creano il cielo e le notti che non hanno eguali per limpidezza; lo scirocco, il qamsin degli arabi, carico di sabbia, pesante come il piombo, porta piogge di sangue che spaventano i semplici.
A Sabratha in Libia, un’ondata brutalmente sovversiva, schiumante di sangue e di fiele, di guerrieri del Jihad usa le rovine romane come trincee. A Sirte altri frenetici ed esaltati decapitano cristiani come ai tempi dei Barbareschi. L’eco di questa terribile storia mediterranea si prolunga, così, fin nel cuore dell’Africa, nelle selve della Nigeria e nelle savane somale; ne rimbombano Timbuctu, effimera meraviglia delle sabbie, e il paese di Punt, scrigno, un tempo, di innumerevoli ricchezze. Lunghe carovane, che seguivano effimere strade di sabbia tra le dune, portavano sale e oro, guerrieri e santi marabutti, diseredati e sognatori. Tutti con il sogno o il ricordo di quel mare. Oggi sono mercanti di uomini e fuggiaschi, trafficanti di droga e barattieri di preghiere senza misericordia, falsi emiri e veri assassini, armi e santità: il Mediterraneo, laggiù, li attende e li assorbe.

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