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Informazione Corretta Rassegna Stampa
02.03.2015 IC7 - Il commento di Fiona Diwan
Dal 22 al 28 febbraio 2015

Testata: Informazione Corretta
Data: 02 marzo 2015
Pagina: 1
Autore: Fiona Diwan
Titolo: «IC7 - Il commento di Fiona Diwan»

IC7 - Il commento di Fiona Diwan
Dal 22 al 28 febbraio 2015

Le lacrime di coccodrillo di un'Europa antisemita e sull'orlo di una crisi di nervi


"Non sono antisemita, agente, sono semplicemente antisionista!"

Ci sono i “foreign fighters”, qualche migliaia di giovani europei sedotti da un’idea di jihad in grado di restituire scopo e valore a un’esistenza troppo opaca, secolarizzata e orfana di idealità.
C’è Vladimir Putin che, come se nulla fosse, il 19 febbraio ha fatto volare sui cieli della Cornovaglia, Gran Bretagna, i suoi cacciabombardieri (ve l’immaginate?) e che forse, chissà, ha tolto di mezzo l’ennesimo oppositore, il 56enne Boris Nemtsov.
C’è Angela Merkel che a colloquio con Papa Francesco, il 21 febbraio, non ha esitato ad affermare che «la pace in Europa non è affatto scontata».
C’è ancora l’Ucraina, un campo di battaglia; e poi c’è la Grecia sul lastrico ma galvanizzata dal sacro fuoco della rivincita elettorale e corteggiata da Putin, che tanto amerebbe ascriverla nel proprio raggio di influenza; e infine, ci siamo noi che, improvvisamente, forse per la prima volta, ci rendiamo conto di quanto fosse rassicurante il mondo diviso in due blocchi di forze uguali e contrarie, quando c’era l’Europa dell’Alleanza Atlantica e del Patto di Varsavia, e quanto quei due schieramenti ci abbiano in realtà regalato uno dei periodi di pace più lunghi della Storia di sempre. Un periodo morto e sepolto.

C’è appena un flebile brivido che sembra attraversarci la schiena, anestetizzati come siamo non solo da 35 anni di benessere ma anche da una classe politica europea che sembra cercare l’appeasement a tutti i costi – ma in verità sull’orlo di una crisi di nervi -, e che fa del politically correct il linguaggio della dissimulazione ipocrita dei problemi. Come è accaduto ancora ieri, in Italia, alla Camera, con le due mozioni in merito allo stato di Palestina, votate il 27 febbraio, un capolavoro di cerchiobottismo nazionale, una mozione pro-Palestina approvata grazie alla sinistra del PD che attribuisce a Israele la responsabilità storica della mancata esistenza di uno stato palestinese e assolve Hamas dalla sua criminale volontà di negare a Israele il diritto di esistere. E poi, in parallelo, una contro-mozione che dice quasi il contrario, ovvero che ci vogliono “i due popoli, due stati” e dei colloqui diretti tra i due.

Virtuoso equilibrismo o “pasticciaccio brutto”? Siamo ancora davanti alle lacrime di coccodrillo di un’Europa antisionista? Forse. Più semplicemente una soluzione all’italiana, che non ci fa onore, anche se fortunatamente c’è chi nel PD, come Emanuele Fiano, ha dichiarato che “l’importante è che non ci sia stato un riconoscimento diretto, esterno al perimetro di una trattativa tra i due Stati, esito di un vicendevole riconoscimento".

Due mozioni che non ci fanno onore, dicevo. Perché alimentano il pregiudizio fuorviante che fa di Israele un nemico della pace, Israele oggetto di una demonizzazione che alimenta un fanatico antisemitismo, oggetto dei boicottaggi di merci e menti israeliane, accademici e studiosi d’Israele messi alla porta della comunità scientifica internazionale come se nulla fosse. E tutto questo in un’Europa che poco più di 80 anni fa aveva già visto l’ignominia della cacciata dei propri professori ebrei dalle aule universitarie, un’Europa che oggi vede profanati i cimiteri ebraici, con scuole e sinagoghe di Milano, Londra, Marsiglia, Bruxelles, Copenhagen…, trasformate in fortini e difese quotidianamente da soldati in tuta mimetica e mitraglietta, con giovani che, indossando la kippà nelle strade di Parigi, sono fatti oggetti di sputi e insulti, con simboli della Shoah distrutti nei luoghi dei vari memoriali.

Se è vero che quanto succede agli ebrei, prima o poi accadrà a tutti gli altri, c’è poco da rallegrarsi. Ma tant’è. In questo scenario, persiste “il grande nodo”, quello della Francia, con i suoi 6 milioni di musulmani arabi, un’immigrazione poco variegata e poco integrata. Sarà banale, ma che ne sanno di Racine e Corneille, di Chateaubriand e Hugo, (ma anche di Dante, Ariosto e Leopardi), i giovani arabi delle periferie? Come trasmettere agli immigrati un retaggio culturale che va ben al di là dei libri di storia e letteratura ma che informa il tessuto profondo della coscienza civile europea e il suo cammino verso le società pluralistiche di oggi? Come si fa a far leggere libri abitualmente curricolari in Francia (ma anche in Italia, Germania...) come La notte di Elie Wiesel o L’ultimo dei giusti di Schwarz Bart o il Diario di Anna Frank a una classe di liceo composta per metà di arabi che si rifiutano di aprire quelle pagine ancorché di leggerle? Giovani che dimostrano di voler ignorare il retaggio storico-politico su cui si sono edificate le moderne Repubbliche nate dalle ceneri della Seconda guerra mondiale?

La questione è grave e complessa e vorrei chiudere questa riflessione con quanto scrive il pensatore-psicologo-opinionista Daniel Sibony, allievo di Levinas e Lacan, nel suo ultimo saggio “Le Grand Malentendu: Islam, Israel, Occident”, (appena uscito per Odile Jacob): «Oggi, in Francia, l'atteggiamento ufficiale, dello Stato e delle istituzioni, di fronte al mondo islamico apre uno scenario quasi perverso, dove il più forte fa finta di essere il più debole. Eppure, il solo modo possibile di smorzare il radicalismo, è la forza della Legge... È dunque una crudeltà della Storia che, ospitando in modo massiccio l'islam nel cuore dell'Europa del XXI secolo, si sia importata anche la sua patologia (l’islam radicale, ndr), nonché delle modalità che solo avevano conosciuto le minoranze ebraiche e cristiane che in passato vivevano laggiù. I sovrani, con la richiesta di una pesante tassa, proteggevano queste minoranze, chiamate dhimmi, da aggressioni aleatorie da parte di folle musulmane, individui o piccoli gruppi. Ed era loro interesse proteggerli, se volevano incassare introiti fissi e cospicui. Ma oggi, scomparsa la minoranza ebraica dai Paesi arabi - e in rapida via di sparizione quella cristiana -, nessuno ha ancora spiegato a zelanti, naif o fragili credenti che certe cose “non si fanno”, specie se non sei a casa tua…
L'Europa farà fatica a far fronte a tutto ciò senza mettere mano ai propri principi fondativi: si tratta di affrontare una situazione totalmente inedita nella storia. Niente ci dice che l'Europa non finisca per ammalarsi o agonizzare dolcemente, per spirito di carità verso l'altro e con uno slancio di profonda comprensione vagamente cristiana, del tipo: “sono dei folli, non sanno quello che fanno, dobbiamo comprenderli e corrispondere ai loro bisogni...”.
Anche questa sarebbe una grande novità nella Storia».


Fiona Diwan, direttrice del "Bollettino" della comunità ebraica di Milano


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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