L'etica della responsabilità e il “riconoscimento”
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici,
Mi trovo oggi a mettermi nel ruolo un po' strano per me di difensore della politica italiana e in particolare della “strana” decisione dell'altro ieri di votare per due mozioni assai diverse sul “riconoscimento” della “Palestina”. Due mozioni, fra l'altro che sono scritte in una lingua piuttosto opaca e soprattutto che non conosce nessuno, dato che nessun giornale le ha riportate integralmente. Ho fatto un po' fatica a trovarle e ve la indico qui (sono le ultime due mozioni di questa pagina, prima delle interpellanze: http://www.camera.it/leg17/995?sezione=documenti&tipoDoc=assemblea_allegato_odg&idlegislatura=17&anno=2015&mese=02&giorno=27&back_to=http://www.camera.it/leg17/187?slAnnoMese=201502-e-slGiorno=27-e-idSeduta=-e-idLegislatura=17 ).
Evito di entrare nel merito, anche se di cose da dire ne avrei. Ma il punto secondo me è un altro. In un celebre passo della sua ultima opera, Max Weber distingue fra un'“etica della convinzione” (o piuttosto “dei principi, delle posizioni”: (Gesinnungsethik) e un'”etica della responsabilità” (Verantwortungsethik). La prima è assoluta, corrisponde a una posizione totalmente intransigente come quella di Lutero (Hier ich stehe. Ich kann nichts anders, Qui mi pongo, non posso fare altro) o come quel famoso motto “fiat justitia pereat mundus”, variamente attribuita. C'è una convinzione e la si sostiene senza badare a nulla, accada quel che deve, anche una catastrofe. E' il punto di vista dell'ideologia, ancor più che della religione. La seconda, spiega Weber (e dopo di lui Hans Jonas) è quella caratteristica della politica, nel senso più alto e più completo. La posizione che si prende dev'essere commisurata alle sue conseguenze. Non basta rivendicare il proprio, o ciò che appare come giusto, bisogna allargare lo sguardo e chiedersi che cosa ne deriverà, quali saranno le conseguenze per gli altri.
Che cosa c'entra questa cosa col “riconoscimento” della “Palestina”? E' semplice e essenziale. In Europa e nella sinistra americana, oltre che in buona parte del cosiddetto Terzo Mondo si è diffusa la fede che sia “giusto e importante” dare ai “Palestinesi” il “loro stato”. Coma sa chi mi segue, ho scritto centinaia e centinaia di pagine per spiegare che non esiste un “popolo palestinese” indigeno, ma solo delle popolazioni arabe molto divise e per lo più recentemente immigrate, che questo non ha alcun “diritto” legale né morale a uno stato, perché la divisione del territorio è già stata fatta negli anni Venti del secolo scorso e i trattati di Oslo degli Anni Novanta, firmato dall'OLP e controfirmato da Europa e Usa, non parla affatto di uno stato ma di autonomia, e dice esplicitamente che la divisione del territorio (che ora i palestinisti sostengono sia tutto loro per decreto divino) debba essere realizzata con trattative fra le parti.
Vi ho dato innumerevoli prove del terrorismo palestinista, del pericoloso antisemitismo che lo anima, del carattere illegale di pulizia etnica e di base terrororistica che assumerebbe uno stato loro assegnato; vi ho mostrato come di questa deriva esistano prove storiche (i ritiri da Giudea e Samaria, Gaza e Libano meridionale immediatamente trasformati in basi terroristiche). Ho discusso il fatto che l'Europa si occupi di questa “occupazione” e non di numerose altre, fra cui quella che la Turchia continua a esercitare contro un suo stato membro, Cipro) e di altrettanti muri e vi ho mostrato il nesso fra questo doppio standard e l'antisemitismo. Insomma, ho argomentato abbondantemente contro il “riconoscimento” per non doverlo rifare qui.
Partiamo dunque, senza discutere, dal fatto che un certo numero di forze politiche (islamiste, di sinistra, terzomondiste) ritengono che i “Palestinesi” abbiano “diritto” al “loro Stato”. L'etica della convinzione dice che, a partire da qui bisogna cercare di realizzarlo. Uno dei passi di questa realizzazione è questo “riconoscimento”, per quanto la parola e il concetto siano inadeguati, perché si può “riconoscere” qualcosa che c'è, che è già ciò per cui lo riconosciamo (io riconosco un tizio che incontro come un mio vecchio compagno di scuola se lo è, non posso trasformarlo in tale riconoscendolo; dal finestrino treno riconosco un certo paese, se è quello, se no semplicemente mi sbaglio ecc.): sarebbe più giusto dire “auspicio” o “progetto politico”. L'etica della responsabilità, prima di fare questo passo, si interroga invece su quel che accade dopo e di conseguenza a questo passo: se io “riconosco” lo “Stato di Palestina”, che accade?
Proviamo a rispondere assieme. Be', o questo “riconoscimento” resta senza conseguenze, un puro atto verbale, come peraltro è probabile, e allora non ha sostanza politica. Oppure ha conseguenze, comporta azioni, in particolare innesca il tentativo di costringere Israele, che ha il controllo del territorio a cederlo ai palestinisti. Già il tentativo implica una dose di violenza nei confronti di Israele: chissà, boicottaggi, azioni diplomatiche, blocchi navali, magari una forza militare... Siamo disposti ad accettare queste prime conseguenze? E' l'Europa disposta a esercitare un'azione violenta contro Israele e a subirne le reazioni? Siamo incapaci o timorosi di mandare forze in una Libia devastata dalla guerra civile e lo faremo con Israele? Con quale legittimità morale? L'Europa non si guarderà allo specchio e ricorderà Auschwitz? Ammettiamo che si faccia proprio come vogliono i palestinisti e che riesca. Israele accetta di sgomberare Giudea, Samaria e Gerusalemme, toglie il blocco a Gaza, sposta mezzo milione di persone (poco meno del dieci per cento della popolazione ebraica, di cui i palestinisti esigono la pulizia etnica, come se l'Italia tornasse ai confini orientali del 1865, senza Veneto, Friuli e Trentino, dovendone però ricollocare gli abitanti), il tutto senza un trattato di pace, solo per ordine della comunità internazionale.
Che succede allora? Secondo voi i palestinisti si calmano e stanno contenti? Ma no, l'hanno scritto sui loro statuti e disegnato sulle loro insegne, lo ripetono nelle loro scuole e nella loro propaganda. Vogliono TUTTA la Palestina storica. Quindi continuano la loro “lotta”. Non più difesa dall'azione dell'esercito israeliano (che dopotutto non può entrare in un altro stato, no?) l'Autorità Palestinese viene catturata, per elezioni o più probabilmente per colpo di Stato, da Hamas, che farebbe quel che fa oggi da Gaza anche dalle colline prospicienti Tel Aviv e dal pieno centro di Gerusalemme (perché la città vecchia di Gerusalemme è “Gerusalemme Est”, no? e andrebbe ceduta di nuovo agli arabi che ne farebbero di nuovo pulizia etnica distruggendo le tracce ebraiche...): bombarderebbe cioè Tel Aviv, l'aeroporto e il centro del paese da 10 km di distanza e Gerusalemme “Ovest” da poche centinaia di metri, renderebbe impossibile il traffico Nord-Sud lungo le due autostrade più importanti di Israele e chiuderebbe anche dalle colline circostanti la sola strada rimasta di accesso a Gerusalemme.
Che farebbe Israele? I casi sono due: si difenderebbe o no. Nel caso del no, è chiara una fuga precipitosa e la scomparsa del paese. Nel caso dell'autodifesa, l'ipotesi più probabile, che sarebbe naturalmente condannata dall'Europa come un'aggressione, dovrebbe semplicemente riconquistare la situazione attuale dopo il ritiro.
Non continuo a elaborare questo scenario, mi limito a ricordarvi che a due passi dal confine di Israele ci sono Hamas, Hezbollah, l'Isis, gli iraniani, tutte forze che si sono dichiarate dedite alla distruzione di Israele. Sfido chiunque a offrirmi uno scenario più realistico. Per favore però non partendo da un'improvvisa conversione al bene dei cuori palestinesi - abbiamo avuto tutti l'esperienza di tre ritiri (zone concesse all'AP in Giudea e Samaria, Gaza, Libano meridionale) e abbiamo visto come sono andate le cose. E per favore non parlatemi neppure di forze di interposizione internazionali. Ci sono a Gaza, nel Sinai, nel Libano e non hanno mai impedito un solo attacco proveniente da questi luoghi. Nè per favore qualcuno mi dica della prospettiva di un accordo di pace: perché i dirigenti dell'Autorità Palestinese dovrebbero negoziare con Israele e offrire garanzie di pace - Dio sa quanto affidabili - che hanno sempre rifiutato di fornire - di fronte alla prospettiva di ottenere i loro obiettivi gratis, in virtù del “riconoscimento”? Tutto si può dire di loro salvo che siano ingenui e pacifisti.
Ma vi abbiamo già dato terra in cambio di pace !
Ma noi vogòliamo quel pezzo lì !
Dunque l'etica della responsabilità deve prendere atto che anche partendo dall'esigenza morale di “riconoscere” la “Palestina”, quel che ne segue è un incubo per cui non c'è risposta. La sola zona del Medio Oriente ragionevolmente pacifica, prospera, democratica, se questo “riconoscimento” avesse effetti piomberebbe nel caos, nella distruzione, nella guerra. E allora? La maggior parte dei parlamenti europei ha seguito la morale della convinzione. E sapete perché? Perché godevano del privilegio dell'irresponsabilità. In altre parole questi riconoscimenti non erano politica ma propaganda, quelle cose che si dicono per farsi belli, per sfogare i propri sentimenti, per colpire “moralmente” i propri nemici.
Se volete, antisemitismo gratuito: è la posizione largamente maggioritaria nella sinistra europea e mondiale. Il parlamento italiano, votando due mozioni contraddittorie e confuse, non ha fatto una “farsa”, come ha scritto qualcuno. Si è almeno confusamente e oscuramente reso conto che quella del Medio Oriente è una situazione estremamente complessa, confusa e che l'etica della convinzione e quella della responsabilità vi contrastano pesantemente. Ha preso atto del fatto che non c'è una via semplice alla pace, che non vi sono soluzioni che possano soddisfare insieme i palestinisti e rispondere alle legittime preoccupazioni di Israele. Ha deciso, come ha scritto qualcuno, di non decidere. Che è la posizione più saggia in un caso come questo.
Ugo Volli