Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 01/03/2015, a pag.5, con il titolo "Gentiloni spinge per l'intesa sul nucleare: così l'Iran può avere un ruolo anti-Isis" l'articolo di Antonella Rampino.
La nostra politica estera nei confronti dell'Iran continua imperterrita, non importa quale colore ha il governo. A decidere sono gli interessi commerciali, tutti grandi giornali sono schierati per la l'apertuta all'Iran, a Teheran può esserci uno dei regimi peggiori della terra, poco importa, la linea da tenere la detta la Confindustria. E visto che le proprietà dei giornali è nelle mani delle grandi aziende, le sanzioni devono cadere per lasciare il posto agli affari. Che a Teheran ci sia una spietata dittatura, paragonabile alla Germania nazista, non conta nulla, come accadde proprio con Hitler.
L'Iran vuole l'atomica e minaccia Israele ? Che sarà mai !
Aspettiamo con ansia l'intervento di Bibi Netanyabhu al Congresso Usa.
Non ti secca, vero, se continuiamo a lavorare mentre parliamo ?
Ecco l'articolo:
Avvolto da un perfetto silenzio mediatico, con la bilaterale tra Kerry e Zarif lo scorso 21 febbraio a Ginevra il negoziato sul nucleare iraniano è giunto a un punto di svolta: l'accordo è ormai a portata di mano. La scadenza limite per l'intesa cornplessiva, inclusi tutti gli aspetti tecnici ed operativi, resta al 30 giugno 2015 ma l'intesa politica andrà messa punto a giorni, in marzo. Nel salto tra le due date, c'è un punto cruciale per l'Iran. Quello che il ministro degli Esteri di Teheran ha sottolineato ieri ricevendo il capo della diplomazia italiana Paolo Gentiloni: «I colloqui sul nucleare sono in una fase sensibile. Ma occorre rendersi conto che le sanzioni oltre a non aver avuto esito, non sono un asset ma un ostacolo all'esito positivo della trattativa. Occorre metterle da parte, stilare un programma esecutivo e risolvere il quadro generale del negoziato».
Il nodo Israele
Il tempo, da qui a giugno, sembrerà fermo - riferisce un'alta fonte diplomatica - mentre tutto sarà in movimento. A spingere per l'effetto-silenzio, due eventi: il discorso del premier israeliano Netanyahu al Congresso Usa su invito dei repubblicani che ha non poco irritato la Casa Bianca, e le elezioni a Gerusalemme. A domanda, Zarif non glissa. «Netanyahu - dice - è sempre in contrasto col trovare soluzioni, strumentalizza per coprire la realtà, come gli accade sulla questione palestinese. Non è un politica nuova, è la politica della paura e delle bugie contro chi cerca stabilità nella regione. È una politica che non avrà successo». La stabilità regionale Il primo effetto di un accordo sul nucleare sarebbe proprio quello di stabilizzare un paese chiave in molti scenari di conflitto. «Per l'Italia raggiungere l'accordo è nell'interesse della pace, della comunità internazionale, e nell'interesse dei Paesi direttamente impegnati nel negoziato» oltre naturalmente «al ruolo che l'Iran può svolgere negli scenari di crisi, e nella comune lotta al Califfato», nota il ministro degli Esteri italiano che si è sentito, nel chiuso del colloquio, fare dagli iraniani «un quadro allarmante», della progressione del Califfato da Iraq e Siria fino alle infiltrazioni in Libia e Afghanistan. L'Iran già da qualche ternpo e fino alla firma definitiva dell'accordo sul nucleare ha nella propria disponibilità 700 milioni di dollari al mese sbloccati dai fondi congelati dalle sanzioni Usa e Ue e la sua economia, da asfissiata che era, ha potuto registrare «una crescita del 4 per cento», come ha sottolineato nell'annuale discorso per l'anniversario della rivoluzione islamica il presidente Rohani.
Togliere le sanzioni
II dato, oltre che economico, è politico e la dice lunga su cosa sia in ballo a Teheran con l'accordo sul nucleare: proprio quell'allentamento delle sanzioni in vista della chiusura definitiva della trattativa ha fatto si che i conservatori del regime, a cominciare dalla Guida suprema Ali Khamenei, lasciassero che il governo riformista lavorasse. Ma significativamente Khamenei ha tenuto il punto dicendosi favorevole a un accordo con il «Grande Satana» americano, ma non a un «cattivo accordo»: e quel che fa la differenza sono appunto le sanzioni. Toglierle, non ha mancato di notare Gentiloni, servirebbe anche non poco alle nostre imprese, visto che l'interscambio nel 2014 è stato pari a un miliardo e 400 milioni di euro, con un incremento su base annua quasi del 35%. Siamo secondi solo alla Germania. Quanto ai rischi che un fallimento del negoziato invece potrebbe comportare, si tratterebbe di lasciare l'Iran, anche come mercato oltre che come attore geopolitico, nelle mani della Russia e della Cina, che è tuttora il principale acquirente del petrolio iraniano.
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