Terrorismo Islamico: riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 27/02/2015, due servizi di Maurizio Molinari, a pag. 2/3
Maurizio Molinari
I caccia francesi mancano per un soffio Al Baghdadi. Nuova strage di cristiani
Al Baghdadi
Con un raid aereo su Al-Qaim, ai confini fra Siria e Iraq, i jet francesi hanno tentato di eliminareAbuBakr al-Baghdadi,Califfo dello Stato Islamico (Isis). A dare la notizia è stata la tv araba «Al-Arabiya Al-Hadath», citando fonti locali, secondo cui gli aerei decollati dalla portaerei De Gaulle in navigazione nel Golfo avrebbero colpito cinque diverse località «distruggendo dozzine di edifici» lungo il fiume Eufrate. L’obiettivo è stato un raduno di miliziani jihadisti a cui avrebbe dovuto partecipare ancheAl-Baghdadi nella casa di un colonnello, Thamir Mohammed Al-Askari, che aveva la responsabilità dell’area ed è rimasto ucciso. Le vittime sarebbero almeno 17 uomini dello Stato Islamico mentre altri 29 sarebbero stati ricoverati in ospedali dell’area. L’attacco francese è stato massiccio e rientra nella strategia di «distruggere la leadership di Isis» di cui hanno parlato di recente il re giordano Abdullah e il Segretario di Stato Usa, John Kerry. Difeso dagli 007 di Saddam Il blitz denota inoltre la scelta del presidente francese François Hollande di accrescere il profilo del suo Paese - colpito dalla doppia strage contro «Charlie Hebdo» e «Hyper Cacher » - nella campagna anti- Isis finora guidata in gran parte dagli Stati Uniti. Non vi sono notizie sulla sorte di Al-Baghdadi che lo scorso settembre era già stato obiettivo di un raid aereo - allora americano - sempre nella zona di Al-Qaim, dove si trova uno dei più frequentati punti di passaggio adoperati da Isis per spostare uomini e mezzi fra i territori controllati in Iraq e in Siria. Al-Baghdadi finora si è dimostrato abile nello sfuggire ad attacchi ed attentati, grazie ad un profilo pubblico basso accompagnato da continui spostamenti e una sicurezza personale che, secondo fonti arabe, sarebbe garantita da ex ufficiali dell’intelligence di Saddam Hussein. La radio di Isis, «Al- Bayan», ha confermato l’attacco subito, attribuendolo ai «crociati safavidi» ovvero i termini dispregiativi per indicare cristiani e sciiti: «Hanno ucciso e ferito donne e bambini». Verso l’offensiva su Mosul La caccia ad Al-Baghdadi rientra nelle operazioni militari che la coalizione internazionale guidata dagli Usa sta conducendo al fine di mettere pressione su Isis in vista dell’offensiva per liberareMosul: sempre ieri truppe di terra irachene hanno colpito con l’artiglieria posizioni di Isis a Tikrit, l’ex città di Saddam Hussein, mentre aerei Usa hanno bersagliato i jihadisti tanto ad al-Rutba, a Ovest di Baghdad, che a Tel Tamr, una delle 15 località siriane dove Isis ha preso in ostaggio un numero di cristiani che, secondo fonti locali, sarebbe arrivato a 350. Per l'archimandrita Emanuel Youkhana, leader spirituale dei cristiani caldei bersagliati dai rapimenti, «almeno 19 ostaggi sarebbero già stati uccisi mentre tentavano di difendere famiglie e villaggi». In particolare, a Tel Hormidz una donna è stata decapitata e due uomini sono stati uccisi con colpi di armi da fuoco.
Ha 27 anni il boia dell'Isis, cresciuto a Londra e laureato
Mohammed Emwazi, il «Jihadi John» dello Stato Islamico, da borghese e tagliagole
Gentile nei modi, elegante negli abiti, con lo sguardo abbassato davanti alle ragazze, laureato in informatica e cresciuto in una famiglia del ceto medio di Londra Ovest: questo è Mohammed Emwazi, il «Jihadi John» dello Stato Islamico che da agosto ha decapitato almeno sette ostaggi occidentali diventando il simbolo delle brutalità del Califfato di Al Baghdadi. A svelarne l’identità è stato il «Washington Post» grazie ad un collage di testimonianze e prove di indagine che fonti della sicurezza Usa hanno confermato. Il testimone chiave è Asim Qureshi, direttore dell’associazione britannica «Cage» protagonista di battaglie per la difesa dei diritti civili dopo l’11 settembre, che incontrò di persona Emwazi nel 2009 e ha messo il controspionaggio britannico sulla pista giusta. Quanto ne emerge è il profilo di un ragazzo arabo - nato in Kuwait nel 1988 - che emigra con la famiglia in Gran Bretagna quando ha 6 anni e cresce sulla Lancefield Street diWest London in un ambiente del ceto medio dove i figli degli immigrati vanno a scuola, i genitori lavorano sodo e i progressi sociali sono motivi di orgoglio famigliare. Figlio del benessere «Emwazi viene dalla classe media ben educata - spiega Shiraz Maher, studioso dell’estremismo islamico al King’s College di Londra - e dimostra ancora una volta che la violenza non viene necessariamente da povertà e sofferenze ». Emwazi si laurea all’Università di Westminster come programmatore di computer, frequenta qualche volta la moschea di Greenwich ma con l’accento di Oxford. non appartiene a gruppi politici militanti. Ha la barba ma ama gli abiti eleganti, si cura, parla a voce bassa. Non segue gli imam più ribelli, violenti, estremisti. È piuttosto un figlio del benessere degli immigrati che riescono a integrarsi. Nell’agosto del 2009 assieme a due amici, un tedesco convertito e un arabo, scelgono di andare in Tanzania. Parlano di un «safari» da fare assieme ma all’arrivo a Dar es Salaam la polizia li blocca, teme che intendano raggiungere la vicina Somalia per unirsi agli Al Shaabab,affiliati adAlQaeda, e li rispediscono indietro. Emwazi viene imbarcato su un volo per Amsterdam, dove l’MI5 lo interroga per la prima volta. Al ritorno a Londra qualcosa è cambiato, decide di andare in Kuwait per passare del tempo con la famiglia del padre e poi torna ancora inGran Bretagna, dove nel 2010 viene arrestato dall’antiterrorismo che gli prende le impronte, lo perquisisce e gli impedisce di tornare in Kuwait. È questo il periodo in cui frequenta Qureshi, gli scrive e dice di sentirsi «in gabbia, sorvegliato dai poliziotti, impossibilitato ad andare inKuwait per sposarmi».Quando aNewYork la terrorista diAl QaedaAafia Siddiqui viene condannata per aggressione ai militari Usa in Afghanistan, Emwazi parla di «simpatia per lei». Nel 2012 perfeziona ancora l’educazione, sommando titoli ed esami, e tenta di partire per l’Arabia Sauditama fallisce e da quel momento scompare da Londra, anche la famiglia non sa più dove sia. La «carriera» È un ex ostaggio - il cui nome non è stato rivelato - a far sapere di averlo visto, oramai nel 2013 a Idlib, in Siria, in una prigione segreta dove i jihadisti tengono le loro prede. Gli ostaggi la chiamano «The box» (la scatola) ed è qui che gli danno il soprannome di «John». Si accompagna ad altri due jihadisti britannici e i prigionieri gli assegnano nomi che ricordano i Beatles. «Quello che chiamavano George era il leader - ricorda l’ostaggio - mentre Jihadi John era il più calmo ed intelligente» e parlava spesso degli Al Shaabab in Somalia. È a lui che il Califfo assegna un ruolo di primo piano quando, all’inizio del 2014, gli ostaggi vengono trasferiti a Raqqa divenuta capitale dello Stato Islamico. Il debutto sul set delle decapitazioni avviene nell’agosto scorso quando la prima vittima è James Foley, seguito da Steven Sotloff, David Haines, Alan Henning e Peter Kassig, prima dei giapponesi Haruna Yukawa e Kenji Goto. In ogni occasione l’ex ragazzo «gentile» di West London è vestito di nero, col volto coperto ed armato con un coltello per macellare la vittima, dopo averne pronunciato la condanna a nome della Jihad. Recapitando all’Occidente da cui proviene una sfida di morte la moschea di Greenwich ma con l’accento di Oxford.
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