Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 26/02/2015, a pag. 19, con il titolo "Il falco Bennett: 'Ma è in gioco la sopravvivenza di Israele' ", l'intervista di Fabio Scuto a Naftali Bennett, leader del partito israeliano HaBayit HaYehudi.
Fabio Scuto Naftali Bennett
Terroristi di Hamas a Gaza: il West Bank non deve cadere sotto il controllo del gruppo estremista palestinese
Preparerà le valigie e andrà con Benjamin Netanyahu in questa visita negli Stati Uniti già gravida di polemiche per il discusso discorso che il premier d’Israele terrà al Congresso sui pericoli del nucleare iraniano. Perché Naftali Bennett, il leader di “Focolare ebraico” e ministro dell’Economia, condivide le stesse ansie del suo alleato di governo.
I due leader si conoscono bene, Bennett stava nel Likud un tempo ed è stato il capo dello staff di Netanyahu nel 2006. Poi lo ha lasciato per fondare un suo partito, che fosse il riferimento per i coloni contrari a ogni cessione territoriale e per i nazionalisti religiosi. Lui, giovane ex maggiore delle Forze speciali diventato multimilionario con l’hi-tech, è convinto di bissare il successo del 2013 il prossimo 17 marzo e tenere il centrosinistra all’opposizione altrimenti, dice, «per Israele sarà la catastrofe».
Rifiuta però l’etichetta di leader di “un partito di estrema destra”. «Siamo un partito conservatore di destra, ma certamente non estrema; non nego di essere un “falco” in materia di sicurezza e affari internazionali». Voce sempre su toni convincenti, Bennett sciorina i quattro caposaldi del suo programma: «Educazione, sicurezza, economia e affari esteri».
I sondaggi danno i due schieramenti principali – destra e centro-sinistra – quasi alla pari. Che accadrebbe se dopo trent’anni la sinistra tornasse al governo? «Sarebbe un disastro. Tutti conoscono più o meno la formula: in qualche anno sarebbe creato lo Stato palestinese in Giudea e Samaria (Bennett non usa mai il termine Cisgiordania o West Bank ma quello biblico, ndr), centinaia di migliaia di israeliani sarebbero evacuati dalle loro case, nel giro di un paio di anni ci sarebbe un colpo di stato e Hamas si impadronirebbe del potere; i tunnel sarebbero scavati sotto l’autostrada e arriverebbero nel centro del Paese, innocenti civili palestinesi morirebbero perché Hamas piazzerebbe lanciamissili al riparo delle loro case, il mondo ci condannerebbe e la nostra posizione internazionale crollerebbe».
Non le sembra uno scenario apocalittico? «La mia opinione è che questa regione caotica può rimanere tale per i prossimi 5 anni o per i prossimi 500 anni, nessuno è in grado di saperlo. La lezione principale che ho imparato nei due anni in cui sono stato membro del Gabinetto di sicurezza è che non sappiamo nulla. Non sapevamo che l’Egitto di Mubarak sarebbe crollato, come non sapevamo che Morsi lo avrebbe seguito; non sapevamo che la Siria si sarebbe disintegrata, come non prevedevamo che Assad avrebbe resistito. Nessuno aveva previsto l’Is, né dove si sarebbe esteso».
Che cosa si può fare quindi in questa epoca di caos? «Prima di tutto bisogna evitare di compiere errori irreparabili».
Lo Stato palestinese è “un errore irreparabile”? «Sì. Non bisogna cedere i Territori sotto la tua sovranità per cederli a persone che domani potrebbero essere tue nemiche: nel 2005 abbiamo ceduto Gaza ad Abu Mazen ed ora lì c’è un Hamastan. Sono più che convinto che se ci ritiriamo dalla Giudea e dalla Samaria, sarà anche lì la stessa cosa e ci troveremo l’Is sulla Linea Verde. Non vedo in un prossimo futuro la possibilità di arrivare alla pace con i palestinesi, ma ciò che ritengo auspicabile è una specie di “Piano Marshall” per noi e i palestinesi. Cioè, turismo, economia, commerci, export, import, infrastrutture, c’è così tanto da fare. Ci sono due milioni di palestinesi e 400.000 israeliani che vivono nei territori della Giudea e Samaria: rendiamo loro la vita migliore».
Davvero ritiene possibile una soluzione pacifica con i palestinesi senza uno Stato palestinese? «Io non cerco di arrivare alla pace, cerco di arrivare alla calma, e si tratta di una differenza enorme. Abbiamo avuto la calma con la Siria, allo stesso modo in cui abbiamo avuto la calma con l’Egitto. Con uno abbiamo un accordo di pace, con l’altra no, ma fino alla recente disintegrazione della Siria, il confine siriano è stato quello più tranquillo. In Medio Oriente la pace è una visione splendida, ma dobbiamo essere realistici: datemi la calma, la non-belligeranza, e mi accontento».
Quindi lei è favorevole all’annessione dei Territori palestinesi? «Certo, sono a favore dell’annessione dei territori dell’area C (quella sotto il completo controllo israeliano, dove si trovano le colonie, ndr), dando la cittadinanza a tutti i palestinesi che ci vivono, e per molti sarà come se avessero vinto un terno al lotto, perché lì la qualità della vita è migliore. Per le aree A (sotto il totale controllo palestinese) e B (controllo militare israeliano e civile palestinese), sono per un’autonomia “maggiorata”. E’ meno di uno Stato, in quanto non sarebbe aperto al flusso di milioni di discendenti di profughi e non avrebbe un esercito, ma sarebbe totalmente autonomo per tutto il resto, in un’area dove non vivono israeliani, bensì 1 milione e 800.000 palestinesi. Non credo che possa essere attuato subito, perché prima di tutto devo convincere gli israeliani, poi dovremo convincere il resto del mondo».
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