IC7 - Il commento di Federico Steinhaus
Dal 15 al 21 febbraio 2015
Un gruppo di ebrei emigrati in Israele
Chiedo scusa da subito ai lettori se mi occupo nuovamente di antisemitismo. Non è (solo) una mia fissazione, come dimostra anche l’appello a fronteggiarlo lanciato dal presidente Mattarella: il fatto è che costituisce nuovamente un problema europeo, tutto da esplorare e da capire. Prendiamo, ad esempio, il recente rapporto sull’antisemitismo in Italia dell’Institute for Jewish Policy Research, che analizza la percezione che tra il 2007 ed il 2012 gli ebrei italiani ne avevano.
Il 43% degli ebrei italiani percepiva l’antisemitismo come proveniente da persone con un’appartenenza politica alla sinistra, il 32% lo attribuiva a persone con appartenenza politica alla destra; solamente il 17% percepiva un antisemitismo di matrice musulmana ed una percentuale ancora inferiore, del 13%, lo riteneva motivato da una visione cristiana radicale.
Oggi, a distanza di pochi anni, la situazione non solo si è aggravata in termini assoluti e di percentuale, ma si è estesa ed è ancor meno definibile nelle sue diverse matrici. In Francia ed Inghilterra una forte e coesa minoranza musulmana influenza anche l’emergere di sentimenti antisemiti. In Svezia, a Malmö, un giornalista (non ebreo) ha girato per la città con la kippà ed è tornato in redazione scioccato per l’intensità dell’odio che aveva avvertito fra chi incontrava per strada ed altri giornalisti che hanno tentato un esperimento analogo si sono scontrati con le medesime reazioni. In Germania si sta sviluppando un’inquietante avversione per il ricordo della Shoah.
Il rapporto citato ne deduce che la capacità di penetrazione e di espansione dell’antisemitismo risiede nella sua trasversalità; persone che null’altro hanno in comune se non l’odio per gli ebrei, di qualsiasi natura ed origine esso sia (religiosa, politica, dettata da pregiudizi atavici o da motivazioni personali), si confermano e rafforzano a vicenda proprio a causa di questo odio. E se la sinistra accusa la destra di essere antisemita, e la destra accusa la sinistra, ed entrambe accusano i musulmani o i cristiani, ne discende che l’antisemitismo diventa indecifrabile e difficile da estirpare.
Gli ebrei francesi emigrano in migliaia, quelli inglesi si preparano a fare altrettanto: sono le due comunità ebraiche più numerose d’Europa, che in Europa non si sentono più sicure o, peggio, benvenute. Non è solo il suicidio dell’Europa migliore – quella che ha le sue radici anche nella presenza ebraica – ma è anche la riconferma dell’indispensabilità di avere uno stato ebraico nel quale poter trovare rifugio in caso di necessità. In Francia il numero degli ebrei emigrati in Israele è aumentato dell’ 88% tra il 2013 ed il 2014, e (sia pure con cifre assolute molto inferiori) l’emigrazione dalla Gran Bretagna nello stesso periodo è aumentata del 20%; l’Italia, in cifre assolute, è terza con un aumento del 124% dal 2013 al 2014.
Ovviamente una parte di queste migrazioni è anche dovuta a fattori non connessi con l’antisemitismo – motivi di lavoro, di famiglia – ma l’insieme di questo quadro è privo di equivoci. Il PEW Research Center segnala che l’Europa ha “perso” metà della sua popolazione ebraica dal 1960 ad oggi: dai 3,2 milioni di allora siamo scesi ad 1,4 milioni circa. Nel 1939, prima della Shoah e prima della fondazione di Israele, in Europa viveva il 57% (9,5 milioni) della popolazione ebraica mondiale; oggi è il 10%.
Cambio di argomento, ma solo in apparenza. Poche settimane fa è morta una nota giornalista americana, Joan Peters. Faceva parte dello staff del presidente Carter ed era, all’epoca, una fervente sostenitrice della causa palestinese. Ma quando le fu offerto un ricco contratto per scrivere un libro sul conflitto israelo-palestinese lei iniziò a fare delle ricerche, e man mano che procedeva si rendeva conto che tutta la narrazione di quel conflitto era una enorme menzogna. Restituì i soldi che la casa editrice le aveva anticipati e per sette anni proseguì gli approfondimenti, basandosi esclusivamente su documenti ed interviste di testimoni. Il risultato fu "From Time Immemorial: The Origins of the Arab-Jewish Conflict Over Palestine", un’ opera nella quale denunciò le scandalose manovre dell’ONU per adattare ex novo il concetto di profughi alle esigenze del mondo arabo in modo da rendere credibile, perpetuo ed inestricabile un falso atto di accusa nei confronti di Israele.
Nel suo libro la Peters ha diviso la Palestina mandataria in tre settori, a seconda della presenza storica ebraica. Nel settore in cui non vi era traccia di presenza ebraica la popolazione araba aumentò del 116% nel periodo 1893-1947; aumentò del 185% nel settore in cui la presenza ebraica era scarsa; ma aumentò del 401% (da 92.000 a 462.000) nel terzo settore, quello nel quale la presenza ebraica storicamente accertata e continuativa aveva fatto sì che vi si concentrassero l’immigrazione ebraica e le iniziative economiche, agricole e di urbanizzazione del movimento sionista. In altre parole, fu la presenza ebraica e sionista ad indurre arabi egiziani, siriani, libanesi, giordani ad emigrare verso questa terra: le radici storiche della loro appartenenza alla Palestina erano una menzogna, avallata dall’ONU attraverso la sua agenzia appositamente creata, l’UNRWA.
Ovviamente, questo non è antisemitismo, ma è una faziosità ufficializzata e trasferita in 60 anni di documenti che accrescono l’antipatia per Israele: siccome esiste un legame, pretestuoso finchè si vuole ma efficace, fra l’antisemitismo europeo e la critica nei confronti di Israele, possiamo affermare con sicurezza che l’ONU e la sua politica sono un elemento che concorre a fomentare l’antisemitismo.
Concludo con una puntatina nel vaso di Pandora dell’antisemitismo più classico: lo scorso 6 febbraio il commentatore siriano della televisione di Hezbollah Al Manar Hussam Shoei’b ha affermato che l’uccisione del pilota giordano è un’ulteriore prova della ferocia dei “sionisti” (sta per “ebrei”) che “da secoli impastano il pane azzimo con sangue umano”. Ecco in cosa consiste la trasversalità del nuovo antisemitismo.
Federico Steinhaus