Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 18/02/2015, a pag. 6-7, con il titolo "Al Sisi: 'La minaccia jihadista colpisce tutto il Mediterraneo' ", l'intervista di Jean-Pierre Elkabbach a Abdel Fattah Al Sisi.
Abdel Fattah Al Sisi
Presidente Abdel Fattah Al Sisi, dopo l’assassinio tramite decapitazione di ventuno cittadini egiziani copti, lei ha decretato per l’Egitto il lutto nazionale per sette giorni. La mattina dopo le decapitazioni, lei si è recato nella cattedrale copta per affermare che non si uccidono i cittadini egiziani, musulmani o cristiani che siano. È esatto? «Sì, è proprio così. Certo, noi consideriamo nostri figli e nostri fratelli tutti gli egiziani, e senza alcuna distinzione. Si è trattato di un crimine esecrabile contro l’umanità, non soltanto contro gli egiziani. Questo messaggio intendo inoltrarlo anche agli europei. Quattro mesi fa mi sono incontrato con il presidente francese e gli ho detto che occorreva prestare grande attenzione, che quanto stava accadendo in Libia avrebbe trasformato questo Paese in una minaccia terroristica per tutta la regione, non soltanto per l’Egitto, ma anche per il bacino del Mediterraneo e per l’Europa. È indispensabile pertanto affrontare il problema, perché la missione non è stata portata a termine dai nostri amici europei. Noi abbiamo abbandonato il popolo libico alla mercé delle milizie estremiste».
Lei ha detto che il popolo libico non meritava la sciagura in cui noi lo abbiamo scaraventato. Ma adesso? che cosa possiamo fare contro il pericolo proveniente dalla Libia? È una minaccia anche per l’Africa, la Tunisia, l’Europa... «È semplice, dobbiamo puntellare la legalità e sostenere il popolo nelle sue scelte. Il Parlamento eletto è l’espressione del popolo, come l’esercito nazionale libico e il governo libico. Le milizie che intendono aderire dovranno consegnare le loro armi e dovranno lavorare nel rispetto della legalità. Abbiamo bisogno di ripristinare la stabilità e per riuscirci dobbiamo disarmare gli estremisti. Dobbiamo impedire che altre armi arrivino nelle mani degli estremisti provenienti da altri Paesi».
Però, ci sono già armi in Libia… Lei chiede formalmente che sia tolto l’embargo alla fornitura di armi al governo legittimo di Tobruk? «Su questo l’Egitto sta lavorando nel quadro del Consiglio di sicurezza dell’Onu insieme con l’Italia, la Francia e gli amici europei. Bisogna togliere l’embargo sulle armi destinate all’esercito libico per consentirgli di difendere il suo popolo, il suo Paese e le sue scelte».
I suoi cacciabombardieri hanno iniziato a colpire l’Is in Libia appena si è saputa la notizia della decapitazione dei ventuno egiziani. Lei fino a che punto è disposto a spingersi, per punire l’Is e gli autori di questo crimine? «Noi non avremmo voluto che l’Egitto intervenisse militarmente, e non avremmo voluto intervenire all’interno dei confini libici nel rispetto della sovranità della Libia e del popolo libico. Ma quanto è accaduto è un crimine, un vero vile atto terrorista, mostruoso. No, assistere alla decapitazione dei nostri fratelli in Libia e non agire sarebbe stato impossibile. Si tratta di una forma di autodifesa prevista dal diritto internazionale e dalla comunità internazionale e dalla tradizione. Noi non permetteremo loro di uccidere i nostri figli, di tagliare la gola ai nostri figli, che sono innocenti».
Dunque voi lo rifarete? «Noi dobbiamo rispondere di nuovo, però dobbiamo farlo tutti assieme per fermare l’estremismo e il terrorismo in Libia».
Lei, signor Presidente, chiede una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite affinché una coalizione intervenga in Libia e non siate i soli a doverlo fare? «Sì, proprio così. Non ci sono alternative. Soprattutto è necessario che il popolo libico sia d’accordo e il governo libico sia d’accordo e ci chiamino in loro aiuto per intervenire, per ripristinare la stabilità e la sicurezza in collaborazione con loro».
Dalle sue parole e dal tono della sua voce percepisco sia la sua forte commozione sia la sua collera, perché è evidente che qui da voi in Egitto si avverte questo pericolo… «La collera non deriva soltanto dal fatto che i nostri figli sono stati sgozzati: nasce anche da questi lunghissimi mesi, anzi dai più di due anni trascorsi da quando abbiamo lanciato l’allarme, avvertendo che quel che stava accadendo in Siria, in Iraq avrebbe avuto riverberi negativi per la sicurezza e la stabilità dell’intera regione. Quando la situazione in Libia ha iniziato a degenerare, noi abbiamo avvisato che questo rappresentava un enorme pericolo per tutti, per i Paesi confinanti ma anche per gli europei. Il terrorismo, ammonivamo, si sposterà oltre i confini di quei Paesi: voi dovete impegnarvi, noi dobbiamo fare altrettanto e dobbiamo collaborare tutti assieme per sconfiggere il terrorismo. Ma non mi riferisco soltanto a un intervento limitato alle forze di sicurezza o militari. Penso, piuttosto, a uno scontro globale, e questo significa che dobbiamo muoverci anche sul piano intellettuale, educativo, economico, culturale e politico».
(2015, Europe 1 Traduzione e trascrizione di Anna Bissanti)
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