Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 16/02/2015, a pag. 2, con il titolo "Noi libici non siamo integralisti, l'Italia ci aiuti a unirci contro l'Isis", l'intervista di Guido Ruotolo a Abu Baker Alhriash e Ali Abusetta, delegati di Misurata alle trattative di Ginevra.
Guido Ruotolo
Abdullah Al-Thani, a capo del governo filo-occidentale di Tobruk
L’appuntamento telefonico è per le cinque del pomeriggio. Nella hall di un albergo di Misurata, via Skype, abbiamo fissato l’intervista con i due delegati di Misurata alle trattative di Ginevra. Si tratta di Abu Baker Alhriash e di Ali Abusetta. Che annunciano novità importanti: «La costituzione di due commissioni di saggi che presto dovranno incontrare sia il Parlamento di Tobruk e il generale Khalifa Belqasim Haftar, alla guida dell’offensiva contro gli islamisti a Bengasi, che la città e le milizie di Zintan. Dobbiamo trovare un accordo e poi sconfiggere i gruppi estremisti islamisti».
Oggi è stata chiusa l’ambasciata italiana a Tripoli. E anche un gruppo di italiani è stato evacuato. Qual è la situazione dal vostro punto di vista?
«Intanto Misurata ringrazia l’Italia, il governo e il popolo italiano per tutto quello che hanno fatto per noi. Sappiamo che siete il Paese che ha più a cuore il futuro della Libia. Speriamo che molto presto si creino le condizioni perché l’ambasciata possa riaprire. L’Italia dovrà giocare un ruolo importante per la ricostruzione della Libia».
Dall’esterno, il Paese sembra sempre di più fuori controllo.
«La situazione è molto critica. La nostra speranza è una scommessa sui giovani e sui consolidati rapporti tribali».
Misurata è considerata una città vicina agli estremisti islamici. Ma adesso che le milizie nere dell’Is stanno venendo allo scoperto, voi di Misurata che farete?
«È vero, la nostra è una città moderata ma non integralista. Vi sono esponenti politici legati ai Fratelli Musulmani ma la politica della città è contro questi movimenti integralisti. Proprio oggi una nostra milizia ha liberato la radio di Sirte e ben presto nostri uomini presidieranno Sirte per impedire future aggressioni da parte di questi estremisti».
Voi stessi parlate di situazione molto critica. Potete essere più chiari?
«Siamo in guerra tra di noi. Sarebbe stupido negarlo. Zintan, il generale Haftar, il Parlamento di Tobruk. Dall’altra parte noi, il Parlamento di Tripoli. Non possiamo continuare ad andare avanti così. Dobbiamo trovare una strada alternativa alle armi».
Che cosa propone Misurata?
«Il dialogo. Sappiamo bene che senza una capacità di ascoltare le ragioni di tutti non si troverà mai una soluzione. Veniamo da Ginevra e siamo consapevoli che la questione libica non può essere un problema militare ma deve essere risolta con la diplomazia».
Il tempo a disposizione ormai è sempre più ridotto. Cosa fare?
«Proprio oggi l’assemblea cittadina ha deciso di formare due delegazioni di saggi con il compito di aprire il dialogo con gli altri. Da giorni, abbiamo iniziato a parlarci via telefono. Adesso dobbiamo incontrarci. Una commissione andrà in uno dei terminal della “mezzaluna petrolifera”, Cidra, Ras Lanuf, Brega, per incontrare il Parlamento di Tobruk e gli uomini del generale Haftar, un’altra andrà a Zintan. Ci auguriamo che se il dialogo dovesse marciare, a queste riunioni partecipino anche i Paesi che ci sono stati vicini, anche l’Italia».
Che giudizio date del lavoro svolto dal delegato delle Nazioni Unite, Bernardino Léon?
«Lo consideriamo un lavoro eccellente. È molto paziente e la direzione del cammino sta andando nella direzione giusta».
Per l’Italia è un cammino inconcludente.
«I risultati si vedranno».
Come pensate di affrontare il problema degli estremisti islamici, dell’Is?
«Intanto non sono tanti e non sono ancora decisivi. Sono presenti a Derna, a Sabratha, gruppi a Tripoli. A Sirte li abbiamo cacciati. In ogni caso possiamo sconfiggerli. Dovremo essere noi a farlo. Ma prima, dobbiamo firmare una pace tra di noi».
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