Fratellanza Musulmana: dall'Egitto alla conquista del mondo
Analisi di Valentina Colombo
Valentina Colombo- il simbolo della Fratellanza musulmana
Il 15 gennaio 2015 il Parlamento europeo ha votato una risoluzione sulla situazione in Egitto in cui si chiede tra l’altro “l’immediato e incondizionato rilascio di tutti i prigionieri di coscienza, di tutti coloro che sono detenuti per avere esercitato il loro diritto alla libertà di espressione, di assemblea e associazione, così come coloro che sono detenuti per presunta appartenenza ai Fratelli musulmani; chiede alle autorità egiziane di assicurare il diritto a un processo giusto in conformità agli standard internazionali.”
Hasan Al Banna, fondatore nel 1928 dei fratelli musulmani
Più volte nella suddetta risoluzione si fa riferimento alla detenzione e alla condanna di persone affiliate, direttamente o indirettamente, ai Fratelli musulmani. Le reazioni, pubblicate su alcune testate arabe e su siti collegati alla Fratellanza, al testo votato a Strasburgo evidenziano una problematica che le istituzioni occidentali dovrebbero affrontare al più presto per potere essere credibili ed esprimere un giudizio obiettivo. Da un lato, attivisti per i diritti umani, tra cui Dalia Ziada - direttrice del Liberal Democracy Institute al Cairo -, intellettuali e il governo egiziani; dall’altro i Fratelli musulmani e organizzazioni a loro connesse, primi fra tutti l’Egyptian Revolutionary Council - il governo dell’opposizione egiziana all’estero guidato da Maha Azzam e da esponenti della Fratellanza – l’International Coalition for Freedoms and Human Rights – anch’essa schierata con le posizioni anti-colpo di Stato.
Da un lato, sconcerto e disappunto per una risoluzione che sembra non tenere conto né della realtà sul terreno né di rapporti – come i due pubblicati dall’Ibn Khaldun Center del Cairo - che equilibrano i dati forniti dalla risoluzione e che soprattutto forniscono un elenco dettagliato delle violenze commesse da persone e gruppi in sintonia o con legami diretti con i Fratelli musulmani. Dall’altro, esultanza e approvazione per una risoluzione che chiede al governo “del carnefice” – così è chiamato El-Sisi dai membri del movimento fondato da Hasan al-Banna – di porre fine alla persecuzione della Fratellanza. E’ evidente che la verità si posiziona a metà strada: di sicuro nelle carceri egiziane si trovano persone che nulla hanno a che fare con la violenza e il terrorismo, giornalisti e attivisti che potrebbero essere definiti “obiettori di coscienza”, ma è altrettanto vero che i Fratelli musulmani non sono solo vittime dell’attuale regime, ma sono soprattutto una realtà che da sempre autorizza il ricorso alla violenza in presenza di usurpatori e di tiranni.
E’ altrettanto vero che i Fratelli musulmani presentano all’Occidente, in modo particolare nei continui incontri con politici europei e americani, il viso “moderato” e riservano al lettore arabo la purezza della loro ideologia e delle loro posizioni. Per meglio illustrare il doppio linguaggio cui si fa riferimento, è necessario ricorrere a qualche esempio. Il 30 gennaio 2015, a cinque giorni dall’anniversario della Rivoluzione, Ikhwanweb - il sito ufficiale della Fratellanza in inglese – pubblica un comunicato che esordisce come segue: “Sin dai primi giorni della loro nascita, i Fratelli musulmani si sono costantemente posizionati contro la violenza e il terrorismo. Il gruppo ha attraversato diversi stadi e interagito con importanti questioni nazionali. Nel corso della storia, la Fratellanza è stata vittima di molti episodi di oppressione estrema, persecuzione e persino esecuzione dei propri leaders da parte di governi successivi […] tuttavia il gruppo ha rifiutato [di reagire] impegnandosi nel cammino della pacifica lotta civile e politica, [rispettando] i meccanismi democratici e le scelte popolari.” Il comunicato conclude affermando che chiunque esca dal selciato della lotta pacifica non violenta non appartiene più alla Fratellanza.
Ebbene, il sito ufficiale del movimento, in arabo, presenta un approccio sensibilmente diverso. Interessante è il testo, pubblicato il 27 gennaio 2015, dal titolo “Lettera alle fila dei rivoluzionari: ‘E preparatevi…’” in cui l’autore prende spunto dal logo dei Fratelli musulmani per incitare all’azione i “rivoluzionari” egiziani: “Due spade che si incrociano… tra di loro “E preparatevi”, sotto di loro la scritta “la voce della verità, della forza e della libertà”. Questo è il vessillo della predicazione dei Fratelli musulmani.” “E preparatevi” è l’incipit del versetto 60 della sura VIII: “E preparate contro di loro forze e cavalli quanto potete, per terrorizzare il nemico di Dio e vostro, e altri ancora, che voi non conoscete ma Dio conosce, e qualsiasi cosa avrete speso sulla via di Dio vi sarà ripagata e non vi sarà fatto torto.” L’articolo ricorda l’operato del fondatore Hasan al-Banna, che rappresenta ancora oggi il modello da imitare, che “allestì le brigate del jihad che inviò in Palestina per uccidere gli ebrei usurpatori.” Seguono citazioni tratte dagli scritti del fondatore: “Noi sappiamo che il primo livello della forza è quello del credo e della fede, seguito da quello dell’unione e del legame, e infine da quello del braccio e delle armi […]”; “la nazione che eccelle nell’arte della morte e sa come morire di morte nobile, riceverà da Allah la vita amata sulla terra e felicità eterna nell’aldilà, quale debolezza quella di chi ama la vita terrena e odia la morte, preparatevi a un’azione importante, aspirate alla morte che vi donerà la vita… operate per una morte nobile e avrete garantita la felicità più completa.”
Infine la conclusione che riconduce il lettore alla situazione attuale che vede la Fratellanza vittima del “carnefice” El-Sisi: “Tutti devono essere consapevoli che ci stiamo avvicinando a una nuova fase nella quale invochiamo quel che è latente nella nostra forza ed evochiamo i significati del jihad, una fase nella quale noi stessi, le nostre mogli, i nostri figli, le nostre figlie e chiunque abbia percorso il nostro cammino diamo il benvenuto a un lungo e irremovibile jihad e nella quale chiediamo il martirio.” Il 30 gennaio 2015 il quotidiano al-Shorouq pubblicava la registrazione di una trasmissione andata in onda su RabiaTV, finanziata dai Fratelli musulmani e che trasmette dalla Turchia, in cui si promettono nuovi attentati terroristici e si avvisa che non verranno risparmiati i cittadini stranieri. D’altronde già nei giorni precedenti i canali televisivi legati alla Fratellanza avevano incitato a uccidere El-Sisi e i giornalisti egiziani schierati al fianco di quest’ultimo. Quanto appena riportato è solo uno tra i tanti esempi di doppio linguaggio dei Fratelli musulmani ed è la ragione per cui il Parlamento europeo, gli Stati Uniti e le istituzioni in generale, dovrebbero comprendere per quale motivo in Egitto si stia attuando una ferma repressione nei confronti del movimento fondato da Hasan al-Banna e riuscire quindi a mantenere un giusto equilibrio nelle proprie dichiarazioni ufficiali volto a salvaguardare la libertà di espressione da un lato, ma al contempo anche la sicurezza interna di uno Stato che è minacciato senza mezzi termini in arabo e messo alla sbarra senza mezzi termini in inglese.
Quanto appena riportato deve rammentare che solo chi ha letto i testi di Hasan al-Banna può comprendere le logiche dell’organizzazione da lui fondata perché, come ha di recente affermato Tharwat al-Kharbawi – che ha abbandonato la Fratellanza in tempi non sospetti -, per i membri di quet’ultima il Profeta non è Maometto, ma al-Banna. E al-Banna, nelle celebri cinquanta richieste, richiamava tra l’altro a “rinforzare l’esercito, moltiplicare le sezioni dei giovani e infiammarli al jihad.”