Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 05/02/2015, a pag. I, con il titolo "Tredici anni dopo le Torri Gemelle il terrore è sbarcato in Europa", l'analisi di Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
I jihadisti tornano in Europa dalla Siria.
Europa: "Niente da dichiarare?"
Macchine lanciate contro i passanti di Digione nel giorno di Natale, sinagoghe protette dai militari da Bruxelles a Parigi, centri storici blindati a Londra e Berlino, monumenti presidiati ad Atene e Roma con la piazza di San Pietro in cima alla lista degli obiettivi a rischio: l’Europa convive con la minaccia del terrorismo che ha insanguinato la redazione di «Charlie Hebdo» e incombe in misura senza precedenti sulla sicurezza collettiva. A oltre 13 anni da quando si dissero «tutti americani» davanti al crollo delle Torri Gemelle, gli europei si ritrovano con lo stesso terrorismo di matrice jihadista nelle proprie città.
L’inizio del contagio
Quanto sta avvenendo è la conseguenza del progressivo insediamento e rafforzamento dei gruppi estremisti islamici nel Vecchio Continente. È un processo a tappe che inizia con gli attacchi dell’11 settembre 2001 a New York e Washington perché vengono pianificati ad Amburgo da una cellula di Al Qaeda guidata da un egiziano e composta da sauditi e yemeniti. Si tratta dunque di cittadini non-europei che godono di sostegni locali e pregano in moschee con imam fondamentalisti. È il momento della scintilla, l’inizio del contagio. Il 7 luglio del 2005 si passa allo stadio seguente: Londra è investita dalle bombe contro bus e metro depositate da anglopachistani ovvero cittadini europei avvinti dall’ideologia jihadista. È il passaggio dalla vecchia Al Qaeda di Osama bin Laden, che faceva arrivare ordini alla cellula di Amburgo, alla nuova galassia estremista fatta di singoli e gruppi accomunati dalla volontà di infierire in qualsiasi modo contro gli «infedeli», una categoria di nemici assai vasta che include cristiani, ebrei, buddisti, indù, atei e tutti quei musulmani che non la pensano come loro.
Assad e lo Stato islamico
La guerra civile in Siria, iniziata nel 2011, attira questi europei jihadisti, musulmani o convertiti, portandoli ad arruolarsi nei ranghi dello Stato islamico dell’Iraq e della Siria (Isis) di Abu Bakr al-Baghdadi che nel 2013 arriva a contarne quasi tremila, inquadrandoli in brigate divise per idiomi madrelingua: inglese, francese, tedesco, fiammingo. Nasce un network che crea un collegamento fisico, umano, fra il fronte di guerra in Medio Oriente e i centri urbani europei da dove i jihadisti provengono, dove hanno famiglie, amici, imam. Le periferie di Parigi, Glasgow, Amburgo, Bruxelles, Milano, Copenhagen e Malmoe si trasformano nelle retrovie dei fondamentalisti islamici - con denominazioni diverse ma una comune matrice - si battono soprattutto in Siria e Iraq ma anche in Libia, Egitto, Yemen, Afghanistan, Pakistan, Algeria, Libano e Giordania. A muoversi in entrambe le direzioni sono cittadini europei, immigrati di seconda generazione, figli di chi è arrivato negli Anni 60 o 70 da Africa e Asia. Per formazione, lingua e passaporti sono simili agli altri europei. Ciò garantisce facile accesso a più rotte che passano soprattutto, ma non solo, per la Turchia. Nel 2014 l’integrazione accelera fra prime linee jihadiste in Medio Oriente-Nordafrica e retrovie in Europa, consentendo ai terroristi di muoversi - e colpire - con crescente facilità ad entrambi gli estremi dell’autostrada del terrore.
Le cellule europee
Ciò porta l’Europa a scoprire dozzine di storie come quelle di Asqa Mahmood, 20enne scozzese che guida le guardiane dei bordelli di Raqqa per i miliziani di Isis, di Mickael Dos Santos, 22enne parigino che parte per la Siria lasciando ai genitori un biglietto «Convertitevi all’Islam e vivrete meglio», e di Hayat Boumeddiene, 26enne pistolera francoalgerina moglie di Amedy Coulibaly autore della strage nell’Hyper Cacher. Ed è solo la punta dell’iceberg perché le unità dell’antiterrorismo Ue guidato da Gilles de Kerchove ritengono che in Europa potrebbero esservi anche le cellule digitali che confezionano video e immagini di «Al Hayat» e «Al Furqan»: i centri di produzione dello Stato Islamico capaci di mettere online prodotti hi-tech, brutali ma altamente qualificati, assai difficili da realizzare a Mosul o Raqqa. Circa tremila jihadisti su una popolazione complessiva di quasi 20 milioni di musulmani europei è una percentuale assai bassa, che evidenzia come l’estremismo non coincide con l’Islam in sé, ma implica la più estesa minaccia armata mai esistita nell’Ue. Tanto più pericolosa perché invisibile, composta da cittadini qualsiasi.
Per inviare la propria opinione alla Stampa, telefonare 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante