Riprendiamo da SHALOM di gennaio 2015, a pag. 15, con il titolo "Una fuga silenziosa", l'analisi di David Meghnagi.
David Meghnagi
Ebrei profughi dai paesi arabi vengono accolti in Israele
Sono nato e cresciuto in un paese arabo che ho lasciato per sempre dopo un sanguinoso pogrom, il terzo nella storia della mia famiglia in poco più di vent'anni. Lungo l'arco di due decenni, centinaia di migliaia di ebrei hanno forzatamente abbandonato le loro case e i loro averi in ogni area del mondo arabo e islamico. Le minoranze ebraiche non avevano partecipato alla guerra di distruzione scatenata dagli eserciti della Lega araba contro il nascente Stato di Israele e non costituivano un pericolo per nessuno. La loro fuga fu silenziosa, ignorata dalla stampa internazionale. Spariti gli ebrei dal mondo arabo, è toccato ai resti delle antiche civiltà che avevano popolato il Vicino Oriente prima delle invasioni arabe. La centralità della Shoah nel dibattito sulla legittimità dell'esistenza di Israele ha fatto sì che la memoria delle sofferenze degli ebrei del mondo arabo fosse occultata per lungo tempo agli occhi anche degli israeliani. Solo di recente in Israele e nelle comunità ebraiche del mondo, è stata compresa l'enorme valenza simbolica dell'esodo ebraico dal mondo arabo, per controbattere le false equazioni che fanno da sfondo a un nuovo antisemitismo.
Profughi ebrei dai paesi arabi: i numeri
I profughi ci sono stati da entrambe le parti con una differenza. Nel caso degli ebrei si trattava di comunità indifese e lontane dal teatro di guerra, mentre i palestinesi erano componente attiva di una guerra voluta dal mondo arabo. Gli abitati ebraici caduti in mano agli eserciti arabi vennero cancellati dalla faccia della terra, le persone furono uccise, messe in fuga, o fatte prigioniere. All'interno di Israele una parte consistente della popolazione araba è rimasta o è potuta tornare alle sue case. La società israeliana ha accolto i suoi esuli con una tensione morale incomparabilmente alta. L'arrivo degli immigrati fu considerato un valore in sé oltre che una necessità per non soccombere alla sfida demografica. Pur con le difficoltà dei primi anni, la vita nelle baracche e un senso d'insoddisfazione e di alienazione venuto a galla nei decenni successivi, gli ebrei di origine afroasiatica furono considerati e si consideravano parte di un processo di rinascita nazionale e di riscatto dopo secoli di umiliazioni. Diversa è la situazione alla quale sono andati incontro i palestinesi. Per una scelta politica degli Stati arabi, la loro condizione di profughi divenne ontologica. Anche se il mondo arabo era immenso e lo spostamento era stato in alcuni casi limitato a qualche chilometro dagli antichi villaggi, l'idea di una loro integrazione nei paesi arabi circostanti o lontani fu violentemente osteggiata. Il verdetto religioso e nazionalista era ineluttabile: la creazione di una patria ebraica nel cuore della nazione araba e dell'umma islamica era una violazione degli ordinamenti divini e terreni. Chi avesse tentato un accordo, era un traditore da eliminare.
Una colonna di ebrei in cacciati dalle proprie case nei paesi arabi. Molti troveranno rifugio in Israele, altri in Francia, Stati Uniti e altri paesi europei
Aver considerato l'esistenza di Israele un'onta che poteva essere lavata solo tornando allo status quo ante, è stata la grande colpa morale e politica del nazionalismo arabo, il segno di un'immaturità politica, l'origine di un fallimento più generale. La questione dei profughi poteva essere vista come uno dei tanti dolorosi scambi fra popolazioni avvenuti dopo la Seconda guerra mondiale. Come è del resto accaduto per le popolazioni tedesche in Polonia, per le popolazioni greche e turche nella guerra fra turchi e greci, per gli indù e i musulmani al momento dell'indipendenza del Pakistan e dell'India. O per l'Italia, con i profughi dall'Istria trasformati per decenni in fantasmi, privati di uno spazio condiviso per il dolore.
Demonizzando Israele, le classi dirigenti arabe hanno evitato di fare i conti con due fatti per loro psicologicamente inquietanti. A vincere nelle guerre che hanno scandito periodicamente la recente storia del Vicino Oriente, non erano stati gli eserciti coloniali e imperiali. Una buona metà dei soldati che travolsero le armate egiziane, siriane e giordane nella guerra del giugno 1967 era composta dai figli delle mellah e delle hara, oggetto di disprezzo e di umiliazioni, considerati dalla cultura araba "inadatti" alla guerra, che potevano al più aspirare a essere «protetti » in cambio di un atto di sottomissione. Non essere riusciti a «risolvere» il problema israeliano con i «metodi» adottati dai turchi contro gli armeni quarant'anni prima, era la fonte di "un'infelicità" che nel delirio ha finito per trasformare i crimini tentati in «olocausti subiti». Fin quando fu possibile spiegare l'umiliazione del 1948 con la corruzione e il tradimento delle vecchie classi dirigenti, e quella del 1956 con l'aggressione congiunta israeliana e anglo-francese, l'autoinganno poté conservare una parvenza di realtà. La ferita narcisistica diventava più sopportabile, l'onore arabo rinnovato dalla promessa che in futuro le cose sarebbero andate diversamente. Quando alla prova dei fatti, nella guerra del 1967, gli eserciti arabi uscirono sconfitti in pochi giorni, la fuga dalla realtà fu completa. Israele diventò l'incarnazione del male.
La campana a morte per i regimi nazionalisti fu ritardata dal sostegno massiccio profuso dall'Unione Sovietica nel rimettere in piedi l'esercito egiziano e siriano dopo la sconfitta del 1967, e nel sostegno dato al conflitto del 1973 attraverso il quale l'Egitto riconquistò «l'onore perduto». La crisi del nazionalismo panarabo spianava la strada al fondamentalismo e alla rilettura del conflitto arabo-israeliano nei termini di uno scontro più vasto fra l'Occidente cristiano e l'Islam, con Israele nel ruolo di «Stato crociato» e di «piccolo Satana» al servizio del «grande Satana». Nella logica islamista la jihad dei palestinesi «non riguarda solo i palestinesi ma tutto l'Islam». «L'onta della Naqba», un'idea che nel mondo arabo si afferma dopo la Prima guerra mondiale in risposta alle spartizioni coloniali europee, è assurta a simbolo di una sequenza più ampia che conduce a ritroso agli albori della civiltà islamica. In questa logica perversa e criminale, che salda l'antisemitismo più antico con quello più recente, lo stato nato per offrire un rifugio agli ebrei, diventa "l'ebreo degli Stati".
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