Riprendiamo da SHALOM di gennaio 2015, a pag. 9, con il titolo "Yom Kippur: per l'Onu non è una festività religiosa", l'analisi di Alessandra Farkas.
Alessandra Farkas
Yom Kippur festa ufficiale delle Nazioni Unite? L’idea, a dir poco temeraria in un’organizzazione che, a detta del suo ex Segretario Generale Kofi Annan, “è al servizio di tutti tranne che degli ebrei”, è partita lo scorso maggio dall’ambasciatore israeliano all’Onu Ron Prosor. “Delle tre religioni monoteiste, soltanto due sono riconosciute dal calendario dell’Onu”, ha scritto Prosor in una lettera indirizzata agli ambasciatori dei 193 stati membri. “Questa discriminazione”, ha aggiunto, “deve finire”.
Delle 10 festività ufficiali oggi riconosciute al Palazzo di Vetro, sei sono ricorrenze federali americane, quattro sono feste religiose. Di queste, due le cristiane (Natale e Venerdì Santo) e due quelle mussulmane (Eid al-Fitr e Eid al-Adh). Inserite nel 1998, queste ultime, in seguito ad una risoluzione dell’Assemblea Generale: lo stesso organo chiamato a legiferare in merito allo Yom Kippur. Ma mentre tutti gli uffici Onu rimangono chiusi e i lavori si fermano durante queste quattro ricorrenze religiose, lo stesso non accade per il giorno più solenne del calendario ebraico. Anzi, quasi tutti gli anni esaso coincide con l’avvio dei lavori dell’Assemblea Generale, quando i leader mondiali convergono a New York, costringendo delegati e funzionari ebrei a dover scegliere tra obblighi professionali, fede e famiglia.
“Crediamo che il calendario delle Nazioni Unite debba riflettere i suoi principi ispiratori di coesistenza, giustizia e rispetto reciproco”, ha tuonato Prosor, “è ora che i numerosissimi dipendenti ebrei dell’Onu non siano più obbligati a lavorare a Yom Kippur”. “Milioni di ebrei che vivono in oltre 120 paesi del pianeta”, ha aggiunto, “si sentirebbero finalmente benvenuti nella grande famiglia delle nazioni”. Per Yoram Goren, primo segretario della missione israeliana all’Onu incaricato del dossier, “si tratta di un tema squisitamente di natura religioso-culturale”. “Israele e la politica qui non c’entrano affatto”, assicura, definendo la mobilitazione “una questione che può colmare le distanze e avvicinare le parti perché Yom Kippur si appella ai valori universali di riconciliazione, perdono e tolleranza”.
In un appello pubblicato a fine agosto, il New York Times ha fatto sua la causa, invitando l’Onu alla coerenza: “non scordiamoci che il suo emblema mostra il pianeta unito nell’abbraccio di due ramoscelli d’olivo”, ha sottolineato, “mentre il suo statuto afferma, almeno sulla carta, uguali diritti per tutte le nazioni grandi e piccole”.
Il mese prima, mentre infuriava la guerra di Gaza e le proteste globali contro Israele infuocavano le piazze, 32 ambasciatori di altrettanti paesi (tra cui Argentina, Uruguay, Canada, Etiopia, Ruanda e Guatemala) hanno inviato senza troppa fanfara una lettera all’Assemblea Generale dell’Onu, esortandola a riconoscere Yom Kippur tra le feste ufficiali dell’organizzazione. All’appello mancava l’Italia, solidale con le cancellerie degli altri paesi UE. “La proposta è all’attenzione della Quinta Commissione dell’Assemblea Generale che si occupa delle questioni budgetarie-finanziarie del sistema ONU, e l’Italia partecipa al negoziato all’interno del gruppo dei 28 dell’Unione Europea”, spiega il Consigliere dell’Ambasciata italiana Giovanni Davoli. “Oltre allo Yom Kippur, sono all’esame altre 3 proposte di nuove festività ONU. Non siamo contrari a nessuna delle 4 proposte”, precisa Davoli, “tuttavia, insieme ai partner della UE, riteniamo che sarà comunque necessario mantenere l’attuale numero di 10 festività previste per il sistema ONU nel corso dell’anno solare”.
Quindi se entra lo Yom Kippur deve uscire qualche altra festività? “L’Unione Europea non propone l’esclusione di nessuna ricorrenza in particolare”, ribatte il funzionario italiano, “negoziamo con spirito aperto e speriamo di trovare una soluzione accettabile per tutti”. L’equilibrismo – o meglio l’ambiguità - dell’Unione Europea non sorprende i leader delle organizzazioni ebraiche americane, che da anni denunciano l’accanimento anti-ebraico e anti-israeliano delle Nazioni Unite.
“Data la tradizionale ostilità dell’Onu contro Israele e l’aumento dell’antisemitismo e degli sforzi per delegittimare lo stato ebraico”, punta il dito Malcolm Hoenlein, capo della importante Conference of Presidents of Major American Jewish Organizations, “riconoscere Yom Kippur sarebbe un passo nella direzione giusta”. “Il verdetto finale dell’assemblea generale sarà la vera cartina al tornasole di come l’Onu vede i suoi ebrei”, gli fa eco Daniel S. Mariaschin, vicepresidente esecutivo della B’nai B’rith International. La maggior parte dei quali, va ricordato, non ha certo in tasca un passaporto israeliano.
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