27 gennaio: 3 miti da sfatare
Commento di Dario Sanchez
Yad Vashem, il Memoriale della Shoah a Gerusalemme
Come di consueto, il 27 gennaio, l’Europa e il mondo libero commemorano i milioni di uomini, donne e bambini vittime della persecuzione nazista e tra loro la madre mio nonno e i parenti di mia nonna. Ricorderanno con discorsi elevati e pieni di pathos gli ebrei morti, che, viste le politiche di boicottaggio dell’economia israeliana e di sostegno alle mosse unilaterali di Abu Mazen, evidentemente continuano a preferire agli ebrei vivi. Si laveranno la coscienza, diranno a se stessi che non sono antisemiti.
Qualcuno, più a destra, arriverà a negare come di consueto l’orrore dei campi di sterminio, e si sperticherà in teorie revisioniste e negazioniste. In ogni caso, tutti assieme - da sinistra a destra - domani torneranno a sparare a zero con le parole e coi fatti contro lo Stato degli ebrei, cioè l’unico Paese che per il semplice fatto di esserci eviterà in futuro che ci siano nuove Shoah.
Bene, cominciamo con lo sfatare alcuni miti. Prima di tutto, il 27 gennaio - giorno della liberazione da parte dell’Armata Rossa del campo di sterminio di Aushwitz - nasce per volontà europea e americana come giorno di riflessione e studio della Shoah, e ha lo scopo di ricordare cosa alcuni nonni sono stati in grado di fare contro dei civili inermi nel nome di una ideologia malata e cosa altri nonni hanno fatto, a loro rischio e pericolo, per salvare alcuni di quei civili da orrori indicibili.
Gli ebrei non hanno bisogno di una giornata per “ricordare”, i nostri cari che non abbiamo mai potuto conoscere se non attraverso i racconti dei sopravvissuti li ricordiamo tutti i giorni al pari di quegli uomini che fecero di tutto per salvarli: il loro sacrificio non si esaurisce in una giornata sempre più segnata dall’ipocrisia ma vive nell’impegno quotidiano degli ebrei che combattono il negazionismo e di tutti i giovani israeliani arruolati nel nostro esercito con un solo imperativo, “mai più”.
Israele: un argine contro l'antisemitismo
Passando ad Israele - mi spiace per gli antisionisti - ma Shoah o non Shoah sarebbe nata lo stesso. Facile e comodo credere che si tratti di un “regalino" fatto agli ebrei dall’Europa ai danni del mondo arabo come forma di compensazione per gli orrori della Shoah, più difficile e scabroso ammettere l’esistenza di un movimento ebraico di liberazione nazionale che fin dai primi anni del ‘900 si batteva per l’indipendenza della sua terra ancestrale dal dominio coloniale ottomano prima e britannico poi: sono stati i sacrifici e i fucili di terza mano dei primi sabra e dei sopravvissuti ai campi a renderci liberi nella nostra terra, non la pietà degli europei, che non c’è mai stata se non nelle parole e nei proclami.
E adesso passiamo all’accusa più infamante, “l’olocausto palestinese”, la vittima che si fa carnefice. Mi riesce difficile che qualcuno possa davvero credere a queste fandonie. Ma tant’è: i nazisti moderni a quanto pare amano sventolare la bandiera rossa. Tuttavia, non voglio parlarvi di storia: è più che nota la collaborazione che le autorità palestinesi sia civili sia religiose fornirono ai nazisti e di quanto ansiosamente aspettassero Rommel e le sue armate per dare il via anche nel Mandato Britannico alla “soluzione finale”; così come è noto che Hitler e il Gran Muftì di Gerusalemme Hussein avessero una amicizia personale; che molti furono i giovani arabi del mandato inquadrati da quest’ultimo volontari nelle SS; che persino la bandiera palestinese che ancora oggi sventola fu una invenzione nazista per dare una identità nazionale a delle tribù arabe che fino ad allora non si sognavano neppure di averla.
Avete mai sentito parlare di Mohammed Dajani? Vi vengo in aiuto, è uno storico palestinese, cittadino dell’ANP, ex docente all’università di Al Quds, sancta sanctorum del movimento terrorista Al-Fatah, di cui tra l’altro è (era?) membro. L’ormai ex professor Dajani, antisionista al pari di molti suoi compagni, ha commesso un reato che nei territori amministrati dal satrapo Abu Mazen si paga con l’accusa di tradimento e collaborazionismo… Cos’ha fatto di così grave questo pezzo da novanta del terrorismo, espulso da Israele per 25 anni per le sue attività terroriste al confine con il Libano? Ha portato 30 dei suoi studenti in visita al campo di Auschwitz-Birkenau, un luogo che secondo la propaganda palestinese, negazionista fino al midollo, è un invenzione, così come vorrebbero che tutto l'ebraismo e la sua storia fosse. Il “buon" Dejani è relativamente fortunato: le povere vittime di noi nazisti israeliani finora si sono limitate a cacciarlo dall’università, a riempirgli la cassetta delle lettere di minacce di morte e a bruciargli la macchina qualche giorno fa. Cosa ne è stato dei suoi studenti non è dato sapere. Ricordatevi anche di lui oggi.
Dario Sanchez