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La Stampa Rassegna Stampa
27.01.2015 27 gennaio: il ricordo sia viatico per la lotta al rinascente antisemitismo
Cronaca e commento di Maurizio Molinari, Umberto Gentiloni

Testata: La Stampa
Data: 27 gennaio 2015
Pagina: 12
Autore: Maurizio Molinari - Umberto Gentiloni
Titolo: «Ucraina, Putin e antisemitismo: il mondo si divide ad Auschwitz - Così il lavoro degli storici ha misurato il male assoluto»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 27/01/2015, a pag. 12, con il titolo "Ucraina, Putin e antisemitismo: il mondo si divide ad Auschwitz", il commento di Maurizio Molinari; a pag. 13, con il titolo "Così il lavoro degli storici ha misurato il male assoluto", la cronaca di Umberto Gentiloni.

Ecco gli articoli:


Auschwitz

Maurizio Molinari: "Ucraina, Putin e antisemitismo: il mondo si divide ad Auschwitz"


Maurizio Molinari

Le celebrazioni per i 70 anni della liberazione di Auschwitz si svolgono oggi con una solenne cerimonia nell’ex lager nazista segnata dalle polemiche: in Europa per gli attriti sull’Ucraina, in Israele per il dilagare dell’antisemitismo islamico nel Vecchio Continente ed in Argentina per l’ipotesi di «cover up» governativo sul sanguinoso attentato anti-ebraico del 1994.

La lite fra europei
Fra i capi di Stati e di governo inviati alla cerimonia odierna, assieme a cento sopravvissuti, manca il russo Vladimir Putin, nonostante il fatto che proprio i soldati dell’Armata Rossa aprirono i cancelli del lager. Il governo polacco non ha voluto il leader del Cremlino in segno di protesta per «l’aggressione all’Ucraina» e Varsavia, con il ministro degli Esteri Grzegorz Schetyna, si è spinta fino a contestare la paternità della liberazione affermando che «furono le truppe ucraine a liberare il lager». E Kiev ha rincarato la dose: «La maggioranza dei soldati che aprirono i cancelli erano ucraini». La risposta del ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, è stata fra Storia e politica: «Tutti sanno che a liberare Auschwitz fu l’Armata Rossa, composta da soldati di più etnie, sfruttare il lager a fini nazionalisti è molto cinico». Le polemiche divampano a livello di storici perché, da Varsavia e Gerusalemme, sono molti a rimproverare all’Urss di aver taciuto sulla liberazione di Auschwitz fino al termine del conflitto e di aver celato, per quasi mezzo secolo, che la maggior parte delle vittime erano ebrei. Se a ciò si aggiunge che la tv russa accusa Kiev di «neonazismo» è facile comprendere perché le lacerazioni inter-europee sono tali da incrinare la solidarietà collettiva del ricordo delle vittime.

Nuovo antisemitismo
In Israele la Giornata si svolge all’insegna della fuga degli ebrei dalla Francia che ripropone l’incubo su un Vecchio Continente incapace di immunizzarsi dall’antisemitismo. Un rapporto in proposito, pubblicato dal ministero per gli Affari della Diaspora e realizzato dal «Forum per il coordinamento contro l’antisemitismo», sottolinea come nel 2014 vi è stato «un aumento del 400 per cento di incidenti antiebraici» dovuto in gran parte a gruppi arabo-musulmani che in Europa hanno sfruttato il conflitto a Gaza per lanciare ogni sorta di attacchi ed aggressioni.
In tale cornice «è la Francia la nazione dove oggi è più pericoloso essere ebrei» recita il rapporto, attestando un aumento del 100 per cento degli «attacchi razzisti»: da aggressioni con coltelli a bottiglie molotov, da stupri a danneggiamenti alle proprietà fino alla strage al minimarket kosher parigino. «È l’antisemitismo di matrice islamica a generare la maggior parte degli incidenti antisemiti - aggiunge il rapporto - che avvengono in Paesi occidentali dove vivono numerose comunità di musulmani».

Boicottaggio in Argentina
La comunità ebraica argentina ha deciso di boicottare le cerimonie della «Giornata della Memoria» in segno di protesta contro il governo di Cristina Kirchner per essersi affrettata a definire «un suicidio» la morte di Alberto Nisman, il procuratore che indagava sull’attentato antiebraico del 1994 che fece 85 vittime a Buenos Aires, ipotizzando un accordo segreto fra Argentina e Iran per coprire le responsabilità di agenti di Teheran in cambio di vantaggiose intese energetiche.

Il messaggio di Rivlin
Il presidente israeliano Ruben Rivlin parla oggi all’Onu tentando di guardare oltre tali polemiche e lacerazioni. Incontrando ieri a Brooklyn i leader della comunità afroamericana, Rivlin ha anticipato il proprio messaggio: «Bisogna fare nostre le parole di Martin Luther King: chi difende i diritti di alcuni si batte per la difesa dei diritti di tutti».

Umberto Gentiloni:  "Così il lavoro degli storici ha misurato il male assoluto"


Umberto Gentiloni


L'ingresso di Auschwitz - Birkenau

Il 27 gennaio di settant’anni fa era un sabato. Nel tardo pomeriggio le truppe sovietiche varcano i cancelli di Auschwitz. Sono gli avamposti della LX Armata del primo fronte ucraino ad arrivare per primi. L’impatto è sconvolgente: cumuli di cadaveri semi-coperti dalla neve e dal fango. I prigionieri vengono invitati a rientrare nelle baracche.

L’arrivo dei sovietici
«Eravamo in silenzio, muti e immobili», ricorda Piero Terracina, che era nel lager dal maggio 1944. «Ho bene in mente l’incontro con un soldato russo. Era solo, in un piccolo vialetto, coperto da un grande cappotto chiaro. Mi fece un cenno e un sorriso. Ma nessuno aveva voglia di festeggiare o gioire. Eravamo in piedi a fatica, avevamo perso tutto e tutti. Ricordo lo sguardo del soldato e quando arrivarono i suoi compagni qualcuno piangeva vedendo dove il destino li aveva condotti. Tornai nella baracca e dissi che erano arrivati i russi, i nazisti erano andati via. I miei compagni di prigionia mi guardarono in silenzio, increduli». Una liberazione sofferta. Circa settemila prigionieri erano ancora in vita, rimasti nel perimetro dei campi principali (Auschwitz I, Birkenau, Monowitz) in condizioni precarie, molti di loro non riuscivano a camminare e i più deboli non si resero conto dell’avvenimento che stavano vivendo.


Gli ebrei assassinati nella Shoah per paese di origine

Vestiti, denti, capelli
I liberatori non ci misero molto a comprendere cosa fosse avvenuto in quel grande spazio. Trovarono oltre 370 mila vestiti da uomo, 837 mila mantelli da donna, enormi quantità di abiti da bambino, tappeti (oltre 14 mila), protesi, spazzolini da denti, cataste di occhiali, quasi 45 mila paia di scarpe e quasi 8 tonnellate di capelli imballati e pronti al trasporto. Le ultime tracce di chi era passato da quel luogo. Cifre divergenti oscillarono per molto tempo tra un minimo di mezzo milione e un massimo di sei milioni di vittime per il solo sistema concentrazionario di Auschwitz. Oggi sappiamo, possiamo spiegare e documentare gli aspetti consolidati di un giudizio sugli effetti della soluzione finale.

Stime sempre più precise
Cifre che riflettono il lavoro di generazioni di studiosi in diversi angoli del pianeta. I calcoli condivisi e verificati sono attestati su almeno un milione e centomila senza escludere la possibilità di arrivare a un massimo di un milione e mezzo di vittime nel sistema facente capo al campo di Auschwitz, una cifra che corrisponde a un quarto degli ebrei uccisi dai nazisti durante gli anni del secondo conflitto mondiale. E anche sul totale, il computo si è consolidato in un delta di oscillazione tra i 5 e i 6 milioni, tra 5 milioni e 300 mila come soglia minima e 6 milioni e cento come limite massimo.
Le somme non sono solo un numero che indica una stima, un punto di riferimento. Sono anche la misura del dolore, dell’assenza di vite e storie, della responsabilità di aver cancellato un pezzo d’Europa, strappato tessuti familiari, relazioni sociali, mondi culturalmente rilevanti.

Ottomila ebrei italiani
Lasciamo parlare le cifre. Il 90 per cento degli assassinati ad Auschwitz erano ebrei: 960 mila, una grande città italiana. Dall’Ungheria il nucleo più consistente, 438 mila; 300 mila dalla Polonia, poco meno di 70 mila dalla Francia, 60 mila circa dai Paesi Bassi, 55 mila dalla Grecia, 46 mila da Boemia e Moravia, 27 mila dalla Slovacchia, 25 mila dal Belgio, 10 mila dalla Croazia, 8 mila dall’Italia (compresa l’isola di Rodi), 6 mila dalla Bielorussia, 1600 dall’Austria, 700 dalla Norvegia, 23 mila dalle antiche province del Reich.
In meno di un decennio tra il 1983 e l’inizio degli Anni Novanta del secolo scorso i conteggi hanno cominciato a coincidere, le fonti hanno permesso di consolidare le ipotesi di partenza e di correggere le comunicazioni e le notizie circolate all’indomani della fine della guerra. La stele del monumento alla memoria sul suolo di Auschwitz aveva mantenuto la cifra dei 4 milioni proposta da una commissione a fine conflitto. Nell’ultimo scorcio di Novecento venne modificata per accogliere il risultato della ricerca storica.

Prove contro i negazionisti
Un cammino anche questo prezioso e difficile: offrire al mondo la dimensione del crimine, le prove anche per chi tentava di minimizzare o negare l’evidenza. Come ha scritto nel 2004 una storica tedesca come Sybille Steinbacher («Auschwitz. La città, il lager») «la discussione sui numeri non implica minimamente una relativizzazione dei crimini commessi, e conferma in ogni caso l’importanza centrale che il complesso di Auschwitz-Birkenau ebbe nella politica nazionalsocialista di sterminio».

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