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Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


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La Stampa-Il Foglio-Corriere della Sera Rassegna Stampa
24.01.2015 Arabia Saudita: dopo la morte del re
Cronache e commenti di Maurizio Molinari, Carlo Panella, Viviana Mazza

Testata:La Stampa-Il Foglio-Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari-Carlo Panella-Viviana Mazza
Titolo: «Salman, il nuovo re dell'Arabia stretto fra i nemici Iran e jihad-Dopo Abdullah-Il buco nero dei diritti umani»

Riprendiamo oggi, 24/01/2015, dalla STAMPA a pag.15, dal FOGLIO a pag.4, dal CORRIERE della SERA a pag.18, cronache e commenti sull'Arabia Saudita dopo la morte del re Abdullah.

La Stampa-Maurizio Molinari: " Salman, il nuovo re dell'Arabia stretto fra i nemici Iran e jihad "


Maurizio Molinari

La morte del novantenne re Abdullah porta alla guida dell’Arabia Saudita il fratello Salman bin Abdul Aziz Al Saud, 79 anni, che nelle prime ore di regno compie gesti e pronuncia messaggi rivelatori delle proprie intenzioni: consolidare la monarchia e rafforzare la coesione fra sunniti per sfidare gli avversari, jihadisti e iraniani, suggellando il ruolo di Riad come maggiore potenza regionale in Medio Oriente, con ambizioni globali. La sfida ai jihadisti La prima decisione di Salman riguarda la linea di successione. Il suo erede, nuovo principe ereditario, già designato da Abdullah è il fratello Muqrin, 69 anni, che però non fa parte dei «Sudahiri Seven», i sette figli avuti dal fondatore Abdulaziz con la moglie preferita.A Salman spetta la decisione di indicare il successore di Muqrin, vice principe ereditario. Ed è una svolta storica per l’Arabia in quanto si tratta, per la prima volta, di un esponente della seconda generazione, scegliendo fra i nipoti del fondatore. Salman indica Mohammed bin Nayef, 55 anni, ministro dell’Interno, nemico giurato dei jihadisti. Nel 2009 Anwar al Awlaki, leader di Al Qaeda in Yemen, tenta di eliminarlo inviandogli un reporter- kamikaze con una bomba miniaturizzata nel retto: bin Nayef sopravvive all’esplosione e da quel momento bracca ogni gruppo fondamentalista, dai Fratelli musulmani a Isis. Diventando la bestia nera dei jihadisti. Promettergli la corona significa far capire che Riad si prepara a un lungo conflitto. Potenza regionale Il secondo gesto del nuovo sovrano, ministro della Difesa uscente, è un messaggio ai 30 milioni di sudditi come ai leader della regione che pronuncia in tv: «Continueremo ad aderire alle giuste politiche seguite sin dalla creazione del regno» perseguendo «maggiori coesione e solidarietà nelle nazioni araba e islamica ». Ciò significa che sul fronte interno Salman - noto per carattere moderato e capacità nel trattare - è disposto a riforme ma senza snaturare il regno wahhabita mentre in ambito regionale ha l’ambizione di rendere «più coesi i sunniti » e tentare di gettare un ponte verso gli sciiti, ovvero implicitamente l’Iran. La volontà di rafforzare il fronte sunnita è la chiave di un’idea di leadership regionale che si riflette nei gesti che arrivano dalle altre capitali arabe: Abdel Fattah Al-Sisi dichiara una settimana di lutto in Egitto e gli Emiri del Golfo sbarcano in fretta a Riad per partecipare alle esequie, veloci ed essenziali come l’Islam prevede per ogni fedele, sovrani inclusi. Saranno i prossimi mesi a dire se tale leadership sunnita porterà Riad ad alzare il profilo sui due conflitti in corso: per rovesciare Bashar al Assad in Siria e smantellare lo Stato Islamico del Califfo Abu Bakr al Baghdadi con la coalizione arabo-occidentale che proprio Salman ha contribuito a edificare. Continuità sulgreggio L’apertura agli sciiti non implica concessioni strategiche all’Iran. Salman è stato negli ultimi anni uno dei più dichiarati oppositori del programma nucleare iraniano - portando tale messaggio da Washington a New Delhi, da Mosca a Pechino - e nel discorso alla nazione parlando di «continuità» intende anche il prezzo basso del greggio che mette l’Iran in difficoltà finanziarie. «Non ci saranno cambiamenti sul greggio né all’Opec » prevede Sadad al- Husseini, ex vicepresidente del gigante energetico Saudi Aramco, lasciando intendere che la sfida a Teheran continuerà con l’intento di far retrocedere l’Iran ovunque avanza: dalla Siria allo Yemen. Ma l’apertura agli sciiti resta e ciò suggerisce che forse proprio dallo Yemen nelle mani degli Houthi, Salman tenterà di siglare intese e compromessi con le minoranze sciite e forse anche con Teheran. Annunciovia Twitter A suggerire l’intenzione di Salman di sorprendere alleati e rivali c’è il twitter di 140 caratteri con cui lui stesso annuncia la successione. «Chiedo ad Allah di darmi il successo nel servire Salman, ilnuovo redell’Arabia stretto fra inemici Irane jihad Morto il novantenneAbdullah, sale al trono il fratello di undici anni più giovane Con gli stessi obiettivi: controllare gli sciiti, battere l’Isis, restare arbitro del petrolio il mio popolo e realizzarne speranze » scrive il re, innescando una pioggia di migliaia di messaggi sui social network che riflette l’attesa da parte della metà di cittadini che ha meno di 25 anni. Il tributodegli alleati storici Intraprendenza e ambizioni di Salman sono anzitutto un messaggio a Washington sulla volontà di accelerare lo smarcamento dalla dipendenza politica Usa cercando un ruolo più attivo. Il presidente Barack Obama sembra comprendere l’atmosfera quando rende omaggio allo scomparso Abdullah definendolo «uomo dalle forti convinzioni», che spesso gli espose di persona con toni di estrema franchezza contestando le scelte Usa sull’Iran. Fra l’omaggio di presidenti, sovrani e capi di Stato spicca l’arrivo a Riad di Erdogan, il presidente turco sostenitore dei Fratelli musulmani invisi a Salman. Ma a svelare ancora di più cosa cova in Medio Oriente è Marc Schneier, il rabbino di New York, che svela l’amicizia a lungo segreta con lo scomparso Abdullah plaudendo al suo «ruolo» nel dialogo interreligioso e nel tentativo di comporre «non solo il conflitto israelo-palestinese ma anche quello arabo- israeliano». Ovvero, nell’eredità di Abdullah c’è anche l’intesa fra sunniti e Israele

Il Foglio-Carlo Panella: " Dopo Abdullah"

Carlo Panella

 Re Abdullah è stato sepolto col rito che esalta l'ipocrisia e la doppiezza del regno wahabita. Lui, che ha sempre vissuto in palazzi letteralmente ricoperti d'oro, che ha passato scandalose vacanze in Costa Azzurra su yacht multimiliardari, è ritornato alla nuda terra avvolto in un semplice, misero lenzuolo. Durante la cerimonia funebre, i mille e mille principi della Casa reale che gli hanno reso omaggio avevano in mente la stessa domanda: "Quanto vivrà il nuovo re Salman?". Domanda lecita, perché ha 79 anni, è malato di Alzheimer e prima di lui nell'arco di tre anni sono morti due eredi designati: Sultan e Najaf. Domanda cruciale, perché la grande debolezze del regno saudita è proprio l'età avanzata, avanzatissima, dei figli del fondatore del regno, Abdulaziz ibn Saud. L'erede designato del nuovo re Salman è Muqrin, 70 anni, ultimo figlio vivente del fondatore. Dunque, una volta esaurita la possibilità di passare il trono di fratello in fratello, non sarà più possibile mantenere l'equilibrio. Il primo nipote di Abdulaziz ibn Saud che diventerà re dovrà per forza di cose imporre un criterio diverso, di discendenza diretta, perché non sarà più possibile trovare un equilibrio tra le centinaia di nipoti che ambiscono al trono. Con la morte di re Abdullah, dunque, la questione dinastica saudita si avvicina alla sua implosione drammatica. Con un'aggravante, re Abdullah, in vita, ha fatto un passo decisivo a scapito dei figli dei fratelli: ha nominato suo figlio Mitaeb, 62 anni - un ragazzino per i parametri sauditi - a capo della Guardia nazionale. Carica determinante: è infatti l'unico esercito di terra - ma ha reparti di aria e di mare - con grandi capacità operative. L'esercito saudita non ha praticamente mai sparato un colpo - neanche contro Israele - tranne che sotto la protezione delle forze americane nel 1991 e nella sciagurata guerra dello Yemen degli anni 60. Chi controlla la Guardia nazionale saudita, dunque, controlla materialmente tutto il ciclo del petrolio, pozzi, raffinerie, porti e quindi il regno. Tutta la biografia di Abdullah, il suo immenso potere prima ancora di salire al trono, gli deriva proprio dalla nomina nel 1963 a capo della Guardia nazionale. Fu lui, in prima persona, minacciando di scatenarla, a deporre l'imbelle fratello Saud e ad assegnare il regno prima al fratello Faisal (ucciso da un nipote nel 1975) e poi al fratello Fahad. Il controllo della Guardia nazionale, ben più che di qualche ministero pur di prestigio, sarà quindi una carta determinante per Mitaeb per imporre quello che forse è stato l'ultimo disegno di re Abdullah: imporre sul trono i suoi discendenti. Per comprendere il contesto saudita, la irreale vischiosità senza tempo della corte di Riad, va ricordato che re Saud fu deposto dai fratelli, perché rifiutava persino che si tenesse una contabilità formale che separasse il suo patrimonio personale da quello dello stato. Questo era ed è il regno saudita: spese pazze e complotti da corte medievale, viziati dai petrodollari. E nei petrodollari va trovata la spiegazione dell'immagine che ha stupito il mondo: George W. Bush che passeggia per i prati di Camp David, mano nella mano, come fidanzatini, all'orientale, con re Abdullah, da poco succeduto a re Fahad, di cui per 12 anni era stato reggente. Simbolo non di una alleanza tra stati, di amicizia personale, ma di un legame di affari scandaloso tra la famiglia Bush e quella degli al Saud. Il nonno di George W. Bush, Prescott Bush, in raccordo con Foster e Allen Dulles, consulenti della Aramco, infatti, aveva impostato tutta la commercializzazione del petrolio saudita sin da quando aveva iniziato a sgorgare nel 1939, alla vigilia del critico passaggio dell'America da esportatrice a importatrice di petrolio. Gli al Saud gliene furono sempre grati e riuscirono anche a convincere Bush del contrario dell'evidenza: la loro ideologia wahabita era ed è il motore attivo del jihadismo qaidista, ma questo non indeboliva il loro contrasto al terrorismo. Il problema è che anche Barack Obama crede in questa fasulla doppia verità saudita.

Corriere della Sera-Viviana Mazza: " Il buco dei diritti umani tra decapitazioni e frustate, stessi metodi del Califfato"

Viviana Mazza

In un video diffuso online la scorsa settimana, e girato con un cellulare alla Mecca, si vede una donna in nero seduta sull'asfalto. Condannata a morte per l'omicidio della figliastra di 7 anni, la donna protesta la propria innocenza. «Non ho ucciso! Non ho ucciso!». Ma un boia vestito di bianco la colpisce al collo, per tre volte, con un spada che poi pulisce con un panno, mentre il cadavere viene portato via. La diffusione di quel filmato e la fustigazione pubblica (recentemente rimandata dopo gli appelli di Usa e Onu) del blogger Ralf Badawi, condannato a 1000 frustate per «offesa all'Islam», hanno portato nuova attenzione sull'interpretazione della sharia e l'applicazione della pena capitale in Arabia Saudita. All'indomani della morte di re Abdullah, Amnesty International ha condannato «l'assenza totale di diritti umano nel Paese, e ha denunciato un aumento degli arresti «di attivisti, blogger e di chiunque critichi la leadership politica e religiosa saudita», anche sui social network. Qualche giorno fa il sito web «Middle Fast Eye» ha pubblicato un confronto tra le pene inflitte dall'Isis in nome della legge islamica nei territori dell'autoproclamato «Califfato» e quelle corrispondenti applicate da Riad: in casi di blasfemia, omicidio, omosessualità è prevista la morte; l'adulterio è punito con la lapidazione se sposati, altrimenti con 100 frustate; l'amputazione è contemplata per i ladri, e così via. Anche se «l'applicazione effettiva di queste pene è in realtà diversa — riconosce lo stesso sito — poiché l'Arabia Saudita raramente, se mai, arriva a giustiziare per blasfemia o adulterio» e molto dipende dalla discrezionalità dei giudici, diversi studiosi notano il legame «teologico» basato sulla rigidissima interpretazione wahhabita dell'Islam. II paragone con la morte di giornalisti come James Foley è evocato dal direttore di Amnesty, Salil Shetty: «Critichiamo l'Isis, ma a Riad c'è un governo che ha effettuato più di 60 decapitazioni pubbliche negli ultimi mesi». Secondo «Human Rights Watch» le esecuzioni sono state 87 nel 2014 e 11 finora nel 2015, per crimini come stupro, omicidio, traffico di droga. Spesso si tratterebbe di decapitazioni, ma il governo tende a non pubblicizzarlo (e l'autore del video della Mecca è finito in manette). Nel frattempo il Paese fa parte della coalizione Usa contro l'Isis. La preoccupazione per l'ascesa del «Califfato» è genuina, come dimostra il muro di 600 miglia in costruzione lungo il confine con l'Iraq, dove tre guardie sono state di recente uccise. L'Isis, come già Al Qaeda (a partire dal saudita Bin Laden), disputa la legittimità, basata sulla religione, del potere della famiglia Al Saud. Ma l'atteggiamento dell'élite saudita — osserva tra gli altri l'ex agente dell'intelligence inglese Alastair Crooke — è ambivalente: alcuni appoggiano i miliziani sunniti perché combattono gli sciiti, altri ne hanno paura.

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