Chi aiuta gli islamisti nel Parlamento Italiano
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Le linee armistiziali del 1949 tra Israele, Cisgiordania (controllata dalla Giordania) e Gaza (controllata dall'Egitto).
Cari amici,
non se ne è accorto quasi nessuno, ma il Parlamento italiano, grazie alle pressioni del presidente della Camera Boldrini sta discutendo quattro mozioni sull'invenzione dello stato della “Palestina”. In realtà le mozioni in discussione parlando di “riconoscimento”, ma dato che lo “Stato di Palestina” non è palesemente uno stato esistente, non ha confini certi, popolazione sicura, non controlla il suo territorio, non riscuote le sue tasse, non ha una sua valuta eccetera, è difficile applicargli il verbo “riconoscere”, che secondo la Treccani significa “rendersi conto dell'identità di qualcuno o di qualcosa: [per esempio] saper r. una banconota falsa”, “considerare valido e operante, ammettere ufficialmente o apertamente: [per esempio] r. qualcuno come capo”, “fare atto di ammissione di qualcosa, anche seguito da proposizione oggettiva esplicita o implicita: [per esempio] riconosco di avere torto”. (http://www.treccani.it/vocabolario/riconoscere_(Sinonimi-e-Contrari)/).
Il Parlamento italiano
Insomma per riconoscere qualcuno bisogna che ci sia. E senza dubbio, ammesso che vi sia qualcosa come la “Palestina”, essa non ha oggi la natura dello Stato, perché non ne soddisfa i requisiti stabiliti dalla convenzione internazionale di Montevideo (http://it.wikipedia.org/wiki/Convenzione_di_Montevideo). Del resto anche Kerry, che certo non è amico di Israele, di fronte ai recenti sviluppi della guerriglia diplomatica dell'Autorità Palestinese lo ha ammesso: “La Palestina non soddisfa i requisiti di uno stato sovrano” (http://www.reuters.com/article/2015/01/07/us-palestinians-israel-un-usa-idUSKBN0KG1YL20150107 , http://www.timesofisrael.com/us-says-palestinians-inelegible-to-join-fcc/). Dunque quel che si discute al Parlamento non è il riconoscimento di qualcosa, che dovrebbe essere già lì, ma l'auspicio, diciamo così, della realizzazione di qualcosa che non c'è. E allora perché parlare proprio di “riconoscimento”? E' un gesto politico preciso. Negli anni Novanta, con gli accordi di Oslo, Israele e l'OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) si misero d'accordo per un processo di autonomia dei palestinesi che sarebbero stati governati dall'Autorità Palestinese. Da nessuna parte degli accordi si parlava di statualità; i territori dell'autonomia palestinese sarebbero stati negoziati in seguito. Questi negoziati avvennero, nonostante le ondate di terrorismo palestinese.
A partire dal 2003 Israele accettò (politicamente, non con un trattato vincolante) l'idea di “due popoli per due stati” e dunque dell'opportunità di un passaggio dall'autonomia alla statualità per gli arabi che vivono in Giudea e Samaria. In virtù degli accordi di Oslo che proibiscono ogni modifica dello status quo territoriale se non nel quadro di un consenso reciproco, la costruzione di uno stato di Palestina poteva essere solo la conclusione di trattative in cui si fossero risolte tutte le questioni aperte, si fossero stabiliti dei confini condivisi che nessuno si sognava fossero quelle linee armistiziali conquistate da Israele al termine della durissima resistenza all'aggressione di cinque eserciti arabi contro la sua nascita, linee che negli accordi di armistizio di Rodi del '49-'50 gli stessi paesi arabi vollero esplicitamente dichiarare che non costituivano confini internazionali (se non li avete letti, date un'occhiata e capirete che non ha senso parlare di “confini del '67: questo è quello con il Libano: http://unispal.un.org/UNISPAL.NSF/0/71260B776D62FA6E852564420059C4FE; questo con la Siria http://unispal.un.org/UNISPAL.NSF/0/E845CA0B92BE4E3485256442007901CC; e questo con la Giordania: http://unispal.un.org/UNISPAL.NSF/0/F03D55E48F77AB698525643B00608D34; in tutti e tre si esclude che si tratti di “confini” che possano pregiudicare diritti fra gli stati o aggiustamenti definitivi).
Dunque la trattativa è strettamente nell'interesse della parte araba. Israele può fare delle concessione sui territori che ha legittimamente conquistato quasi mezzo secolo fa in una guerra difensiva. Ma certamente non può rinunciare alla sua sicurezza, non può permettere che Gerusalemme sia strangolata di nuovo o che Tel Aviv e l'aeroporto internazionale Ben Gurion, il solo del paese, finiscano sotto il tiro anche di armi leggere, di lanciarazzi a spalla che qualunque terrorista può armare in pochi secondi e trasportare senza problemi. Non può consentire che truppe dell'Isis possano infiltrarsi lungo il Giordano. Non può certamente farlo finché i movimenti arabi (tutti, non solo Hamas) praticano e propagandano il terrorismo. Non può rinunciare al proprio diritto di autodifesa nelle città arabe dove si radunano le cellule terroriste. Non può certo spostare, come richiede Abbas, il 10 per cento della sua popolazione che si è legittimamente insediata nella zona C della Giudea e Samaria. Come Israele non richiede la pulizia etnica degli arabi israeliani, così non è possibile una pace che preveda la pulizia etnica degli ebrei dalla Giudea e Samaria.
Insomma, i temi in discussione sono molti ed essenziali, riguardando la capacità stessa di Israele di sopravvivere. Se le richieste di Abbas fossero accolte come lui le ha esposte, questo significherebbe la fine dello Stato ebraico, con la prospettiva imminente di una nuova Shoà ad opera dei terroristi islamici. E Israele certo non è disposto a suicidarsi per far piacere ai politici europei. Vi è un ultimo punto essenziale. Quale che sia l'accordo raggiunto, Israele non potrebbe sottoscriverlo se non in cambio della sicurezza della fine della guerra secolare e genocida che gli arabi hanno mosso all'insediamento ebraico nella sua patria storica. Perché questo avvenga è necessario che i palestinesi e la lega araba riconoscano la legittimità dello stato ebraico e sottoscrivano la rinuncia a ogni ulteriore rivendicazione. E' su questo punto che sono naufragate le trattative nel 1999-2000, poi nel 2006 e ancora l'anno scorso. Né Arafat né Abbas hanno voluto o potuto accettare un accordo che fosse davvero la fine della guerra e il riconoscimento della legittimità di Israele. Ma senza di questo, la guerra ricomincerebbe subito, solo da posizioni inferiori e più difficilmente difendibili da parte di Israele.
Si capisce adesso che il “riconoscimento” di uno stato di Palestina che non ha i requisiti della sovranità non è affatto una mossa verso la pace, come pretendono i nemici di Israele, ma un rafforzamento della guerra diplomatica dell'Autorità Palestinese contro Israele. Qualunque politico minimamente informato e lucido sa benissimo questo. Ma bisogna prendere atto che nel Parlamento italiano, come in quelli di altri paesi europei, vi è una forte corrente che anche se parla di pace mira esattamente a questo, ad allearsi con la guerra metà terroristica metà diplomatica che Abbas fa contro Israele. Si tratta, come già disse a suo tempo il presidente Napolitano, di antisemitismo.
Nominiamoli, allora, questi che fanno la guerra a Israele: il Psi (o quelle briciole che ne restano, degne eredi dell'odio anti-israliano di Craxi: https://it.notizie.yahoo.com/locatelli-psi-camera-approvi-mozione-riconoscimento-palestina-120423292.html). SEL con Palazzotto, i grillini (Gianluca Rizzo), la minoranza di sinistra del PD, in cui si segnalano Tidei, Bossio, Migliore e Misiani (http://www.jobsnews.it/2015/01/riconoscimento-della-palestina-dibattito-alla-camera-su-4-mozioni/). La maggioranza del PD è “prudente “ (http://www.huffingtonpost.it/2015/01/15/riconoscimento-stato-palestina-mozione-pd_n_6479412.html), mentre contrari sono Forza Italia (http://www.formiche.net/2015/01/16/daniele-capezzone-perche-dico-al-riconoscimento-dello-stato-palestinese/), il Nuovo Centrodestra (Ncd-Udc) e la Lega, che ha fatto una mozione molto lucida e coerente di cui vi riporto la notizia Ansa, dato che i giornali non ne parlano:
«Nessun riconoscimento dello Stato di Palestina in assenza di accordi bilaterali con Israele». La Lega propone una propria mozione alla Camera per «bandire ogni tentativo unilaterale dell'Autorità nazionale palestinese di ottenere riconoscimenti ideologici», per «fermare Hamas, anche escludendo il movimento islamista dalla gestione degli aiuti nella striscia di Gaza», ma anche per «sostenere il dialogo tra Israele e Palestina», con la collaborazione - precisa il Carroccio - di «Ue, Stati Uniti e anche della Russia». A presentare la mozione in aula è stato il deputato leghista Gianluca Pini, vicecapogruppo del Carroccio. «Israele è da sempre bersaglio di attacchi terroristici e di provocazioni innescate per scatenare reazioni. In Medio Oriente assistiamo all'escalation dell'Islam radicale e il territorio palestinese è solo in parte sotto il controllo di Abu Mazen, ma in larga parte è controllato proprio da Hamas, forza di ispirazione jihadista e certo non dialogante. Tutti vogliamo la pace, ma questa non può essere ottenuta» con fughe in avanti, «percorsi unilaterali» e «passi azzardati». «Nessuno nega alla Palestina il diritto di darsi una propria costituzione, ma questa non può prescindere dal dialogo».
Piaccia o meno, gli schieramenti sono gli stessi che si sono visti in tutt'Europa: un taglio netto sull'asse destra/sinistra. L'estrema sinistra, e anche un bel pezzo di sinistra moderata non bada alla sopravvivenza dell'unico stato democratico, multiconfessionale, pluralista del Medio Oriente, ma si schiera, con una scelta ideologica che si spiega solo con l'antisemitismo per i tagliagole, gli assassini di bambini e di anziani, gli islamisti, i nemici della tolleranza, della pace, delle donne e degli omosessuali. Lo ripeto, c'è una sola spiegazione per questa posizione: antisemitismo. E' molto difficile oggi essere ebrei che non vogliono suicidarsi ed elettori, non dico militanti, di sinistra. Prometto che me ne ricorderò alle prossime elezioni e se non vi dispiace, lo ricorderò anche a voi.
Ugo Volli