Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 21/01/2015, a pag. 18, con il titolo "La debolezza di Bruxelles e le truppe in Mali: così Belgio e Francia sono il vivaio dei jihadisti", il commento di Gilles Kepel.
Gilles Kepel
Terrorista Isis di 13 anni dal Belgio
Se la Francia e il Belgio sono i Paesi maggiormente investiti dalla nuova ondata di jihadismo non è solo per motivi demografici. La Francia possiede la popolazione di musulmani più numerosa d’Europa — tra 5 e 6 milioni di persone — e conta il più alto numero di giovani partiti a combattere in Siria e in Iraq — tra 1.200 e 1.500 — di cui quasi un quarto di neo-convertiti. Quanto al Belgio è la nazione con la più grande quantità di jihadisti per abitante. Ma sono altre le ragioni che spiegano la predilezione dei terroristi per questi due Paesi. In Belgio si può invocare l’estrema debolezza dello Stato o la frammentarietà di un popolo spaccato tra fiamminghi, valloni e brussellesi. Per questo motivo, l’islamismo ha potuto sopperire a un’identità sociale difettosa e s’è anche sostituito a un’identità politica poco attraente. Non è un caso se nel nostro recente passato sia le legioni pro-naziste sia le brigate indella ternazionali reclutavano in Belgio in modo sproporzionato rispetto al resto d’Europa. In Francia, dove lo Stato è solido e portatore di forti valori culturali, tra i quali spicca la laicità, uno dei motivi che spiega la presenza della grande quantità di jihadisti è che l’esercito di Parigi ha contenuto l’espansione della “guerra santa” nel Mali, conseguendo il solo, grande successo militare contro il movimento islamista. Ora, Amadi Coulibaly, il responsabile dell’attacco contro il supermercato kosher di Vincennes è originario proprio del Mali. Un altro motivo consiste nel fatto che, con la sua aviazione, la Francia partecipa attivamente ai raid coalizione internazionale in Iraq.
Ma c’è dell’altro. I numerosi jihadisti partiti da Lione o Parigi in Iraq e in Siria hanno prodotto un abbondante materiale propagandistico in lingua francese, fatto per lo più di filmati che mettono in scena fatti di guerra e altre porcherie contro gli “empi”. Da laggiù questo materiale viene inviato ai compagni rimasti a casa, assieme agli inviti ad attaccare ciò che non osano più chiamare la loro “madre patria”. Ciò accade in un Paese sorprendentemente risparmiato dal terrorismo, almeno tra il 1996, quando il franco- algerino Khaled Kelkal compì i suoi attentati nel metrò di Parigi per sostenere gli islamisti della guerra civile in Algeria, e il marzo 2012, quando un altro franco-algerino, Mohamed Merah, assassinò quattro ebrei e tre militari a Tolosa e Montauban, nel cinquantesimo anniversario degli accordi di Evian che sancirono l’indipendenza dell’Algeria. In realtà durante quegli anni molti furono gli attentati sventati dalle squadre dell’antiterrorismo francese che era riuscito a infiltrare in modo capillare le reti tradizionali dell’islamismo e a tenere sotto stretto controllo gli imam, le moschee e i predicatori sospetti. Essenziale fu anche il controllo sociale operato dai padri di famiglia di origini algerine in Francia, i quali capirono immediatamente che una deriva terroristica avrebbe rimesso in questione tutto ciò che s’erano faticosamente guadagnati, dal lavoro all’alloggio a una possibile ascesa sociale. Oggi tutto è cambiato perché la jihad passa attraverso i social network favorendo un indottrinamento sempre più difficile da individuare, e quindi da sorvegliare, e può beneficiare della prossimità di campi di addestramento a poche ore d’aereo da Parigi. Anche la struttura famigliare della comunità musulmana è molto cambiata: i padri immigrati di vent’anni fa non ci sono più, ma sono apparsi dei “giovani imprenditori del Corano” il cui potere è generato dalla difesa di un Islam integralista e intransigente, e per i quali le caricature di Charlie Hebdo sono una blasfemia inaccettabile e imperdonabile.
Sono loro che in Francia e nel resto d’Europa provocano quelle scissioni di carattere culturale, sconosciute fino a pochi anni fa. In Francia però, dalle elezioni presidenziali del 2012, molti giovani provenienti dall’immigrazione post-coloniale si sono candidati alle legislative e alle municipali, hanno guadagnato posizioni di responsabilità, sono diventati direttori di azienda, quadri superiori, ministri. Questo spiega il senso della guerra che lo Stato islamico conduce contro coloro che chiama gli “apostati”, tra i musulmani d’Europa, dove è definito traditore chiunque non si comporti da jihadista. Ora l’offensiva lanciata contro questi “apostati” è importante e cruenta come quella che lo Stato islamico ha dichiarato agli ebrei e ai non musulmani. Al momento, questa guerra il Califfo l’ha perduta, poiché l’immensa maggioranza dei musulmani di Francia prova orrore per il terrorismo. Ma sparando contro i vignettisti di Charlie Hebdo gli assassini sapevano che avrebbero creato un malessere tra i musulmani. Molti di loro, senza essere jihadisti, salafiti né islamisti, sono stati profondamente offesi dalle caricature del Profeta.
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