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La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
20.01.2015 Buenos Aires 1994: colpevoli Hezbollah e Iran, la morte di Alberto Nisman non può essere suicidio
Commento di Maurizio Molinari, cronaca di Guido Olimpio

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari - Guido Olimpio
Titolo: «Ennesimo capitolo del duello Iran-Israele - Tutte le tappe dell'intrigo di Buenos Aires: dalla pista Hezbollah alla soffiata italiana»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 20/01/2015, a pag. 13, con il titolo "Ennesimo capitolo del duello Iran-Israele", il commento di Maurizio Molinari; dal CORRIERE della SERA, a pag. 16, con il titolo "Tutte le tappe dell'intrigo di Buenos Aires: dalla pista Hezbollah alla soffiata italiana", la cronaca di Guido Olimpio.

Si veda la Cartolina di Ugo Volli sul tema: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=280&id=56889


L'attentato terroristico del 1994 a Buenos Aires

Ecco gli articoli:

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Ennesimo capitolo del duello Iran-Israele"


Maurizio Molinari

Dalle Alture del Golan a Buenos Aires è il nome dei Mughniyeh a descrivere il duello globale fra l'Iran e Israele che ha molteplici declinazioni, dal cyberspazio ai fondali sottomarini fino alle montagne del Kurdistan. Jihad Mughniyeh è il comandante degli Hezbollah responsabile del Golan che Israele ha eliminato domenica nel blitz che ha provocato la morte anche del generale dei pasdaran iraniani Mohammad Ali Allah-Dadi: entrambi perlustravano l'area di Quneitra progettando attacchi della nuova «Forza Galilea» dentro il territorio israeliano, fino alla città di Safed.

Lo scenario di «blitz di Hezbollah in profondità dentro Israele» obbliga «Tzahal» a modificare i piani di difesa, ipotizzando una guerra di terra in Galilea: è la minaccia che Israele teme di più, sommandola ad attacchi terroristici come quello del 2012 a Burgas, in Bulgaria, realizzati dagli eredi di Imad Mughniyeh, padre di Jihad, già capo delle operazioni all'estero di Hezbollah, considerato l'ideatore dell'attentato di Buenos Aires del 1994 ed eliminato da un'autobomba a Damasco nel 2008.

E' un duello senza tregua né confini che Israele combatte con truppe speciali e intelligence in più Continenti, mentre sul fronte opposto l'Iran adopera Hezbollah e Forza Al Qods, ovvero le unità d'élite dei Guardiani della Rivoluzione, comandate da Qassem Suleimani che risponde solo alla Guida della Rivoluzione Ali Khamenei. I Guardiani della Rivoluzione sono a loro volta i protettori del programma nucleare iraniano, considerato una minaccia esistenziale da Israele che risponde su tre fronti: gli agguati agli scienziati, i virus cibernetici per lesionare gli impianti e una flotta di sottomarini «Dolphin» in grado di lanciare una risposta nucleare se Teheran dovesse riuscire a colpire lo Stato ebraico con un ordigno atomico.

Se a ciò si aggiunge il sostegno di Teheran a Jihad islamica e Hamas, i programmi radio israeliani in lingua persiana, le pressioni di Netanyahu a favore delle sanzioni internazionali all'Iran e i tentativi dei droni iraniani di raggiungere la centrale atomica di Dimona si arriva a tratteggiare una sfida tesa alla continua ricerca del colpo del ko sull'avversario. Anche lì dove Israele e Iran quasi si toccano ovvero sulle montagne del Kurdistan iracheno, i cui peshmerga sono aiutati da entrambi a combattere contro i jihadisti sunniti dello Stato Islamico.

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio: "Tutte le tappe dell'intrigo di Buenos Aires: dalla pista Hezbollah alla soffiata italiana"


Guido Olimpio                                  Alberto Nisman

La storia dell’indagine Amia è già intrigo prima ancora che scoppi la bomba. Milano, 8 luglio 1994. Un brasiliano si presenta al consolato argentino e racconta: «Sta per esserci un grave attentato contro la comunità ebraica a Buenos Aires». Wilson vive da alcuni mesi in Italia, a volte si presenta con il nome di Francesco Del Bianche, «professione pilota», in realtà si arrangia facendo il dj in una discoteca di Torino. Quando gli chiedono la fonte dell’informazione, lui risponde: «La mia amica Nasrim, cittadina iraniana». Pensano sia un mitomane, nonostante ribadisca la segnalazione. Dieci giorni dopo dovranno chiedere scusa e spiegare. Alle 10 del 18 luglio un camioncino pieno d’esplosivo distrugge l’Amia, a Buenos Aires. Si porta via 85 vite. L’inchiesta è subito un inferno, contaminata dalle faide politiche argentine, dai depistaggi. Gli errori si sommano a manovre per intossicare. L’intelligence costruisce, nel tempo, un dossier indiziario, che conduce all’Iran e ai militanti dell’Hezbollah, probabilmente assistiti da elementi locali. Come in altre vicende di terrorismo si parte dai telefoni, dai movimenti di personaggi interessanti. Su questo il Corriere ha lavorato tra Buenos Aires e il vicino Paraguay. Rieccoci agli inizi dell’estate 1994. Come colti da una scossa improvvisa i diplomatici di Teheran in Sud America lasciano le loro sedi. Grazie alla collaborazione internazionale gli argentini riscontrano un intenso flusso di telefonate, sempre collegate agli iraniani o all’Hezbollah. Il 10 ne parte una diretta a un numero ritenuto uno snodo operativo dei guerriglieri filo-iraniani. Coloro che chiamano sono cauti. Creano una catena evitando di contattare più di una persona alla volta. Nella rete investigativa rimangono recapiti in Iran, Belgio, Austria, Libano. Più avanti — ci spiegano le fonti — se ne troveranno altri in Italia, alla Fiera di Milano e in un paese nei pressi di Como dove vivono un paio di sciiti libanesi. Il traffico dei telefoni si arresta quando l’attentatore suicida si fa saltare per aria davanti all’associazione ebraica di Buenos Aires. Passano mesi e anni, segnati da passi falsi, diatribe, testimoni comprati o sbugiardati. Gli investigatori devono evitare polpette avvelenate, ostacoli. Alla fine compongono un puzzle. L’ordine d’attacco — è l’accusa — è venuto da Teheran, una ritorsione per il mancato rispetto di un accordo nucleare. L’operazione l’ha gestita un team che ha agito tra Buenos Aires, Ciudad del Este (Paraguay) e altri paesi della regione. Un network che si è appoggiato ad agenzie di viaggio di copertura, a una società alimentare che commercia carne e sopratutto al lavoro di Mohsen Rabbani, l’addetto culturale dell’ambasciata iraniana, in realtà un agente dei servizi. Sono loro a trovare il kamikaze, a prepararlo per il colpo. Nella struttura d’attacco c’è però una terza componente. Gli argentini parlano di una squadra che deve «imbrogliare le cose», fornendo magari false tracce. Non è chiaro se rientri in questa cornice la pista dei carapintadas , gli estremisti di destra locali considerati a lungo i responsabili, tirati dentro da traffici e strane presenze. Erano complici o li hanno ingaggiati per creare confusione? Si riparla anche di Dos Santos e della sua amica, la prostituta Nasrim. Un'ipotesi è che sia stato usato per dare l’allarme dai brasiliani che non volevano però essere coinvolti direttamente. Anche questo filone non porta lontano. Wilson esce dal quadro, smentisce tutto, torna alla sua esistenza randagia. Lo imita Nasrim, che arrestata in Europa, nega. Poi scompare con i suoi misteri. Nel centro del mirino restano i servizi iraniani e gli esponenti dell’apparato clandestino Hezbollah guidato da Imad Mugniyeh che avrebbe usato Ciudad Juarez come base, sfruttando la presenza della comunità sciita. E aggiungono un aspetto interessante. I responsabili hanno imparato la lezione del primo attentato, quello del 1992 contro l’ambasciata d’Israele, sempre attribuito a militanti sciiti. Per questo hanno creato la cortina fumogena spingendo avanti figure improbabili che hanno fatto perdere tempo alla polizia. Altri pensano che siano la prova più chiara dell’innocenza dei khomeinisti e ipotizzano un complotto per incastrare i mullah. A metà restano coloro che credono, in base agli indizi, alla colpevolezza del regime, ma ammettono che la pistola fumante non c’è. Le polemiche finiscono per coinvolgere il giudice Nisman. Su Wikileaks escono cablo che lo indicano come troppo vicino agli americani. La politica argentina torna a impestare l’aria. Siamo vicini all’epilogo. Il magistrato accusa la presidente Kirchner di voler coprire i responsabili in nome degli affari. I suoi avversari reagiscono. Qualcuno esercita pressioni? Usano carte che non conosciamo per fermare l’investigatore? Il corpo senza vita di Nisman permette di pensare tutto e il contrario di tutto. Come in ogni vicenda dove ci sono di mezzo le ombre.

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