Quattro ragioni per essere a Parigi
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Benjamin Netanyahu con François Hollande
Cari amici,
vi chiedo scusa se continuo a parlare delle vicende francesi. Ma gli attentati della settimana scorsa sono stati un segnale importante e bisogna capirne bene le implicazioni e il modo in cui i vari attori sociali hanno reagito ad essi. Oggi vorrei parlarvi di un aspetto certamente secondario di questa storia, che io però trovo molto significativo. Si tratta della presenza del primo ministro di Israele alla manifestazione organizzata a Parigi dopo le stragi. Come sapete vi sono stati tre attentati: uno alla sede di Charlie Hebdo dove sono morte dodici persone, una davanti a una scuola ebraica dove è morta una poliziotta e una a un negozio di alimentari casher, perpetrato dallo stesso terrorista del secondo attentato, dove sono morti quattro ebrei osservanti.
Che c'entrava il primo ministro di Israele in una manifestazione di protesta contro queste stragi? L'hanno chiesto in molti, addirittura si è saputo che Hollande ha cercato in tutti i modi di evitare la visita di Netanyahu e i suoi uffici hanno insinuato che fosse venuto per propaganda elettorale - voce prontamente accolta da una stampa internazionale che, essa sì, usa ogni occasione per fare propaganda elettorale contro Netnayahu. E poi, “per rappresaglia” Hollande ha invitato Abbas. Mah, prima risposta, che c'entrava il primo ministro turco, o il dittatore dell'Autorità Palestinese? Al limite, che c'entravano Renzi e Merkel e tutti gli altri? Tutti portavano solidarietà, e allora perché la Francia non voleva la solidarietà di Israele? E, a proposito, c'era anche il primo ministro greco, che ha anche lui elezioni a giorni, e assai difficili. La Francia ha cercato di respingere anche lui? Non mi risulta. E allora, perché Hollande si preoccupa delle elezioni israeliane? Perché respinge la solidarietà di Israele o vuole nasconderla con un ministro da seconda fila?
Manifestazione antisemita in Francia (estate 2014)
Seconda risposta. Una delle vittime del negozio, si è scoperto dopo, stava organizzando la sua immigrazione in Israele. Tutti erano ebrei ortodossi. Tutte e quattro le famiglie hanno deciso di non far seppellire i loro parenti in Francia, ma in Israele. Diciamo che alla luce di queste scelte un qualche rapporto speciale di Israele con quelle morti purtroppo c'è, o no? La sera della manifestazione Netanyahu è stato invitato a parlare alla Grande Sinagoga di Parigi (che fra l'altro le autorità avevano chiuso il sabato precedente, la sola occasione dopo i tempi del nazismo e del collaborazionismo dello stato francese). Quando Netanyahu ha iniziato a parlare, Hollande, che era stato invitato a partecipare, ha sentito un'urgenza improvvisa e se n'è andato. Vogliamo ammettere che il gruppo di appartenenza delle quattro vittime del negozio (e dei bambini della scuola che per fortuna non erano stati colpiti, e di tutti i 400 e passa attentati antisemiti degli ultimi mesi) forse qualche rapporto con Israele e col suo primo ministro lo riconosce? Che forse la presenza del primo ministro israeliano agli ebrei importa, anche se a Hollande dà fastidio?
Già, rispondono, ma Netanyahu ha detto agli ebrei francesi che Israele è la loro vera patria, e li ha invitati a non esitare, a rifugiarsi in Israele per sfuggire alle minacce degli antisemiti. Vero. Ma perché questa dovrebbe essere una scortesia o una scorrettezza? Anzi, è la terza risposta. Ogni ebreo al mondo sa che, da settant'anni, ha un rifugio, a differenza di prima. Israele è stata anche l'assicurazione sulla vita degli ebrei siriani e libanesi e libici e algerini, etiopi e yemeniti ecc. Lo è ancora per quelli che abitano ancora in Turchia, in Iran, in Ucraina, in Venezuela... e in Francia e magari anche in Italia, se le cose si mettessero male. E' un dato di fatto ben presente alla mente di ogni ebreo. A differenza dei nonni e bisnonni che cercarono di fuggire dalla Shoà e furono respinti e ricacciati al loro destino di morte per le scelte di molti paesi, dagli Stati Uniti all'Italia, da Cuba alla Spagna - ma innanzitutto dalla Gran Bretagna, che con le sue politiche di interdizione dell'immigrazione nelle terre che governava in Medio Oriente si rese corresponsabile della morte di centinaia di migliaia di persone - un crimine occultato, ma terribile - a differenza di quel che successe nei tempi del nazismo, oggi gli ebrei hanno un rifugio, una terra su cui possono contare perché appartiene al loro popolo: Israele. Per questa ragione, dovunque gli ebrei sono in pericolo, intervengono l'Agenzia ebraica, la diplomazia, l'esercito israeliano. Il Governo di Israele è istituzionalmente interessato alla difesa degli ebrei di tutto il mondo. E' giusto che lo dica ed è giusto che esso partecipi al ricordo di Auschwitz come al lutto per i morti più recenti.
Tutto questo è chiarissimo per chi ha occhi per vedere. E allora perché Hollande e i giornali si sono affrettati a condannare Netanyahu per la sua “intrusione”? Le ragioni sono due. La prima l'ho già detta: giornali e politici “autorevoli” d'Europa fanno il tifo contro Netanyahu, cercano di imporre la coppia Livni/Herzog, disastrosa per Israele non fosse altro che per il fatto di questo appoggio insistentemente sollecitato e ottenuto da vari nemici internazionali di Israele. Pensate che la Livni ha chiesto a Obama di votare contro la richiesta di Abbas del piano di pulizia etnica di Giudea e Samaria “per non favorire la campagna di Netanyahu”. Figuratevi che cosa succederebbe dopo una loro vittoria.
Il secondo motivo della diffamazione di Netanyahu è che non c'è solo l'interferenza europea e americana nella campagna elettorale israeliana, c'è anche in corso una campagna elettorale, o piuttosto un tentativo di lavaggio del cervello di dimensioni continentali in Europa. L'establishment europeo si rende conto che la popolazione d'Europa è inquietata dall'aggressività dell'islamismo sul nostro territorio e si chiede se le politiche di sostanziale accettazione dell'immigrazione islamica illegale non siano pericolose, se i governi degli stati e quello dell'unione siano in grado di contenere questa offensiva, di garantire un minimo di sicurezza. Per questo cresce l'appoggio a forme di opposizione che indicano la necessità di bloccare l'immigrazione e di opporsi all'aggressività islamica, cioè di mettersi in posizione di sostanziale alleanza con Israele. Non è possibile, se si guarda con un minimo di lucidità, non vedere la parentela fra Stato Islamico, Hamas, estremisti islamici sul territorio europeo. E non si può non mettere nella lista anche Hezbollah e l'Iran, che pure si battono con lo Stato Islamico per il predominio, ma ne condividono l'odio per l'Europa libera, per l'America e per Israele. I governi europei stanno cercando di convincere i loro cittadini che il problema non è l'islam ma il “fanatismo” (che è un termine psicologico e non politico, una qualità astratta e non un'identità precisa), ed eventualmente che altrettanto colpevoli degli assassini islamici sono le opposizioni di destra; anzi che il vero pericolo degli attentati sia quello di favorire queste opposizioni.
E' una totale follia, ma è così che cercano di vendercela. Il pericolo vero in Francia non consisterebbe nel fatto che gli islamisti ammazzino altri ebrei (o “bestemmiatori”); ma che la Le Pen, che non si può accusare di nessuna violenza, vinca le prossime elezioni. Per questo bisogna distogliere la gente dall'asse della contraddizione, dimenticare che gli islamisti quando non si combattono fra loro odiano e ammazzano innanzitutto gli ebrei, in Europa come in Israele. La presenza di Netanyahu, anche senza alcun discorso, richiamava invece questa realtà: vi dovrebbe essere un'alleanza naturale dei paesi liberi contro le dittature islamiche, che siano la “Palestina” o lo “Stato Islamico”. Mentre i governanti europei e Obama vogliono un'alleanza con l'Islam “moderato” (che in Europa non c'è, forse esiste nella testa di qualche intellettuale e di qualche capo di stato come Al Sisi e in Tunisia) contro la destra. Hollande già deve la sua elezione a questa alleanza, concretamente al massiccio voto arabo senza di cui sarebbe stato in minoranza; Houellebecq ha raccontato bene come questa strada finisca nel trionfo dell'Islam sull'Europa.
C'è una quarta risposta a questa diffamazione, che in fondo è quella più centrale. La storia dell'antisemitismo mostra che un passaggio fondamentale delle persecuzioni è sempre stato il tentativo di distruggere la dignità delle vittime, di ridicolizzarle, di degradarle. La Chiesa di Roma per secoli ha obbligato i maggiorenti della comunità ebraica a rituali degradanti, ignobili carnevalate, costumi assurdi e calci nel sedere in pubblico; il nazismo fece lo stesso su scala industriale per esempio durante la Kristallnacht e poi nei villaggi polacchi. Lo stesso scopo si legge nelle norme arabe che proibivano ai dhimmi di mettersi due scarpe uguali ai piedi, o li obbligavano a tagliarsi i capelli in maniera strana, a cavalcare solo asini e con le gambe da un lato solo, alla maniera (infamante ai loro occhi) delle donne. Potrei continuare a lungo.
Il punto è che queste pratiche di umiliazione non sono antitetiche ai roghi, ai campi della morte, ai pogrom, ma li precedono e in un certo senso li giustificano agli occhi della popolazione, disumanizzando le vittime. Ora che l'antisemitismo si concentra non solo sui singoli ebrei, ma soprattutto sul loro stato, il tentativo di delegittimarlo, degradarlo, non riconoscergli pari dignità è palese da parte musulmana: quanti sono stati, per fare un esempio solo apparentemente innocuo, gli atleti arabi che si sono rifiutati di affrontare in competizioni internazionali atleti israeliani, anche a costo della sconfitta a tavolino? Chi nel mondo islamico osa nominare Israele invece di usare circonlocuzioni ridicole, ma piene di odio come “entità sionista”? Quanti non solo arabi ma anche europei, giornali e politici, rifiutano a Israele il diritto di scegliersi la sua capitale che è accordato a tutti gli stati del mondo e dicono un'idiozia come “il governo di Tel Aviv”? Chi scrive una cosa del genere compie un atto antisemita, e che lo faccia senza saperlo “è solo un'aggravante” come diceva Karl Kraus. Ma è un antisemitismo obbligatorio: pensate che in una recente intervista a un sito web hanno attribuito anche a me, che certo non posso averla usata, questa espressione: perché “governo di Gerusalemme” non si deve dire, come i nazisti evitavano di dire “il signor tal dei tali” e dicevano “l'ebreo tal dei tali”.
Bene, di fronte a questa situazione è dovere di chi rappresenta Israele non accettare umiliazioni. Se vi è una riunione politica di Primi Ministri del mondo, quello di Israele deve andarci, rifiutare la discriminazione, non accettare di farsi mettere in seconda fila. Bisogna essere piuttosto privi di coscienza civica e anche di senso della storia, come mi pare che siano gli Herzog, le Livni, per non parlare degli antisionisti di Meretz per cercare di approfittare di questo sporco servizio che arriva dalla profonda cattiva coscienza antisemita di una Francia (o almeno di un partito socialista francese) che, a parte alcune eccezioni come Manuel Valls, non ha nessuna remora a tradire ancora una volta i suoi ebrei, loro sì, per una miope tattica elettorale.
Di nuovo si vede che alla base dell'atteggiamento di Hollande c'è un antisemitismo che probabilmente è inconscio, ma non per questo meno attivo e pericoloso. A queste mosse e alla propaganda della stampa bisogna opporsi. Gli ebrei sono odiati per il loro rifiuto di piegarsi, per la loro ostinata fedeltà a se stessi, per non accettare di convertirsi. Hanno resistito a venti secoli di ingiurie della Chiesa e a quattordici di insulti dell'islam, con le relative persecuzioni. Non li hanno piegati né Hitler né Stalin. Figuriamoci se un Hollande e un Obama possono umiliarli.
Ugo Volli