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La Stampa Rassegna Stampa
16.01.2015 I musulmani sono le vittime ? Lo sostiene Hollande
Cronaca di Paolo Levi, Leonardo Martinelli, analisi di Fancesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 16 gennaio 2015
Pagina: 6
Autore: Paolo Levi, Leonardo Martinelli, Francesca Paci
Titolo: «Parigi dà l'addio ai morti di Charlie. Hollande: islamici vittime dei fanatici - Il sottobosco di sbandati che dalla criminalità è passato alla guerra santa»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 16/01/2015, a pag. 6, con il titolo "Parigi dà l'addio ai morti di Charlie. Hollande: islamici vittime dei fanatici", la cronaca di Paolo Levi, Leonardo Martinelli; a pag. 4, con il titolo "Il sottobosco di sbandati che dalla criminalità è passato alla guerra santa", l'analisi di Francesca Paci. Prima di entrambi, il nostro commento.

Ecco gli articoli:

Paolo Levi, Leonardo Martinelli: "Parigi dà l'addio ai morti di Charlie. Hollande: islamici vittime dei fanatici"


François Hollande

Ancora una volta la Francia, a partire da François Hollande, si dimostra incapace di reagire al terrorismo islamico. Ecco le parole di Hollande di ieri: "Sono i musulmani a essere le prime vittime del fanatismo". E' una affermazione paradossale, che denota una incapacità di comprendere il problema di fondo del terrorismo jihadista: la presa in ostaggio dell'islam da parte dell'ideologia islamista, come denunciato due settimane fa dal presidente egiziano Al Sisi in un epocale discorso. Potete leggere parte del discorso di Al Sisi alla pagina http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=253&sez=120&id=56778
Rimandiamo anche alla cartolina di Ugo Volli http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=0&sez=280&id=56782

Ecco l'articolo:

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Paolo Levi

Mentre l’Europa torna a tremare con l’operazione anti-terrorismo condotta in Belgio contro una cellula con possibili legami con Coulibaly, uno dei tre fondamentalisti islamici che hanno insanguinato Parigi, il presidente François Hollande rivolge un messaggio all’Islam: «Sono i musulmani a essere le prime vittime del fanatismo». Esprimendosi dall’Institut du Monde Arabe di Parigi, luogo simbolo del dialogo interculturale e interreligioso, il capo dello Stato ha anche tenuto a puntualizzare che «l’Islam è compatibile con la democrazia. Dobbiamo rifiutare ogni amalgama o confusione». Poi la promessa di punizioni severe contro gli atti anti-Islam che si stanno susseguendo in Francia dopo gli assalti alla redazione di Charlie Hebdo e l’uccisione di quattro ostaggi ebrei a Porte de Vincennes. «Così come l’antisemitismo, gli atti contro i musulmani devono essere non solo denunciati, ma puniti con severità», ha insistito il presidente. Intanto, il ministro dell’Interno, Bernard Cazeneuve, ha annunciato che Lassana Bathily, l’«eroe» musulmano che contribuì a proteggere alcuni ostaggi durante l’assalto al minimarket kosher, «verrà premiato con la cittadinanza francese».

La caccia a Boumeddiene
Nel Paese blindato con diecimila militari in strada, gli inquirenti sono ancora a caccia della Mini Cooper di Hayat Boumeddiene, la moglie dell’attentatore Coulibaly. Secondo i servizi turchi, la donna è entrata in Siria l’8 gennaio, proprio mentre il marito uccideva una poliziotta a Montrouge, accompagnata da Mehdi Sabry Belhoucine, il cittadino francese sospettato di legami con cellule terroristiche nonché fratello del «cyber-jihadista» Mohamed Belhoucine. Secondo la polizia, anche quest’ultimo si troverebbe nell’area controllata dallo Stato islamico tra Siria e Iraq. Dal 31 dicembre al 2 gennaio, anche Coulibaly era a Madrid, dove ha accompagnato la moglie all’aeroporto di Barajas, prima di tornare in Francia e partecipare agli attacchi. La magistratura spagnola ha aperto un’inchiesta. «Abbiamo a che fare con una struttura ben organizzata», ha invece commentato il portavoce di un sindacato della polizia transalpina, Christope Crepin. Mentre schizzano le vendite di ansiolitici, +18,2% in pochi giorni, insieme con le consultazioni da psichiatri e psicoterapeuti.

I funerali dei vignettisti
Emozione, intanto, per i funerali di due disegnatori trucidati nella redazione di Charlie Hebdo, Georges Wolinski e Bernard Verlhac, detto Tignous. Wolinski, che a 80 anni era il più anziano del gruppo, è stato cremato al cimitero di Père-Lachaise. La cerimonia si è svolta sulle note di Miles Davis e con i familiari e gli amici che alla fine hanno fatto scivolare petali di rosa sulla bara. Accanto era stata sistemata la sua ultima vignetta, trovata sulla scrivania di Wolinski dopo la morte. Raffigura una coppia che sta facendo l’amore in un letto e la donna dà la mano a un altro uomo nudo, sospeso in aria, che a sua volta allunga l’altra mano verso San Pietro, che occhieggia divertito dal cielo. L’ultimo addio a Tignous, invece, è avvenuto nel municipio di Montreuil, alle porte di Parigi. I familiari e gli amici hanno disegnato e scritto dediche sulla sua bara. Era presente Christiane Taubira, ministro della Giustizia, che ha detto: « Si può disegnare di tutto, anche il profeta Maometto, perché in Francia, Paese di Voltaire e dell’irriverenza, si ha il diritto di prendere in giro tutte le religioni».
Nel giorno del raccoglimento e del dolore, comunque, è scoppiata anche una polemica. Delfeil de Ton, coetaneo e amico di Wolinski, uno dei fondatori di Charlie Hebdo (anche se aveva ormai preso le distanze dalla redazione), ha scritto una lettera aperta, molto dura, pubblicata dal «Nouvel Observateur». Se la prende con Charb, che era direttore di Charlie, anche lui tra le vittime del massacro. De Ton lo descrive «un ragazzo brillante ma testardo ». E aggiunge: «Ce l’ho con te Charb: che bisogno c’era di trascinare tutti in questa escalation?».

Francesca Paci: "Il sottobosco di sbandati che dalla criminalità è passato alla guerra santa"

E' vero solo in parte che terreno di elezione del terrorismo islamico sono le periferie degradate delle grandi città e le sacche di povertà, ma è falso che l'indottrinamento islamista non passi attraverso la rete delle moschee. Questo non significa che tutti i luoghi di culto musulmani siano centri di reclutamento, anche se alcuni lo sono, ma che soprattutto nelle moschee avviene l'educazione all'odio per l'Occidente e i suoi valori, per gli ebrei e per Israele, che sono le cause autentiche del terrorismo. Non ha quindi senso scrivere - come fa Paci - che oggi il terrorismo trova più adepti nelle discoteche che nelle moschee.

Ecco l'articolo:


Francesca Paci

Ad Anversa sono note come islam-gang, seconde e terze generazioni allo sbando tra spaccio di droga e protesta sociale al ritmo di rap che si sono trasformate in potenziali cellule qaediste grazie al lavaggio del cervello di predicatori come quelli troppo tardivamente messi al bando di Sharia4Belgium. A ottobre, mentre la capitale fiamminga dei diamanti celebrava il primo processo ai neojihadisti locali e ai loro reclutatori, gli 007 snocciolavano cifre da capogiro: 400 volontari belgi arruolatisi con il Califfato dopo il 2012 (su una popolazione di 11 milioni), 90 ragazzi iper-radicalizzati dalla guerra già rientrati in patria, mille muri invisibili eretti da un giorno all’altro nel Paese delle diversità dove solo ad Anversa si contano 43 moschee, 30 sinagoghe, 179 nazionalità.
Il Belgio si sveglia per la seconda volta nel buio della paura. Dopo Medhi Nemmouche, il killer della sinagoga di Bruxelles, gli investigatori si concentrarono sui potenziali emuli, i rischi, sulla necessità di dare una risposta esemplare fino al punto d’istituire un processo «politico», poco risolutivo perché basato su presupposti giudiziari deboli (come tenere in cella qualcuno reo di aver combattuto in Siria ma non ancora macchiatosi di crimini in patria?). Sono passati pochi mesi e all’orizzonte si stagliano le nubi delle peggiori previsioni.

Criminali comuni
«Le nuove leve dello jihadismo, tra cui quelli che tornano dalla Siria, sono solo criminali ma se i qaedisti della prima generazione minacciano maggiormente i loro Paesi arabi di provenienza questi giovani sono un pericolo diretto per noi» osserva una fonte dell’intelligence di Bruxelles responsabile degli ex detenuti di Guantanamo belgi rientrati in patria.

Soldi, moglie e tempo libero
Le nuove leve sono ragazzi come Brian da Mulder, 22 anni, secondogenito di una brasiliana e di un belga non credente che nel 2012 è passato all'islam per colmare il vuoto d’una periferia squallida e di un padre poco fiducioso in lui e che oggi dalla Siria manda a dire alla madre di essere felice, di avere un ruolo nell’esercito del Califfo, uno stipendio, una moglie, tempo libero per nuotare. Ma oltre a Brian, figlio di uno dei mille ghetti di Anversa come Bourgerout, dove gli immigrati sono l’80% e la disoccupazione raggiunge il 40% (la media nazionale è 9%), ci sono casi non spiegabili con frustrazione e marginalità come il rapper ricco e di ricca famiglia Feisal Yamoun o il 26enne convertito Michael Delefortie, di cui la sorella lesbica e middleclass spiega il ritorno dalla trincea siriana con la delusione per una guerra santa che non risparmia i musulmani. Ragazzi con background diversi, ma accomunati dalla rabbia per un mondo giudicato ingiusto perché, racconta un 22enne che dice di essere cresciuto nella diffidenza post 11 settembre, «in discoteca fanno entrare i neri ma lasciano fuori me perché mi chiamo Mohammed e sono arabo».

Distanti dalle moschee
Le moschee assistono ammutolite alla deriva dei loro figli. «C’è una distanza crescente tra i giovani e le figure religiose di riferimento, imam troppo vecchi che parlano solo in arabo e di teologia astratta» ragiona il consigliere comunale Hicham El Mzairh, punto di riferimento della comunità marocchina di Anversa. I reclutatori si appostano all’uscita dalle scuole, nei vicoli dove si spaccia, su Internet, non hanno quasi mai più di 40 anni, conoscono la cultura urbana con cui è cresciuto chi fino a prima di scoprire un islam basico declinato a divieti vendeva droga, beveva alcol, sognava ragazze reali e non trascendenti vergini paradisiache. La loro lingua è musica per ragazzi come quelli di Verviers.

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