Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 16/01/2015, a pag. 1-21, con il titolo "Salvarle era doveroso. Ora prudenza", l'editoriale di Maurizio Molinari.
Coloro che si recano in zone di guerra come la Siria dovrebbero assumersene la piena responsabilità, e non dovrebbe essere lo Stato a provvedere a esborsi per salvarle. Diverso è il caso di funzionari pubblici rapiti nell'esercizio delle proprie funzioni di rappresentanti dello Stato, ma le due ragazze erano "volontarie", per cui avrebbero dovuto accollarsi i rischi connessi. Speriamo che d'ora in poi questo diventi la regola.
Ecco l'articolo:
Maurizio Molinari
Vanessa Marzullo e Greta Ramelli
Con la liberazione di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo l’Italia dimostra che in tempo di guerra nessun cittadino deve temere di essere abbandonato nelle mani del nemico jihadista e questa può essere la premessa per evitare futuri errori, come per dare la caccia al medesimo nemico. Le stragi di Parigi, la cellula sgominata in Belgio e le minacce del Califfo contro San Pietro dimostrano che il fronte jihadista è protagonista di una campagna tesa a insanguinare l’Europa.
Il sequestro di ostaggi occidentali in Medio Oriente, dalla Siria allo Yemen, è un tassello di questa offensiva. E quando si combatte contro il terrorismo la priorità è «non lasciare nessuno dei nostri nelle loro mani» come diceva Golda Meir, combattiva premier d’Israele, all’indomani del massacro alle Olimpiadi di Monaco. Non solo perché «chi salva una vita salva il mondo intero», come recitano le Massime dei Padri, ma perché salvare i propri cittadini, evitare di abbandonare qualcuno «indietro» nelle mani del nemico, rende una nazione più salda, coesa, capace di difendersi.
Per questo dobbiamo essere grati a quei funzionari dello Stato, diplomatici e militari, che hanno riportato a casa Greta e Vanessa. Ciò non toglie che ogni successo nella liberazione di un ostaggio – con un blitz o con una trattativa, con o senza riscatti – si accompagna sempre all’amarezza per il sequestro avvenuto perché implica aver compiuto errori e passi falsi che nella stagione del Califfo nessuno si può permettere di fare.
Ciò significa che la lezione da apprendere da questa liberazione è anzitutto nella necessità di evitare di ritrovarsi in situazioni simili: le ong e i volontari che, spinti dalle migliori delle intenzioni, partono per i territori dove spadroneggiano bande, tagliateste e jihadisti devono prendere atto che l’interesse nazionale impone di cessare iniziative singole, mal coordinate e fondate solo sul credo illimitato nella bontà umana. Nello spazio che si estende da Aleppo a Baghdad, da Sanaa a Mosul, è in atto una guerra barbarica scatenata da milizie sanguinarie intrise di un’ideologia religiosa che si riassume nella caccia agli «infedeli» ovvero a chiunque non sia jihadista. Andarci significa mettere piede in un girone infernale.
Per questo 60 nazioni hanno creato una coalizione accomunata dalla volontà di demolire lo Stato Islamico e sconfiggere i jihadisti. Dunque, d’ora in poi sarà opportuno che ogni ong intenzionata ad aiutare il prossimo in questo angolo del pianeta si coordini con il governo ed eviti di mettere a rischio la vita dei volontari, contribuendo piuttosto agli sforzi umanitari – indispensabili più di sempre – nelle mani dell’Onu e delle organizzazioni che coordina, dal Libano alla Giordania fino alla Siria, per portare cibo e aiuti ad oltre quattro milioni di disperati.
Senza contare la necessità, da parte dello Stato, di portare davanti alla giustizia chi ha commesso il reato di sequestro nei confronti di un nostro connazionale.
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